"Caffè Zibaldone"

Il coraggio di ricominciare

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    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

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    Ancora due tornanti e poi sarebbe arrivato anzi, sarebbero arrivati: lui, il mulo e il cane.
    Avevano passato tutto il giorno nei boschi a raccogliere quanta più legna secca possibile da portare nella loro casa con annessa stalla e legnaia.
    La corta estate sull’altopiano stava finendo, quindi bisognava darsi da fare e accumulare tutto quello che si trovava, vicino ai sentieri, sui sentieri e in mezzo ai boschi; ecco l’ultimo tornante, il cielo era infiammato da uno splendido tramonto ma l’aria secca che veniva da nord era invece fredda.
    Una volta portato il mulo nella legnaia, gli aveva tolto le gerle dal basto e scaricato il contenuto per terra, vicino a quanto già raccolto e impilato nei giorni precedenti: avrebbe messo a posto la legna domani e così aveva condotto l’animale nella stalla, lo aveva strigliato ben bene, gli aveva preparato la lettiera e riempito di biada la mangiatoia. Dopo avergli dato due carote, una carezza sul muso e una pacca sul garrese, prima di uscire, aveva controllato la mucca, le due pecore e il pollame vario. Avendo constatato che tutto era a posto, aveva dato ancora uno sguardo in giro e poi, con un sorriso malinconico era entrato, insieme al cane, in casa.
    La tavola era già pronta, l’aveva apparecchiata la mattina prima di uscire, restava da accendere la stufa e scaldarsi quanto preparato la sera prima.
    Mentre il fuoco iniziava a scoppiettare, si era dato una bella lavata nel lavandino in pietra usando un pezzo di sapone artigianale, si era cambiato gli abiti, infilandosi in un calda tuta di lana, ricavata dalle pecore.
    Aveva cominciato a mangiare lo stufato di pollo e patate accompagnandolo con il pane e un bicchiere di vino nero e un pezzo di formaggio di sua produzione, a media stagionatura e, dopo aver rigovernato, si era seduto sulla poltrona vicino alla stufa che adesso scaldava magnificamente; inforcati gli occhiali aveva preso il libro iniziato la settimana precedente, quando era andato a trovare i frati con i quali barattava i suoi prodotti all’abbazia che si trovava ad un’ora di cammino; il libro glielo avevano regalato loro.
    Il libro narrava le storie, tristi e allegre di un veterinario scozzese che aveva lavorato nei Dales dello Yorkshire dalla fine della IGM sino agli anni 80/90 del secolo scorso.
    Era il primo di cinque volumi e lo stava “divorando”: gli piacevano i personaggi, le atmosfere, gli animali e i paesaggi descritti, questo James Herriot era davvero simpatico.
    Ma il libro gli trasmetteva anche una profonda sensazione di nostalgia, mescolata alla tristezza e alla malinconia.
    Quel libro era il preferito di sua moglie e, sua moglie, non c’era più …
    Chiuse il volume e decise di andare a letto ma non riusciva ad alzarsi dalla poltrona. Quindi, senza volerlo (o forse desiderandolo fortemente), ripercorse quanto era successo negli anni prima che si andasse a stabilire lì, sull’altopiano russo a pochi chilometri dal convento di frati cattolici dove il fratello bibliotecario era lo zio di sua moglie.
    Vivevano a Genova da generazioni, anche se lui era di avi toscani: i suoi progenitori si erano stabiliti a Genova fin dal Medio Evo, praticando, nei secoli, l’arte di lavorare pelle e cuoio.
    Trasferitisi da Prato in Genova, i suoi avi avevano impiantato la loro attività nei “carruggi”, precisamente in Vico dei Pellai (ogni strada dei carruggi indicava il lavoro che vi si svolgeva), distinguendosi subito come eccellenti artigiani, tanto che in poco tempo diventarono la bottega di riferimento dei notabili, della ricca borghesia e anche dei Dogi.
    Tramandato di padre in figlio, il negozio ero arrivato fino a lui e, dopo il diploma classico, conseguito negli anni 70, vi aveva iniziato a lavorare in pianta stabile, dopo le esperienze estive nel periodo adolescenziale.
    Era innamorato di quel lavoro, dei carruggi e di Genova, città piena di storia e arte, magari un po’ scontrosa ma, nonostante questa ritrosia, molto aperta verso la gente.
    Il lavoro era tanto e lui, seguendo le orme del nonno e del padre, aveva mantenuto la clientela altolocata ma, allo stesso tempo, confezionava manufatti pregevoli, per tutte le tasche.
    Lì entravano tutti: ricchi borghesi, industriali, armatori ma anche camalli, portuali, operai e agricoltori dell’entroterra che, una volta al mese, venivano in città a vedere un po’ di “mondo” .
    Nella sua bottega lavoravano, oltre a lui, Giovanbattista, (da tutti conosciuto come Giobatta e artigiano nel negozio da oltre 30 anni), Luca e Grazia, sua moglie.
    Con l’arrivo degli anni 2000 le cose avevano cominciato ad andare meno bene: politiche globaliste, moneta unica per tutta Europa, frontiere aperte, liberismo selvaggio, totale asservimento al mercantilismo senza regole angloamericano e mancanza di riferimenti morali, sociali e, in ultimo, anche religiosi avevano fatto sì che la situazione degenerasse completamente.
    Tutto questo aveva portato ad un rapido declino delle botteghe artigiane (ma anche della grande industria nazionale), distrutte da tasse molto esose nonché assurde e dal rapido diffondersi di quei mostri senza qualità e cultura lavorativa come i centri commerciali che praticavano una concorrenza sleale e dettavano legge protetti da politici corrotti che andavano contro gli interessi dei propri connazionali, favorendo invece le grasse multinazionali.
