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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Gio Battista Spinola
Il palazzo Gio Battista Spinola o palazzo Andrea e Gio Batta Spinola è un edificio sito in via Garibaldi al civico 6 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Iniziato nel 1563 dall'architetto Bernardino Cantone per Giovanni Battista ed Andrea Spinola, si presentava con un massiccio cubo, inizialmente senza decorazione esterna; subì notevoli trasformazioni tra il XVII e XVIII secolo, quando fu rialzato di un piano. Nel 1723 il palazzo fu acquistato dai Doria, signori e poi marchesi di Montaldeo.
Dopo i gravi danni subiti nel bombardamento della flotta francese del 1684, la facciata ricevette l'attuale decorazione a stucco, con coppie di lesene intervallate dagli assi di finestre.
Nell'atrio si trova una grande lanterna pensile coronata dall'aquila araldica, emblema della famiglia Doria. Da qui si giunge al cortile colonnato e quindi nel piccolo ma grazioso giardino pensile.
L'interno presenta una ricca decorazione realizzata in gran parte dalla bottega dei Semino. Gli affreschi della volta del salone a piano nobile, riflettono la volontà di celebrazione dinastica degli Spinola rappresentando L'ambasceria di Oberto Spinola e Federico Barbarossa, e altre vicende legate alla famiglia. In una sala Andrea e Ottavio Semino, rappresentano le consuete tematiche mitologiche, quali gli amori degli dei, predilette dalla committenza genovese: Giove e Dafne, Nettuno e Proserpina, Venere e Adone, Giovane ed Europa, "Giove e Antiope.
Di notevole interesse una sala al piano nobile, che oltre alla volta affrescata da Luca Cambiaso con la Caduta di Fetonte e altri episodi di audacia punita come la Caduta di Icaro, presenta stucchi settecenteschi di raffinato gusto rococò e preziosi arredi.
Sempre nel salone troneggia il monumentale camino cinquecentesco in marmo di gusto manierista, mentre alle pareti sono appesi cinque arazzi fiamminghi della fine del Cinquecento con Storie di Abramo. In un salotto del piano nobile risulta ancora visibile, nella sua disposizione settecentesca, l'importante quadreria costituita dalla famiglia Doria.
Fonte sito dei Rolli
le foto son inserite al solo scopo didattico educativo NON si intende violare alcun diritto d'autore
continua .... -
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Visto che siamo vicini al Santo Natale, abbandono un po' i Palazzi storici di Genova, per parlarvi di una tradizione della nostra città e regione L'ANTICA CERIMONIA DEL CONFUOCO
L'ANTIGA ÇEIMÒNIA DO CONFEUGO
Il confuoco (O confeugo /u kuŋˈføːgu/ in ligure) è un'antica manifestazione culturale della Liguria, celebrata tradizionalmente la vigilia di Natale o ancora verso la fine dell'anno. Evento storico legato alla Repubblica di Genova, viene ancora oggi commemorato principalmente a Genova e Savona, ma anche in altri comuni liguri anticamente sede di podesterie e capitaneati.
La tradizione nacque a Genova, come attestano alcune fonti storiche, nei primi anni del XIV secolo anche se molto probabilmente tale usanza storica risale a tempi più antichi. Nata per omaggiare la massima carica del Libero Comune - il podestà - e in seguito della Repubblica di Genova (i Capitani del popolo) e dal 1339 il doge stesso - la cerimonia popolare consiste nel donare all'autorità pubblica un grosso tronco d'alloro coperto da rami e adornato di nastri bianchi-rossi, i colori del vessillo di Genova, e nella relazione dei diversi problemi cittadini ai quali l'amministrazione locale deve porre rimedio.
Il confuoco di Rapallo nel 2007
La commemorazione storica vuole che sia l'abate del popolo - per Genova il rappresentante delle tre podesterie del Bisagno, del Polcevera e di Voltri - o il governatore/rappresentante di una zona della città ad officiare tale manifestazione.
Il confuoco fu celebrato annualmente fino al 1499 quando fu abolito durante la dominazione francese del re Luigi XII; ripristinato nel 1530 fu nuovamente soppresso dal Senato della Repubblica di Genova il 30 dicembre del 1637 poiché, secondo il testo del senato, causava gran confusione e una grave spesa per la popolazione della val Bisagno.
La cerimonia - celebrata in seguito con toni minori e più in forma "privata" - fu comunque eseguita fino al 24 dicembre 1796 dove l'ultimo abate di San Martino di Struppa, Antonio Bazzorao, consegnò l'augurio di inizio d'anno al doge Giacomo Maria Brignole. Storicamente fu l'ultimo omaggio alla massima carica repubblicana poiché dal 22 maggio 1797 la nuova dominazione francese di Napoleone Bonaparte decretò la soppressione della Repubblica di Genova e, di conseguenza, della manifestazione popolare.
A Genova l'allora manifestazione prevedeva lo scambio di auguri tra l'abate del popolo e il doge a palazzo Ducale lasciando nel cortile il ceppo di alloro e rami, chiamato confeugo da cui deriva la denominazione della cerimonia storica. L'abate, giunto al cospetto della massima carica repubblicana, proferiva le seguenti parole di saluto in lingua genovese Ben trovòu, Mesê ro Duxe (Tradotto in lingua italiana: Ben trovato, signor Doge) il quale rispondeva a quest'ultimo con l'affermazione Ben vegnuo Mesê l'Abòu, Ben venuto, signor Abate.
Dopo lo scambio dei doni, un mazzo di fiori finti per il doge e un biglietto cartulario da cento lire del Banco di San Giorgio per l'autorità religiosa, l'abate elencava i problemi della popolazione cui il doge avrebbe dovuto porre rimedio nell'anno successivo. Il ceppo d'alloro veniva acceso nella notte della vigilia di Natale dal doge alla presenza di personalità dei collegi comunali e dell'arcivescovo di Genova; la cerimonia si concludeva con lo spegnimento del falò gettandogli sopra del vino, zucchero e confetti e con un banchetto gratuito presso il palazzo ducale.
Nella cerimonia del 22 dicembre 2007 si è verificato nel confuoco del comune di Genova un evento storico[1] poiché, per la prima volta nella storia della kermesse popolare, si è dovuto cambiare la classica formula di saluto del XV secolo. Nel saluto tradizionale l'abate si è rivolto alla sindaco genovese Marta Vincenzi - prima donna a diventare primo cittadino del capoluogo ligure - con la denominazione Madamma Duxe (signora Doge) anziché il classico Messé ro Duxe.
