"Caffè Zibaldone"

GENOVA per VOI

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline

    mj4pao_0



    salve
    da oggi iniziamo un racconto che ci porterà a conoscere Genova e tutto ciò a lei collegato; non sarà uno scritto canonico che inizia con il più classico dei c'era una volta, no, il nostro iter salterà da un'era all'altra senza preavviso, da un quadro ad un borgo dell'entroterra, da un carruggio ad una fontana, da un cantautore, all'emigrante di ma se ghe pensu.
    La Superba, come si chiamava una volta, non c'è più: colpa dei politici si, ma anche colpa di noi liguri, troppo silenti, poco inclini alla pubblicità, troppo pudichi per esibire le nostre bellezze, forse troppo sarveghi, chiusi in noi stessi e nel nostro maniman.
    Però siamo così, le cose bisogna strapparcele con la tenaglia ma...potevamo essere diversi con un territorio come il nostro ?
    provate voi a vivere in una terra che, a neanche due metri dal mare ha subito i monti e che tutto quello che ci hai ricavato, hai dovuto strapparlo con fatica, sudore, bestemmie e malanni...avevamo e abbiamo ben poco da stare allegri e pensare alle frivolezze.
    Ma qui sta la nostra grandezza e la nostra forza...e in questa poesia ci siamo tutti noi liguri

    È la Liguria terra leggiadra.
    Il sasso ardente, l'argilla pulita,
    s'avvivano di pampini al sole.
    È gigante l'ulivo.
    A primavera
    appar dovunque la mimosa effimera.
    Ombra e sole s'alternano
    per quelle fondi valli
    che si celano al mare,
    per le vie lastricate
    che vanno in su, fra campi di rose,
    pozzi e terre spaccate,
    costeggiando poderi e vigne chiuse.
    In quell'arida terra il sole striscia
    sulle pietre come un serpe.
    Il mare in certi giorni
    è un giardino fiorito.
    Reca messaggi il vento.
    Venere torna a nascere
    ai soffi del maestrale.
    O chiese di Liguria, come navi
    disposte a esser varate!
    O aperti ai venti e all'onde
    liguri cimiteri!
    Una rosea tristezza vi colora
    quando di sera, simile ad un fiore
    che marcisce, la grande luce
    si va sfacendo e muore.


    ...
    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by marmari - 10/2/2021, 17:29
     
    Top
    .
  2.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Ciao Orazio. Gatto adorato.Ti ho amato tanto e mi mancherai. width="200"

    Group
    Member
    Posts
    118,201
    Reputation
    +58
    Location
    Cremona

    Status
    Anonymous
    gif%20animate%20topi%20%28190%29 gif%20animate%20topi%20%28190%29 gif%20animate%20topi%20%28190%29
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    CITAZIONE (Milena1112 @ 23/11/2016, 17:29) 
    gif%20animate%20topi%20%28190%29 gif%20animate%20topi%20%28190%29 gif%20animate%20topi%20%28190%29

    ...grazie, spero che ogni tanto tu faccia un passo a curiosare... :056: :4:
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    ...un esercito nemico alle porte...il parroco ed il sogno della Madonna...ottanta valorosi...un capitano di ventura...una flotta amica

    SANTUARIO DI N.S. della VITTORIA




    Breve storia

    Il Santuario di N. S. della Vittoria, adagiato tra i Monti Fuea e Maglietta, sorge su un colle a 600 m./s.l.m. in splendida posizione dominante la Valpolcevera in prossimità del passo detto del Pertuso o del Malpertuso, in seguito rinominato passo della Vittoria.
    Proprio in corrispondenza del valico succitato passava una delle antichissime strade che mettevano in collegamento Genova con la Lombardia, il Piemonte e la Francia. Essa era certamente una delle vie di comunicazione più utilizzate insieme alla via Postumia che da Pontedecimo saliva alla Bocchetta. Non era infatti ancora stata aperta quella detta dello Scrivia, che oltrepassava l'Appennino in corrispondenza del valico dei Giovi.
    Tra le notizie storiche di rilievo dobbiamo almeno ricordare che questa via, che da Genova saliva da S. Cipriano e Serra e dopo il Pertuso scendeva a Vallecalda e Savignone per Tortona, era stata utilizzata dal Re dei Longobardi Liutprando, per trasportare, tra il 722 ed il 724, le ceneri di Sant'Agostino dal porto di Genova, in cui erano arrivate dall'Africa via Sardegna, a Pavia, dove tuttora risiedono in San Pietro in Ciel d'Oro; poi progressivamente utilizzata dai pellegrini che si spostavano dalla via costiera alla via Francigena e viceversa; ed in seguito via privilegiata per l'accesso ai feudi imperiali gestiti dalla nobile famiglia dei Fieschi, da cui aveva preso il nome di Strada dei Conti.
    Sorpassando per importanza la stessa via Postumia, dal XIII secolo all'Ottocento il passo del Pertuso divenne la principale via di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana. Percorsa da commercianti, pellegrini ed eserciti, essa ha avuto un ruolo importante in pressoché tutte le guerre che hanno visto coinvolta la Liguria nell'età moderna da quella del 1625 fino alla II^ Guerra Mondiale.