    I carruggi, pieni di disperati catapultati lì ( e in tutta Italia) da mondi lontani, avevano iniziato a diventare pericolosi e, in certe zone, invivibili: veri e propri terreni franchi da qualsiasi legge.
    Sempre più attività storiche stavano chiudendo irrefrenabilmente. Alcuni titolari, se pur a malincuore, vendevano a prezzi stracciati le loro centenarie mura a compratori cinesi.
    La cara, vecchia, sicura, storica Genova, stava sparendo.
    Nel 2008 era arrivata la mazzata: una grande crisi mondiale che, non si capiva se fosse stata casuale o organizzata ad arte,aveva peggiorato moltissimo le cose; i disoccupati erano milioni, la povertà aumentata a dismisura e, ovviamente, i consumi calati vistosamente.
    Aveva dovuto, suo malgrado, licenziare il più giovane, Luca, per garantire la pensione di Giobatta e, da questa sua decisione obbligata, era nato il dramma che lo aveva portato in Russia.
    Luca si era appena sposato, era pieno di speranze, nel lavoro era molto bravo e motivato; non aveva minimamente protestato all’atto del licenziamento, sapeva benissimo che la situazione era grave ovunque e che era giusto garantire i contributi a Giobatta ma, dopo un mese, la moglie lo aveva trovato impiccato in cantina.
    In una lettera spiegava i motivi del suo gesto e, con parole di fuoco, aveva accusato la classe politica dirigente, vera causa di questo disastro sociale, classe politica che si era subito divisa: i partiti elitari e globalisti, lo ritenevano un povero folle senza cultura, altri movimenti, secessionisti, avevano cercato di farne un loro martire chiedendo alla moglie di candidarsi con loro.
    Lei aveva preso, con freddezza ed eleganza, le distanze da entrambi i movimenti e, dopo il funerale, si era ritirata a vita privata.
    Sergio non si dava pace ma doveva andare avanti, invece Grazia, sua moglie, non riusciva a superare il fatto e, piano piano, aveva iniziato a sentirsi male e poi a dimagrire sempre più velocemente.
    Era diventata pelle e ossa e anche per questo, tanti clienti abituali disertavano il negozio o venivano molto di rado.
    Sergio non chiudeva ancora perché riusciva a vendere qualcosa ai turisti che arrivavano con le navi da crociera, uniche navi che attraccassero nella ex Superba.
    Non riusciva però a darsi pace per sua moglie che peggiorava giorno dopo giorno.
    Grazia gli aveva confidato, in una delle tante notti insonni, che si sentiva responsabile del suicidio di Luca e che non aveva più pace da quel giorno lì.
    Una mattina gli aveva detto: io sono morta con lui …
    Sergio era distrutto e anche Giobatta sembrava invecchiato di cent’anni ma tiravano avanti.
    Un pomeriggio sua moglie era svenuta in negozio.
    L’ambulanza subito chiamata l’aveva portata in Ospedale e lì il verdetto era stato tremendo: tumore allo stomaco.
    Inoperabile, tanto era esteso.
    Dopo un inutile e molto oneroso ciclo di chemio, Grazia si era spenta in due mesi.
    Sergio, pur accusando il colpo, era riuscito a restare, per quanto potesse essere possibile in quella situazione, calmo e deciso.
    Al funerale si erano presentati in pochi, alcuni artigiani dei vicoli, i parenti e un frate che Sergio non conosceva.
    Al termine della funzione, dopo che tutti se ne erano andati, Sergio era solo davanti alla tomba, quando il frate lo aveva avvicinato presentandosi.
    Era lo zio di sua moglie, missionario in Russia ed era a conoscenza di tutti i fatti accaduti visto che Grazia manteneva con lui una fitta corrispondenza.
    Frate Ippolito aveva confortato Sergio con parole misurate e sensate che andavano dritte al cuore e, con cautela, gli aveva chiesto se voleva venire a stabilirsi in Russia: “sappia”, gli aveva detto, “che si sta molto bene, vi è un forte risveglio religioso e non vi è posto per le follie mercantilistiche e contro natura che albergano invece qui.
    Ci pensi e mi faccia sapere, starò a Genova ancora per tanto tempo”.
    Sergio era confuso ma, cosa gli restava ormai ?
    Si era messo subito all’opera e con una quota di quanto gli restava dei loro risparmi aveva fatto in modo di pagare l’ultimo anno di contributi a Giobatta e a farlo andare in pensione senza problemi. Poi, con la morte nel cuore, aveva messo in vendita il negozio …
    Stava lì da secoli, lì erano entrati mercanti, principi, gran dame, rampolli di nobili casate ma anche popolani, operai, garzoni, ragazze e monelli.
    Era stato il suo mondo e poi di sua moglie, un mondo saldo di valori, rispetto, lavoro, cultura, un mondo spazzato via da gente ignorante e senza patria, usurai apolidi, senza Dio e regole, tranne quelle degli sciacalli.
    Alla fine lo aveva venduto, con una punta di soddisfazione, ad una cooperativa di ragazzi genovesi che gli avevano promesso di tenere la stessa insegna anche se lo avrebbero fatto diventare un locale di ritrovo notturno.
    Con il ricavato del negozio e quello della casa,venduta ad un prezzo ben inferiore del suo vero valore, era tornato dal frate e con lui era partito per la Russia.
    Gran parte del suo ricavato lo aveva donato agli orfani che l’abbazia accudiva.
    E adesso erano già cinque anni che viveva in quei luoghi.
    Si alzò dalla poltrona, aveva gli occhi umidi ma invece di andare a dormire si mise il giaccone e uscì per andare a dare un’ultima occhiata agli animali.
    Fuori faceva freddo ma il vento era cessato, alzò gli occhi, vide il cielo stellato e terso e si domandò perché uomini e donne smaniassero per delle stupidaggini, quando invece per trovare la vera ricchezza bastava solo alzare lo sguardo.