Ancora oggi la festività viene rinnovata in diversi comuni e borghi della Liguria con uguale formula ufficiale - il falò del ceppo d'alloro - ma con varie modalità celebrative a seconda del comune. Nel ponente ligure viene officiata ad Albenga (nella frazione di Lusignano), Pietra Ligure, Noli, Savona, Varazze, Arenzano e Genova; nel levante nei comuni di Uscio, Recco, Santa Margherita Ligure, Rapallo, Chiavari, Lavagna e Sestri Levante (quest'ultima nella frazione di Riva Trigoso).
Ed ecco la descrizione e spiegazione di Cesare Dotti (digilander)
Il Confuoco (in genovese Confêugo) è stato mutuato, in anni relativamente recenti e per mantenere un legame con la tradizione regionale, dalla cerimonia medioevale celebrata tradizionalmente in Genova, capitale della Repubblica Serenissima, sospesa talora (come nel 1637) per vari motivi, talora di tipo economico e soppressa definitivamente nel 1797: fu ripresa 127 anni dopo, il 24 dicembre del 1923, dall'Associazione genovese "A Compagna di Zeneixi", la madre di tutte le associazioni riunite oggi nella ligure Consulta che ne hanno seguito l'esempio anche nella celebrazione del Confêugo introducendolo anche in altre località della Repubblica Genovese nelle quali in effetti non era mai stato celebrato. Fuori Genova si ha unicamente notizia di Confêughi celebrati anticamente nelle Colonie genovesi del Levante e nel dominio di Corsica, quasi come un collegamento di sentimenti con la Patria lontana. La cerimonia genovese risale ai primi anni del XIV secolo ma certamente l'usanza era più antica: l'omaggio era dapprima offerto al Podestà, capo supremo del Comune, in seguito passò ai Capitani del Popolo ed infine, dal 1339 in poi, al Doge. "O Confêugo" (letteralmente il Confuoco), che consisteva in un grosso tronco di alloro (de öfêuggio) adorno di fronde, fiori e di nastri bianchi e rossi (i colori della Repubblica), era il saluto di Capo d'Anno e rappresentava l'omaggio del popolo e lo scambio di voti augurali con le più alte cariche della Repubblica. Il privilegio della consegna era riservato, pare sin dal 1307, agli Abati del Popolo rappresentanti le Podesterie del Bisagno e del Polcevera che si alternavano nella cerimonia: questa era anche il primo atto ufficiale dell'Abate neoeletto per il nuovo anno. Successivamente fu incombenza del solo Abate del Bisagno: l'ultimo Confêugo fu celebrato il 24 dicembre 1796 dall'Abate Antonio Bazzorro della parrocchia di San Martino di Struppa. Alla vigilia di Natale la popolazione del Bisagno si recava in processione al ponte di Sant'Agata dove, salendo su due appositi massi, avveniva il passaggio dello stendardo di S. Giorgio e delle consegne tra Abate in scadenza e quello di nuova nomina. Ricordiamo che lo stendardo di S. Giorgio era custodito durante l'anno nella chiesa di S. Maria delle Nasche, presso Bavari. Si riformava il corteo, che dalla Porta d'Arco era scortato dalle milizie cittadine e l'Abate, affiancato dal notaro (che faceva funzione di sindaco del suo villaggio) dopo aver accompagnato, con il popolo e gli sbandieratori con bandiere rossocrociate, il tronco di alloro, trainato da bianchi buoi aggiogati, fin nel cortile di Palazzo Ducale, o Paxo, saliva all'appartamento dogale, si presentava la Doge e con deferenza proferiva il rituale saluto "Ben trovòu Messê ro Dûxe" (Ben trovato Signor Doge): il Doge rispondeva "Ben vegnûo Messê l'Abbòu" (Benvenuto Signor Abate). L'Abate poi augurava le Buone Feste al Doge e gli riferiva sulle condizioni della sua valle: il Doge ringraziando donava una somma di denaro e dolci e vini alla folla dopo di che il corteo si scioglieva. Sopraggiunta la sera, all'ora dell'Ave Maria il Doge con le autorità e i rappresentanti dei Patrizi genovesi scendeva a dar fuoco al tronco d'alloro (o Confêugo appunto) dopo averlo asperso di vino e poi gettava tra le fiamme vino, zucchero e confetti: la cerimonia in piazza così aveva fine e seguiva un sontuoso ricevimento negli appartamenti con distribuzione di vini, confetterie e arance della riviera. L'abbruciamento rituale faceva sì che il popolo attribuisse ai tizzoni poteri magici e taumaturgici e la lotta per impossessarsene era così viva che si dovette imporre che il Cintraco(*) raccogliesse lui i residui del Confêugo arso per procedere poi ad un'equa distribuzione tra i richiedenti.
(*) Nel medioevo era il Pubblico Ufficiale che teneva le chiavi della città e della torre comunale, chiamava il popolo a parlamento e conduceva ambascerie. Dal ligure Cèntrego derivante dal greco bizantino KentraKos.
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... grazie Marina, come posso, riprendo anche io a inserire qualcosa
un saluto
Piero e famiglia. -
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Questo lo avrei voluto postare prima, ma non lo trovavo.
Ora l'ho trovato, è ancora festa, alloraAuguri da Genova!!!!
Edited by marmari - 26/12/2017, 11:27. -
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GIOVANNI GIUSTINIANI LONGO
L'EROE DI COSTANTINOPOLI
29 maggio 1453: secondo alcuni storici, è questa la data che segna la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, con buona pace di Cristoforo Colombo.
Quarant’anni prima della scoperta dell’America da parte di un genovese, infatti, cadeva in mano dei turchi la città di Costantinopoli; e, anche in questa occasione, un genovese ha giocato un ruolo non da poco nella storia.
Stiamo Parlando di Giovanni Giustiniani Longo, un condottiero genovese che, nonostante la giovane età, riuscì fino all’ultimo a tenere testa alle truppe del sultano, infondendo coraggio e speranza alle truppe greche grazie al suo forte carisma; solo una tragica eventualità, voluta dal destino, infranse i suoi piani.
Giovanni Giustiniani Longo fu sicuramente uno dei più importanti e controversi personaggi testimone degli ultimi giorni dell’impero bizantino ed esponente di una delle più nobili famiglie della città (la famiglia Giustiniani infatti aveva possedimenti e traffici commerciali nel levante e in particolare nel mar Egeo), e svolgeva a tutti gli effetti il mestiere di corsaro “ante litteram”, cioè era comandante di una nave privata, autorizzato dal proprio governo di attaccare navi nemiche.