    La battaglia contro i Franco-Piemontesi e la nascita del Santuario

    Tra gli episodi di maggior rilievo la vittoria del 10 maggio 1625 sulle armate del Duca di Savoia Carlo Emanuele I, che ha portato all'erezione, in segno di rendimento di grazie, dell'attuale Santuario di Nostra Signora della Vittoria.
    In quell'occasione il passo del Pertuso fu teatro dello scontro tra le truppe di Carlo Emmanuele di Savoia e un gruppo di ardimentosi paesani locali i quali, in 80 contro settemila, riuscirono a resistere per 10 ore ai tentativi di sfondamento dei savoiardi salvando così da capitolazione certa la città di Genova.
    Il Duca di Savoia, infatti, aveva dichiarato Guerra alla Serenissima Repubblica di Genova, utilizzando come pretesto il fatto che Ferdinando II di Germania aveva venduto ai genovesi il marchesato di Zuccarello del quale egli rivendicava il possesso.
    Lo scopo del duca era evidentemente quello di mettere a ferro e fuoco Genova per cui, conquistate Gavi, Voltaggio, Savignone e Busalla, egli era deciso ad oltrepassare l'Appennino, senza però utilizzare il passo della Bocchetta, troppo controllato, e preferendo invece il passo del Pertuso.
    Don Gio. Maria Lucchini rettore di Montanesi, ebbe un sogno in cui la Madre di Dio, che vegliava il passo da una edicola ivi costruita, prometteva difesa e protezione alla popolazione di Montanesi e a tutta la città di Genova: esortava a non fuggire, ma a difendere il passo. Il rettore, riunita la popolazione atterrita ed incerta sul da farsi, esortò tutti, uomini e donne, a pregare e a lottare, e raccontò a tutti il sogno.Confessò e comunicò tutti, e insieme si affidarono alla protezione della Madonna, perché in quel momento dl così grande difficoltà Ella aveva promesso il suo soccorso.
    Ed infatti gli 80 paesani col loro parroco riuscirono a resistere fintanto che alcuni capitani di ventura, tra cui il famosissimo Battino Maragliano, raccolti più di 1500 uomini, giunsero finalmente in soccorso dei combattenti ormai allo stremo delle forze, respingendo in via definitiva l'attacco nemico.
    Questi valorosi furono aiutati anche dall'arrivo in porto della flotta spagnola, alleata della Repubblica Genovese che, da sola,
    probablimente funzionò da valido deterrente contro le mire franco-sabaude.
    Don Lucchini, disconoscendo ogni merito personale nella vittoria riportata, rivolse già un mese dopo una supplica al Senato al fine di ottenere sia l'autorizzazione ad erigere una chiesa nel luogo della vittoria, sia un qualche aiuto finanziario per realizzarla.
    All'uso del tempo il Senato richiamò dal bando un indesiderato imponendogli di versare il suo debito al parroco, ma il tentativo si risolse in un fallimento; nonostante ciò il Lucchini non si diede per vinto. Nel 1628 lo stesso Lucchini rinnovava la sua istanza, questa volta con esito positivo, e riuscì, grazie anche "alle elemosine dei buoni", ad erigere una chiesetta che misurava palmi 24 x 36 (circa 6 m x 8) sul colle che sovrastava il passo.


    Nel corso dei secoli, il Santuario fu ampliato, ricostruito e ristrutturato più volte, fino alla versione attuale.