    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 5/1/2021, 17:13
     
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    Capo della Corporazione del Vascello, a lui tutti devono fiducia, lealtà, ma soprattutto rispetto. A lui spetta l’intrattenimento delle Sirene e delle altre Creature del Mare, nonché di tutti i Fantasmi e le Fantasmine d’Autore.

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    Molti luoghi.. nessuno dei quali, in fondo, mi è poi tanto lontano!:-)

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    Mi compiaccio per un bel racconto, molto ben scritto, di qualità letteraria direi molto buona, in cui si percepisce una penna ottima.
    La trama è corretta, anche se, ovviamente, essendo un racconto che vive di naturalezza, di realtà, non si può chiedergli di trascinare.
    E’ una buona parabola, molto elegante, forse un filino da sfrondare (e se lo dice il Magno Logorroico!… Ahah!) qui e là.. Non per altro, ma semplicemente perché appunto essendo un racconto che non vuole stupire, non cerca effetti speciali, magri alcune piccolezze diventano pesantucce e ridondanti, cosa che non accadrebbe, alla pari, se poi la narrazione si spostasse su altri piani, ma in quel caso avremmo un racconto noir, di fantascienza, romantico o altro, ma non questo racconto, ergo la mia è una precisazione da chata, non certo una critica.
    Complimenti e davvero.. se vuoi, imbarco immediato! Dì che ti ha arruolato il Nostromo! Ahah!
    Andy
     
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1 replies since 18/2/2017, 19:34   87 views
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