In quegli anni, i turchi ottomani, forti degli ultimi successi contro le potenze balcaniche, avevano circondato la città di Costantinopoli, la capitale dell’impero bizantino: infatti la città, posta sul Bosforo tra Asia e Europa, da sempre considerata la “seconda Roma”, era ormai una città in decadenza, e il giovane sultano ottomano, Maometto II, la bramava più di qualsiasi altra cosa.
L’ultimo imperatore bizantino, Costantino XI, cosciente della drammaticità della situazione in cui versava la città, mandò richieste d’aiuto alle potenze europee; purtroppo, nessun aiuto giunse da Occidente.
Insperatamente, a fine gennaio del 1453, due navi latine, battenti bandiera genovese, comparvero all’orizzonte: Giovanni, con 700 armati, di cui 500 balestrieri genovesi, sbarcò a Costantinopoli con un grande carico di provviste e munizioni, tra l’entusiasmo della popolazione; vista la sua esperienza in assedi, fu nominato protostator, ossia comandante delle difese dall’imperatore, e messo a guardia e a protezione delle mura della città.
Il contingente genovese comandato da Giovanni Longo si distinse per il valore e riuscì a contenere gli attacchi dei turchi; lo stesso Giovanni combatté valorosamente contro i turchi ispirando coraggio sia nei greci che nei latini, incutendo allo stesso tempo timore e rispetto nei suoi nemici, al punto tale che il sultano rimase abbagliato dalla sua forza e dal suo coraggio.
Il carattere del genovese, giovane e impetuoso, si andò a scontrare con il Megaduca bizantino Luca Notaras, anch’egli a difesa della città, e tradizionalmente avverso ai latini: secondo le fonti, infatti, Giovanni richiese al Megaduca un cannone da posizionare sulle mura, per rispondere al fuoco dei turchi; alla risposta negativa del bizantino, Giovanni rispose:
<<chi mi trattiene, o traditore, dall’ucciderti con la mia spada?>>.
Nelle ore finali dell’assedio, dopo giorni e giorni di battaglia, nei quali i genovesi si distinsero per il coraggio, Giustiniani fu tragicamente ferito e abbandonò la sua posizione: di conseguenza le truppe genovesi superstiti presero il mare, verso l’isola di Chios, portando il loro comandante ferito con loro, abbandonando la città al suo destino: alcuni cronisti sostengono addirittura che la disfatta della città di Costantinopoli sia dovuta proprio alla fuga del comandante genovese e alla confusione generata dal ritiro delle sue truppe.
La causa e l’entità della ferita fu un argomento di dibattito per gli storici; infatti le fonti e i vari cronisti sono discordi: alcuni parlano di un colpo di colubrina, altri di una freccia, altri ancora di una ferita da taglio.
I cronisti danno, in base alla loro appartenenza, un giudizio positivo o negativo sul comportamento di Giovanni Longo a seguito della ferita: alcuni sottolineano la gravità della situazione e l’emozione del giovane genovese che, vistosi perduto e, vista la sua giovane età, perde la fermezza e viene sopraffatto dalla paura; altri lo accusano di vigliaccheria e di aver abbandonato le posizioni, fingendosi ferito.
Gli storici quindi si dividono in quelli che lo accusano di codardia e quelli che difendono il suo operato; a me piace considerare una “terza via”, sicuramente meno scientifica ma più romantica, che vede un giovane genovese, ferito e spaventato dalla vista del suo sangue, desideroso di partire per rivedere un’ultima volta la sua Genova, la sua giovane sposa, il suo mare, i suoi monti.
Purtroppo, una volta partito da Costantinopoli, Giovanni morì pochi mesi dopo a Chios, per la gravità della ferita, e non rivide mai più Genova.
MATTEO SERLENGA
a GENOVA Pegli gli è stata dedicata una via
fonte: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&es...MVdQKjiw8eDmo6O
continua
un saluto
Piero e famiglia. -
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Podestà
Il palazzo Podestà o di Nicolosio Lomellino è un edificio sito in via Garibaldi al civico 7 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Fu costruito tra il 1559 e il 1565 da Giovan Battista Castello detto il "Bergamasco" e da Bernardino Cantone per volere di Nicolosio Lomellino, esponente di una famiglia in piena ascesa economica e politica. Imparentato con il principe Andrea Doria, accumulò ingenti capitali nella prima metà del Cinquecento quale concessionario della redditizia pesca del corallo nell'isola tunisina di Tabarca[1]. Agli inizi del Seicento la proprietà passò alla famiglia Centurione che effettuò una ristrutturazione interna, poi ai Pallavicini, ai Raggi ed infine ad Andrea Podestà, più volte sindaco di Genova tra il 1866 e il 1895.
La facciata, su progetto del Bergamasco, è movimentata da una ricca decorazione a stucco, con erme femminili alate, a sorreggere la cornice marcapiano del pianterreno; nastri e drappi a reggere, al primo piano, trofei d'armi; ghirlande e mascheroni a coronamento delle finestre, con figure classiche entro medaglioni ovali, al secondo. La decorazione a stucco all'antica, applicata per la prima volta in epoca moderna da Raffaello nelle Logge vaticane e precocemente importata a Genova dal suo allievo Perin del Vaga nella decorazione della villa del Principe, si dispiega qui per la prima volta su vasta scala coprendo l'intero prospetto. La sua esecuzione è attribuita all’urbinate Marcello Sparzo.
Anche nell'apparato festoso di stucchi dell'atrio a pianta ovale è evidente l'intervento progettuale del Bergamasco, che seppe introdurre a Genova le suggestioni della più aggiornata cultura manierista. La decorazione si dispiega dal medaglione ovale centrale con una Scena di trionfo di un condottiero circondata da mascheroni raccordati a quattro putti seduti sulla cornice stessa che reggono un capo dei festoni di frutti, agganciati agganciati a loro volta alle incorniciature delle quattro storie a bassorilievo, alternate ad altre figure efebiche sedute sul cornicione. Nonostante la complessità del disegno l'insieme risulta leggero e armonico allo spettatore che viene introdotto all'ampio cortile.
Il cortile aperto è delimitato ai lati dalle ali posteriori del palazzo, mentre le terrazze sovrastano un grandioso ninfeo realizzato nel Settecento su disegno di Domenico Parodi. Il ninfeo, che fonde armoniosamente elementi architettonici, naturali e scultorei, è erede di una tradizione particolarmente florida a Genova, che aveva già esempi illustri nella villa Pallavicino delle peschiere, nella villa del Principe, e nei vicini palazzi di Pantaleo Spinola e Balbi Senarega. Qui l'architetto-scultore Parodi ha ideato una soluzione monumentale e inedita che sfruttando le copiose acque di Castelletto raccorda il cortile con il giardino posto due livelli più in alto, affidando all'allievo Biggi le sculture in stucco dei giganteschi tritoni e del putto che getta l'acqua, mentre è perduto il gruppo di Fetonte precipitante dal cielo posto al centro della grotta e sgretolato nei secoli dall'acqua. Un giardino si apre verso il monte, eretto sfruttando il declivio della collina retrostante.
L'opera pittorica più antica del palazzo è il ciclo di affreschi realizzati nel 1623-1624 dal pittore genovese Bernardo Strozzi e successivamente occultati a causa di una lite con il committente Luigi Centurione, che aveva acquistato il palazzo nel 1609 da Nicolosio Lomellino. I documenti, ancor oggi esistenti, relativi alla lite intercorsa tra l'artista e Centurione (1625), confermano l'intervento del pittore in tre stanze del primo piano nobile, i cui affreschi furono celati dai successivi interventi con uno spesso strato di intonaco e una controsoffittatura nel salone centrale. Rimossa nel 2002, al di sotto di essa è ricomparsa, con i suoi colori smaglianti, l'Allegoria della Fede[4]. L'affresco mostra una scialuppa a remi dalla quale una donna, che rappresenta la Fede cristiana è aiutata a sbarcare sulla terraferma, per portare la fede agli indigeni del Nuovo Mondo, raffigurati nelle lunette circostanti insieme con gli animali esotici. A bordo della scialuppa vi sono anche due marinai e i quattro evangelisti, riconoscibili in quanto ciascuno di essi tiene in mano un libro. La Fede, sorretta dagli angeli, è invece identificata dal calice e dalla croce, mentre non è chiaramente riconoscibile il nobile con la spada che si ipotizza essere Cristoforo Colombo, che intratteneva rapporti di amicizia con la famiglia Centurione Scotto[5]. Le imprese di Colombo erano frequente soggetto nella decorazione dei palazzi genovesi, già protagoniste nel salone centrale di palazzo Belimbau affrescato dal Tavarone. Nelle altre due stanze, in condizioni più precarie, sono stati rinvenuti l'Astrologia e frammenti con la Navigazione e Tritoni[6]. Questo affresco, incompiuti, offrono oggi la rara opportunità di osservare la quadrettatura e il disegno preparatorio fatto con gesso nero.
L'opera pittorica più antica del palazzo è il ciclo di affreschi realizzati nel 1623-1624 dal pittore genovese Bernardo Strozzi e successivamente occultati a causa di una lite con il committente Luigi Centurione, che aveva acquistato il palazzo nel 1609 da Nicolosio Lomellino. I documenti, ancor oggi esistenti, relativi alla lite intercorsa tra l'artista e Centurione (1625), confermano l'intervento del pittore in tre stanze del primo piano nobile, i cui affreschi furono celati dai successivi interventi con uno spesso strato di intonaco e una controsoffittatura nel salone centrale. Rimossa nel 2002, al di sotto di essa è ricomparsa, con i suoi colori smaglianti, l'Allegoria della Fede. L'affresco mostra una scialuppa a remi dalla quale una donna, che rappresenta la Fede cristiana è aiutata a sbarcare sulla terraferma, per portare la fede agli indigeni del Nuovo Mondo, raffigurati nelle lunette circostanti insieme con gli animali esotici. A bordo della scialuppa vi sono anche due marinai e i quattro evangelisti, riconoscibili in quanto ciascuno di essi tiene in mano un libro. La Fede, sorretta dagli angeli, è invece identificata dal calice e dalla croce, mentre non è chiaramente riconoscibile il nobile con la spada che si ipotizza essere Cristoforo Colombo, che intratteneva rapporti di amicizia con la famiglia Centurione Scotto[5]. Le imprese di Colombo erano frequente soggetto nella decorazione dei palazzi genovesi, già protagoniste nel salone centrale di palazzo Belimbau affrescato dal Tavarone. Nelle altre due stanze, in condizioni più precarie, sono stati rinvenuti l'Astrologia e frammenti con la Navigazione e Tritoni[6]. Questo affresco, incompiuti, offrono oggi la rara opportunità di osservare la quadrettatura e il disegno preparatorio fatto con gesso nero.
Al secondo piano nobile è invece conservata la decorazione a tema mitologico voluta agli inizi del XVIII secolo dai Pallavicino. È costituita da capolavori dei maggiori esponenti del tardo barocco genovese. In due salotti del piano nobile il bolognese Giacomo Antonio Boni affrescò Giove e la capra Amaltea e Domenico Parodi Bacco regge la corona Arianna. Di Lorenzo De Ferrari è la decorazione a stucco e ad affresco con figure di divinità sulla volta della galleria. Il salone, decorato da Tommaso Aldrovandini, custodisce cinque celebri tele con Storie di Diana eseguite da Marcantonio Franceschini, pittore bolognese chiamato a Genova per la decorazione del salone del Maggior Consiglio di palazzo Ducale.
Al secondo piano nobile è invece conservata la decorazione a tema mitologico voluta agli inizi del XVIII secolo dai Pallavicino. È costituita da capolavori dei maggiori esponenti del tardo barocco genovese. In due salotti del piano nobile il bolognese Giacomo Antonio Boni affrescò Giove e la capra Amaltea e Domenico Parodi Bacco regge la corona Arianna. Di Lorenzo De Ferrari è la decorazione a stucco e ad affresco con figure di divinità sulla volta della galleria. Il salone, decorato da Tommaso Aldrovandini, custodisce cinque celebri tele con Storie di Diana eseguite da Marcantonio Franceschini, pittore bolognese chiamato a Genova per la decorazione del salone del Maggior Consiglio di palazzo Ducale.
Fonte sito dei Rolli
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Cattaneo-Adorno
Il palazzo Cattaneo-Adorno o palazzo Lazzaro e Giacomo Spinola è un edificio sito in via Garibaldi, nel centro storico di Genova, contraddistinto dai numeri civici 8 e 10, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. È considerato da molti storici d'arte uno degli palazzi più particolari e belli di Genova.
I cugini Lazzaro e Giacomo Spinola fecero costruire il palazzo tra 1583 e 1588. L'attuale attribuzione di due distinti numeri civici è dovuta al fatto che il palazzo, benché costituito da un unico corpo di fabbrica, è formato da due distinte e simmetriche dimore. La particolarità della doppia costruzione è ancor oggi evidenziata dalla presenza dei due identici portali affacciati sulla via. Le due proprietà, passarono successivamente alle famiglie Cattaneo e Adorno, che ne determinarono le diverse vicende decorative negli interni.
All'interno del portone al numero 10 la decorazione affrescata, opera di Lazzaro Tavarone, celebra sulla volta dell'atrio un'impresa bellica di Antoniotto Adorno, antenato dei proprietari, datata 1624. Nella sala del piano nobile, sempre di Lazzaro Tavarone, è l'affresco raffigurante l'Incontro di Urbano VI a Genova con il doge Antoniotto Adorno.
In altri salotti sotto le volte affrescate con soggetti mitologici, si conservano preziosi mobili e soprammobili e parte della ricca e nota quadreria comprendente notevoli dipinti tra il XVI e il XVII secolo.
Costruito a partire dal 1562 su progetto di Giovanni Ponzello per Baldassarre Lomellini, passò a fine Settecento a Cristoforo Spinola e poi a Domenico Serra. Attualmente è di proprietà della famiglia Campanella.
Il palazzo presentava all'origine una facciata con finta decorazione architettonica dipinta a fresco, e risultava coronato da una monumentale loggia aperta; il portale scolpito, opera di Taddeo Carlone, ci è invece pervenuto nelle sue forme originali. Come per molti altri palazzi, la sua forma originale ci è pervenuta attraverso la preziosa testimonianza di Rubens.
Le decorazioni originali degli interni, non pi? visibili nella loro integrità, erano opera di G.B. Castello il Bergamasco : di essi rimane solo qualche traccia nelle "Storie di Enea e Didone", attribuite a G.B. Castello, nel salotto del piano rialzato e negli affreschi di Andrea Semino (1569) in una camera del primo piano.
Il palazzo subì molti interventi, dovuti in parte al bombardamento navale francese del 1684, in parte ai radicali rinnovamenti compiuti soprattutto negli interni da Andrea Tagliafichi e da Charles de Wailly per Cristoforo Spinola a partire dal 1770, e infine ai bombardamenti aerei del 1942.
Fonte sito dei Rolli
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Una ricetta tipicamente genovese
La farinata di ceci è una torta salata molto bassa a base di acqua e farina di ceci, cotta in forno a legna fino a formare una deliziosa crosticina dorata. Oggi però vi proponiamo la ricetta per realizzarla nel vostro forno di casa! La farinata di ceci è una specialità ligure, tipica in particolar modo della città di Genova, ma con origini molto antiche che risalgono con tutta probabilità all’antichità greca e latina. Tuttavia la leggenda che la riguarda risale al periodo delle Repubbliche Marinare, e narra che la farinata così come la conosciamo oggi sia nata nel 1284, quando Genova sconfisse Pisa nella battaglia di Meloria. Al ritorno dalla battaglia, le navi genovesi si trovarono coinvolte in una tempesta ed alcuni barili d'olio e farina di ceci si rovesciarono bagnandosi d'acqua salata. A causa della scarsità di provviste, fu recuperato tutto il possibile e ai marinai fu servito quel miscuglio di ceci ed olio che questi, nel tentativo di rendere meno sgradevole, misero ad asciugare al sole fino ad ottenere una sorta di frittella. A terra i Genovesi perfezionarono la ricetta di fortuna rendendola la specialità che gustiamo ancora oggi, e che, per scherno agli sconfitti, chiamarono l'oro di Pisa. La farinata di ceci, però, è una ricetta povera fatta con ingredienti semplici e molto comuni in tutto lo stivale, e infatti la sua diffusione non riguarda solo la Liguria, ma se ne conoscono numerose versioni che prendono un nome diverso a seconda della zona di cui sono tipiche. Famosa ad esempio la cecina pisana, la torta livornese del 5 e 5, la socca piemontese, la fainè sassarese… basta spostarsi di poco che cambia il suo nome, ma il gusto autentico e squisito di questo street food italiano rimane sempre buonissimo: non vi resta che provarlo!
Fonte: GIALLO ZAFFERANO
Edited by marmari - 6/1/2018, 14:31. -
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Eeee, scusa, dove sarebbe la ricetta?
Allora, visto che hai promesso ma mal mantenuto, anche se qui non sarebbe l'angolo della cucina, diciamo
300 g farina di ceci
1l acqua
Sale 1 cucchiaino
Olio q.b.
Ma con ciò, mica basta.
Per non farla attaccare alla teglia (testo) di rame bisogna eseguire una preparazione della teglia stessa e poi una procedura per versare il composto (stemperato perfettamente, altrimenti restano grumi ed è un pasticcio) senza far scappare l'olio (discretamente abbondante) con cui è stato irrorato il fondo della teglia.
Consiglio per chi la vuol fare in casa, usare una teglia antiaderente.
Non deve essere troppo spessa, deve cuocere velocemente. Quindi, la dose serve per 2 teglie da 40.
Inoltre forno caldissimo (dai 300° in su) e calore in tutto il forno, quindi se il forno è a gas accensione sotto più grill, se elettrico, termoventilazione.
E con questo, caro compaesano, ho completato. Su questo sono esperta, ho imparato da un fainotto e la faccio da una vita abbastanza lunga.
EDIT: Un appunto. Quando si copia pari pari, si mette sempre la fonte. Ci si evitano inutili contestazioni. -
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... non era genovese (e neppure italiano) ma Genova lo accolse con affetto e lui, per ricambiare, a Genova fece nascere il calcio italiano e lo scoutismo JAMES RICHARDSON SPENSLEY
nel suo studio di medico
in campo nel suo ruolo di portiere
la targa posta a Genova, in suo ricordo
James Richardson Spensley nacque a Stoke Newington (Londra) il 17 maggio 1867, figlio del Reverendo William Spensley ed Elizabeth Alice. Nell’ambito del percorso scolastico James studiò medicina e chirurgia presso l’Ospedale di Londra, dove, dopo la laurea certificata nel 1891, praticò come chirurgo interno e assistente del professor Down (scopritore della sindrome che porta il suo nome). Nel 1896 James fu inviato a Genova per assistere i membri degli equipaggi delle navi carboniere britanniche che vi facevano scalo. Si fermò per 19 anni inserendosi perfettamente nel tessuto sociale cittadino. Da buon inglese e da grande sportivo, si iscrisse al Genoa Cricket and Athletic Club e subito propose l’estensione delle attività sportive al football, assumendo di fatto il ruolo di pioniere del calcio in Italia.
Gentiluomo colto ed eclettico, James intratteneva persone di ogni ceto sociale ai tavoli dei caffè del centro, discutendo dalla filosofia alla matematica, dalle lettere antiche ai geroglifici. Grazie alla sua indole di filantropo prestava gratuitamente l’opera di medico a favore degli abitanti più poveri del centro storico, dando spesso, insieme al supporto, anche il denaro necessario per le terapie. Il buon dottore, “U Mêgu ingleise”, come era familiarmente chiamato sulle banchine e nei vicoli, la sera si trasformava in insegnante e teneva corsi di alfabetizzazione per piccoli venditori di fiammiferi e giornali. Essendo pure un valente pugile, insegnava loro i segreti della “noble art”. Capitano del football, organizzava incontri che inizialmente opponevano la squadra del Genoa agli equipaggi inglesi sul terreno storico di Ponte Carrega. Con la diffusione del calcio, nel 1898 si giunse a giocare il primo campionato italiano, che, come tutti sanno, fu appannaggio del Genoa Cricket and Football Club. Per altre cinque volte Spensley, portiere e capitano guidò i futuri “rosso-blu” a vincere il campionato nazionale.
Fu nel 1910 che Spensley venne a conoscenza di un movimento, nato nella sua patria, che proponeva ai giovani avventure all’aria aperta, crescendo in salute e rafforzandone il carattere e la responsabilità individuale, nella scoperta del mondo circostante. Nello stesso anno incontrò in Inghilterra il generale Baden-Powell, che solo tre anni prima aveva progettato e sperimentato quel metodo educativo. Tornato in Italia, incontrò il maestro genovese Mario Mazza che applicava un metodo simile con ragazzi riuniti in gruppi chiamati “Gioiose”. Ottenuto dal Comune uno spazio nella chiesa medievale di S. Agostino, sconsacrata dall’epoca napoleonica, Spensley, divenne “commissario” della nuova Associazione. Fino al 1914 il Dr. Spensley impegnò tutto il tempo libero come capo dei “Ragazzi Esploratori”. Aveva scoperto nella valle del fiume Bisagno una casetta rosa, nei pressi di un altopiano e un bosco di castagni. Ebbene James l’arredò come una baita di montagna, attrezzandola come base per bivacchi, giochi ed escursioni; ancora oggi, per i vecchi scout, questo posto è la “Valletta Spensley”.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, Spensley non esitò a offrire i suoi servizi al proprio paese, come medico dell’esercito. Un anno al fronte. Poi la triste notizia della sua morte raggiunse Genova. Era stato gravemente ferito il 25 settembre 1915 nelle Fiandre. Colleghi ufficiali riferirono che fu colpito mentre stava aiutando un ufficiale ferito (o un ferito avversario, secondo un’altra fonte), nonostante uno spaventoso fuoco nemico e che “per due volte venne tirato giù sotto copertura contro la sua volontà”. Sopravvisse un mese e mezzo grazie alla sua fibra di atleta, prigioniero nella fortezza di Magonza, dove spirò il 10 novembre 1915. Fu sepolto con gli onori militari resigli dagli ufficiali alleati prigionieri ed anche dagli ufficiali tedeschi.
Oggi il dottor Spensley riposa nel cimitero militare inglese di Niederzwehren presso Kassel. Nelle vicinanze si estende un campo di calcio… La leggenda continua.
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un saluto
Piero e famiglia. -
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Doria-Tursi
Il palazzo Doria-Tursi o palazzo Niccolò Grimaldi è un edificio sito in via Garibaldi al civico 9 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova, divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. L'edificio è sede del Comune di Genova e fa parte del polo museale della città.
Il palazzo fu eretto a partire dal 1565 da Domenico e Giovanni Ponzello per Niccolò Grimaldi, appellato "il Monarca" per il novero di titoli nobiliari di cui poteva vantarsi, e ai quali sommava gli innumerevoli crediti che aveva nei confronti di Filippo II, di cui era il principale banchiere. È l'edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte nel 1597, quando il palazzo divenne proprietà di Giovanni Andrea Doria che lo acquisì per il figlio cadetto Carlo, Duca di Tursi, al quale si deve l'attuale denominazione. Dal 1848 è sede del municipio genovese.
La facciata è caratterizzata dall'alternarsi di materiali di diverso colore: il rosa della pietra di Finale, il grigio-nero dell'ardesia, il bianco del pregiato marmo di Carrara. Il prospetto principale consta di due ordini sovrapposti.
Il piano rialzato sopra la grande zoccolatura alterna finestre dal disegno originale con paraste rustiche aggettanti sostituite, al piano superiore, da paraste doriche. Mascheroni dalle smorfie animalesche sormontano le finestre di entrambi i piani, contribuendo alla resa plastica della facciata.
Il portale marmoreo è coronato dallo stemma di Genova.
Particolarmente innovativa è l'inedita e geniale soluzione architettonica che con la successione degli spazi interni - atrio, scala, cortile rettangolare sopraelevato rispetto al portico e scalone a doppia rampa - crea un meraviglioso gioco di luci e prospettive.
Il palazzo rappresenta il culmine del fasto residenziale dell'aristocrazia genovese, come testimoniato dalle decorazioni interne, dai dipinti, in parte facenti parte della collezione museale di Palazzo Bianco o come visibile all'interno del Salone di rappresentanza negli affreschi e nei dipinti.
L'edificio è collegato all'adiacente Palazzo Bianco.
Fa parte del polo museale genovese e ospita le ultime sale della galleria del museo con la pittura genovese del XVII e XVIII secolo, la Maddalena Penitente di Antonio Canova, la collezione numismatica e quella di ceramiche del comune di Genova. Due sale del percorso espositivo sulle volte presentano affreschi di Nicolò Barabino (La Munificenza) e Pietro Fea (Carro del Sole).
Nella Sala Paganiniana sono conservati: il violino costruito dal liutaio italiano, Bartolomeo Giuseppe Antonio Guarneri e appartenuto a Niccolò Paganini e detto Il Cannone, la copia del violino costruita dal liutaio francese Jean-Baptiste Vuillaum, a Parigi 1834 per Paganini e appartenuta a Camillo Sivori e altri cimeli appartenuti al più celebre violinista italiano di ogni tempo.
Tra le varie collezioni, di interesse vi è una relativa ai pesi e alle misure ufficiali utilizzati nell'antica Repubblica di Genova.
Ed una collezione numismatica in cui fa spicco il "Genovino", prima moneta d'oro italiana. (coniato di poco prima del fiorino di Firenze)
Fonte: Wikipedia e il sito dei Rolli
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Rosso
Il palazzo Rodolfo e Francesco Maria Brignole o Palazzo Rosso è un edificio sito in via Garibaldi al civico 18 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista dei 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova, riconosciuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Ospita la prima sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche palazzo Bianco e palazzo Doria-Tursi, dedicata principalmente alle collezioni d'arte dei Brignole-Sale, in parte ospitate in sale che conservano l'arredo e la decorazione originale.
« Il primo Palazzo che ho visto è stato il palazzo Brignole; facciata rossa, scalone di marmo. Le statue non sono grandi come in altri palazzi ma la manutenzione, i mosaici dei pavimenti e soprattutto i quadri lo rendono uno dei più ricchi di Genova »
(Gustave Flaubert, Notes de voyage, 1845)
Costruito tra il 1671 e il 1677 su progetto dell'architetto Pietro Antonio Corradi per volontà dei fratelli Rodolfo e Gio Francesco Brignole Sale, a questa famiglia rimase fino al 1874, anno in cui fu donato alla città dall'ultima erede, Maria duchessa di Galliera, per "accrescere il decoro e l'utile" di Genova e con l'evidente intenzione di lasciare ai posteri un segno della stirpe dei Brignole Sale anche con il contributo delle sue importanti collezioni d'arte.
I primi interventi decorativi furono realizzati dal 1679 da Domenico Piola e Gregorio De Ferrari con la collaborazione di quadraturisti e stuccatori, portando a compimento il Salone e l'affresco sulla volta, capolavoro del De Ferrari, distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, e quattro sale la cui decorazione è dedicata alle stagioni dell'anno.
Nel 1691 iniziò la seconda fase decorativa con gli affreschi di Giovanni Andrea Carlone, Carlo Antonio Tavella, Andrea Leoncini e di Bartolomeo Guidobono. Gli interventi di restauro e completamento decorativo continuarono fino alla metà del XIX secolo.
Continuatore della committenza artistica fu Giovanni Francesco Brignole Sale che nel 1746 fu eletto Doge della Repubblica di Genova. In quell'anno ad opera dell'architetto Francesco Cantone venne definito l'attuale aspetto della facciata, caratterizzato da protomi leonine che segnano gli architravi delle finestre dei due piani nobili. Il simbolo richiama l'arma araldica della famiglia, raffigurante un leone rampante sotto un albero di prugne, chiamate in dialetto genovese brignòle.
Oltre al palazzo, la duchessa di Galliera nel 1874 donò al Comune di Genova la splendida quadreria che, unitamente agli arredi, formava il nucleo storico delle collezioni del museo: oculate acquisizioni e commissioni effettuate per oltre due secoli a dimostrazione dell'ascesa sociale, economica e politica della famiglia Brignole Sale.
A partire dalle prime commissione della prima metà del Seicento ad alcuni grandi artisti come Antoon Van Dyck da parte di Gio Francesco Brignole, anche i successori continuarono questa politica apportando un significativo ampliamento delle ricche collezioni d'arte anche grazie alle eredità ricevute (in particolare quelle di due diversi rami dei Durazzo).
Oggi la quadreria si caratterizza sia per i ritratti fiamminghi sia per i dipinti di Guido Reni, di Guercino, di Mattia Preti, di Bernardo Strozzi, sia da tavole e tele d'ambito veneto del XVI secolo, fra le quali meritano d'essere ricordate le opere di Palma il Vecchio e del Veronese.
Negli anni 1953-1961 furono effettuati importanti restauri, grazie ai quali gli spazi espositivi vennero più che raddoppiati in funzione di una diversa sistemazione della quadreria, inserendo anche opere non pertinenti il nucleo storico, come la collezione di ceramiche e quella numismatica in precedenza ubicate altrove.
Di diversa provenienza era anche la collezione tessile, per la quale nell'occasione venne realizzato un deposito. Inoltre trovarono sistemazione nel mezzanino fra il primo e il secondo piano nobile del gabinetto disegni stampe, la collezione topografica e la collezione cartografica.
Dopo il 1992 è stato attuato un nuovo ordinamento, privilegiando il recupero e l'esposizione di tutte le opere appartenute alla collezione Brignole-Sale, in precedenza in parte spostate in Palazzo Bianco e in parte in deposito. A partire dal 2004 sono stati aperti il miradore, l'appartamento ideato da Franco Albini per Caterina Marcenaro e gli ambienti dedicati agli ultimi Brignole-Sale, con mobili provenienti dalla residenza parigina della famiglia, l'Hôtel Matignon, e quelli ottocenteschi del palazzo, realizzati dell'ebanista inglese Henry Thomas Peters.
Opere principali
Guercino
Cleopatra morente
Il suicidio di Catone
Madonna col Bambino, San Giovannino e i santi Giovanni Evangelista e Bartolomeo
Veronese
Giuditta e Oloferne
Gregorio De Ferrari
Affresco della Primavera
Affresco dell'Estate
Antoon van Dyck
Ritratto di Paolina Adorno-Brignole-Sale
Ritratto equestre di Anton Giulio Brignole-Sale
Cristo portacroce
Ritratto di Filippo Spinola di Tassarolo
Ritratto dell'orefice Pucci con il figlio
Cristo della moneta
Ritratto di Geronima Sale Brignole con la figlia Aurelia
Albrecht Dürer
Ritratto di giovane veneziano, 1506
Palma il Vecchio
Madonna col Bambino tra i santi Giovanni Battista e Maddalena, 1520-1522 circa
Guido Reni
San Sebastiano
Bernardo Strozzi
Cuoca
Madonna col Bambino e san Giovannino
Pifferaio
Ludovico Carracci
Annunciazione
Giovanni Battista Chiappe
Ritratto del Doge Rodolfo Maria Brignole Sale
Grechetto
Il viaggio della famiglia di Abramo
Natività
Fuga di pecore
Fonte: Wikipedia e il sito dei Rolli
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Baldassarre Lomellini
Il palazzo Baldassarre Lomellini o palazzo Campanella è un edificio sito in via Garibaldi al civico 12 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Il palazzo, che deve il suo nome alle due piccole torri a coronamento delle sue parti laterali, Fu costruito nel 1716 dall'architetto Giacomo Viano per Giovan Andrea Doria, duca di Tursi. Il suo scopo era di creare una quinta scenografica destinata a dare respiro e luce al nobile palazzo antistante, nascondendo la vista delle fatiscenti case medievali.
Fu costruito a partire dal 1562 per Baldassarre Lomellini su progetto di Giovanni Ponzello. Andrea Semino ne affrescò i saloni con storie romane. Il palazzo cambiò proprietà già a fine Cinquecento, passando dapprima nelle mani della famiglia Salvago per pervenire poi nel 1772 nelle mani di Cristoforo Spinola, ambasciatore della Repubblica di Genova in Francia, che ne commissionò la ristrutturazione al genovese Emanuele Andrea Tagliafichi coadiuvato dal francese Charles de Wailly, che costruì il famoso Salone del Sole, distrutto dai bombardamenti del 1942.
Dopo un decennio di lavori, che portarono all'ampliamento dell'ala ovest ed un rinnovato decoro interno di gusto francese, lo Spinola, trasferitosi in Francia, vendette l'edificio al marchese Domenico Serra. Nel 1917 fu acquistato poi dall'armatore Tito Campanella che vi stabilì i propri uffici e ne abitò il secondo piano nobile. Oggi è aperto al pubblico il primo piano, dove è possibile ammirare gli affreschi del Semino ed una stanza di gusto romantico realizzata agli inizi dell'Ottocento da Michele Canzio.
Fonte: Wikipedia e il sito dei Rolli
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Bianco
Palazzo Bianco è il soprannome del palazzo Brignole, un edificio sito in via Garibaldi al civico 11 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO.
Ospita una sezione dei Musei di Strada Nuova, che comprendono anche palazzo Rosso e palazzo Doria-Tursi, specificamente dedicata alla pittura a Genova e in Liguria tra XVI e XVIII secolo, e con importanti sezioni di arte italiana, fiamminga e spagnola.
Il palazzo occupa il sito della dimora costruita tra il 1530 e il 1540 da Luca Grimaldi, membro di una delle più importanti famiglie genovesi, dal 1658 essa passò in proprietà alla famiglia Franchi de Candia e nel 1711 venne ceduta, dagli eredi di Federico De Franchi, a Maria Durazzo Brignole-Sale, loro principale creditrice.
La nuova proprietaria, che intendeva destinarlo al nipote cadetto Gio. Giacomo, fra il 1714 ed il 1716 fece ricostruire quasi per intero il palazzo che da allora fu denominato Bianco per il colore chiaro dei paramenti esterni.
Nel 1889, alla morte di Maria Brignole Sale De Ferrari, duchessa di Galliera, ultima discendente della famiglia, il palazzo venne ereditato dal Municipio e, per volere di quest'ultima, destinato a galleria pubblica.
"Per la formazione di una pubblica galleria": con queste parole, nel testamento del 1884, si trova l'intenzione della duchessa di Galliera di adibire il palazzo ad uno spazio pubblico, con la prospettiva di incrementare le opere d'arte già in esso contenute, costituendo il primo nucleo del museo civico.
A partire dal 1887 si arricchì di numerose collezioni private e il municipio stesso intervenne con un'oculata politica di acquisti.
La disposizione delle sale e la trasformazione in pinacoteca derivano dal trasferimento di sculture e affreschi in altre sedi museali e dal riordino, seguito alla ricostruzione postbellica del palazzo; restauro del palazzo e riordino delle collezioni furono decisi da una commissione composta da Orlando Grosso, Carla Mazzarello, assessore alle Belle Arti del Comune di Genova, Caterina Marcenaro, direttore alle Belle Arti del Comune, Mario Labò, architetto,[1] e da Franco Albini, architetto, il cui intervento è considerato una delle opere più significative del razionalismo italiano finalizzato a un recupero storico. L'allestimento delle collezioni fu curato da Carla Mazzarello. Il palazzo venne aperto alla cittadinanza nel 1950.
La pinacoteca offre una panoramica della pittura europea dal Cinquecento al Settecento, con una grande prevalenza di pittori genovesi, fiamminghi, francesi, spagnoli. Sono esposti dipinti cinquecenteschi di Paolo Caliari detto il Veronese, Filippino Lippi, Giorgio Vasari, Luca Cambiaso e un'importante documentazione della pittura fiamminga e olandese dal XVI al XVIII secolo, tra i quali si possono ritrovare opere di Pieter Paul Rubens, Antoon Van Dyck e Gerard David.
Tra gli autori francesi e spagnoli del Sei-Settecento vi sono Francisco de Zurbaran, Bartolomé Esteban Murillo, Jose de Ribera e Simon Vouet.
L'attività dei pittori genovesi del XVII e XVIII secolo è documentata tra gli altri dalle opere del Grechetto, Bernardo Strozzi, Valerio Castello, Domenico Piola e dei figli Anton Maria e Paolo Gerolamo, Gregorio De Ferrari e Alessandro Magnasco. È presente inoltre dal 2009 la celeberrima scultura di Antonio Canova, la Maddalena penitente, che si trovava nel Museo di Sant'Agostino e che è stata collocata nell'adiacente Palazzo Tursi, che accoglie le ultime sale della galleria.
A Palazzo Bianco si può ammirare una importante raccolta di pittura genovese, italiana e europea dal XVI al XVIII secolo: accanto ad autentici capolavori di artisti italiani (Caravaggio, Veronese), fiamminghi (Hans Memling, Gerard David, Jean Provost, Rubens, Van Dyck), olandesi (Steen), francesi (Vouet, Lancret) e spagnoli (Zurbaràn, Murillo), spicca una vasta rassegna di pittura genovese dal Cinquecento al Settecento (Cambiaso, Strozzi, Piola, Magnasco).
Opere importanti
Luca Cambiaso, Madonna della candela
Caravaggio, Ecce Homo
Filippino Lippi, Pala di Francesco Lomellini, 1502-1503
Hans Memling, Cristo benedicente
Pieter Paul Rubens, Venere e Marte
Antoon Van Dyck, Vertummo e Pomona
Gerard David, Polittico della Cervara
Alessandro Magnasco, Intrattenimento in un giardino d'Albaro
Simon Vouet, David con la testa di Golia
Bartolomé Esteban Murillo, Fuga in Egitto
Francisco de Zurbarán, Sant'Orsola, Sant'Eufemia
Paolo Veronese, Crocifissione, Susanna e i vecchioni
Palma il Giovane, Cristo e la samaritana, L'adultera
Giorgio Vasari, Ritratto di gentiluomo fiorentino
Fonte: Wikipedia e il sito Musei di Strada Nuova
le foto sono inserite al solo scopo didattico/culturale, non si intende violare alcun diritto d'autore
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