    Qualche immagine

    il Santuario in una foto del secolo scorso

    foto2



    e come è adesso

    foto1




    all'interno possiamo trovare:

    inter

    Come si è visto, il Santuario è il frutto di diversi momenti costruttivi, dei quali l'ultimo è attribuibile agli anni intorno alla metà del settecento sotto l'egida dell'allora custode Don Niccolò Serchio. Ne risultò un edificio più piccolo di quello seicentesco, che era a tre navate, del quale si conservavano alcune parti che resistettero allo scempio austriaco: il campanile, costruito nel 1722-23, il tabernacolo dell'altare maggiore e la Sacrestia.

    www.santuariodellavittoria.it/images/capp.jpg

    sul lato destro, ma questa volta della navata, si apre una cappella mediana destinata a spazio per la preghiera invernale.
    La copertura è costituita da una volta a botte ad arco ribassato interamente decorata ad affresco con vari soggetti e partiture architettoniche, così come decorate risultano le pareti della chiesa e del coro

    altare

    Lo sguardo del visitatore è comunque volutamente indirizzato, come di consueto, verso il pregevole altare marmoreo sormontato dalla statua della Madonna, attualmente racchiusa da una nicchia ma che in origine doveva trovarsi in altra posizione forse al lato dell'altare o all'ingresso della chiesa.
    Per Quanto attiene la statua, le fonti sono discordi ma si pensa di poterla attribuire alla fine del seicento od all'inizio del settecento.
    Secondo lo storico Cambiaso è stata donata dal Senato nel 1654, ed è opera dello scultore milanese Tomaso Orsolino. In essa la S. Vergine è rappresentata con la palma della vittoria nella mano sinistra, e il Bambino che tiene nella mano destra la bandiera crociata della repubblica, sul braccio destro.

    statua

    Questa iconografia fu poi copiata nel 1936 dallo scultore di Ortisei che fece la statua lignea presente attualmente nell'atrio.

    alcune curiostà
    Sul lato destro della facciata del Santuario, guardando l'entrata, vi è posto un obice della I^Guerra Mondiale, dono del Duca della Vittoria Armando Diaz; il pezzo di artiglieria è posto sotto il bollettino della Vittoria.
    Sul lato sinistro, invece, campeggia un cannone anticarro tedesco della II^ Guerra Mondiale su cui è affissa una targa dove troviamo scritto che fu sottratto alle truppe germaniche, dopo combattimento con forze ribelli (partigiani); la realtà però è diversa, infatti il mezzo, come tanti altri, fu lasciato per strada dai tedeschi in ritirata verso nord, nell'aprile 1945.

    Come arrivare al Santuario in auto
    Percorrendo la A7, venendo da Milano, si esce al casello di Busalla e si seguono le indicazioni per il Passo dei Giovi, arrivati allo scollinamento, si gira a sinistra e, dopo un paio di chilometri si giunge davanti alla Chiesa.
    Transitando sempre la A7 ma provenendo da sud, si può usicre lo stesso a Busalla o a GE-Bolzaneto e seguire le indicazioni per Pontedecimo, Passo dei Giovi e poi al Santuario.

    Come arrivare al Santuario a piedi.
    Se siete appassionati escursionisti, potete giungere a piedi alla Vittoria partendo da diversi posti come Casella, Orero, Savignone, seguendo le paline dell'Alta Via dei Monti Liguri; potete partire anche da Valleregia da dove attraverseremo le borgate di Fraccia, Paxio, Castello, Cascina, l'Altopiano dei Fontanini, Pian di Barche e poi, dopo un tratto boschivo, si arriva
    al Santuario.
    Posso farvi da guida.
    Nella camminata a seconda delle stagioni potremo incontrare: mucche e pecore al pascolo, cavalli, porcastri (incrocio tra cinghiali e maiali), caprioli, poiane, diverse specie di passeracei e il picchio.
    Come flora, diversi tipi di orchidea selvatica, prugni selvatici (dal cui frutto si ricava un ottimo liquore), rose canine (dalla cui bacche si può fare una marmellata), castagni e pini.

    le foto inserite sono a solo scopo didattico/culturale/educativo, non si intende violare alcun diritto d'autore

    il materiale della ricerca è stato reperito presso l'archivio dello stesso santuario e alcune cose nel suo sito internet; la parte dedicata alle curiostà e al "come arrivarci" sono opera mia


    ...continua...
    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 13/10/2018, 21:00
     
    Top
    .
  5.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    9,697
    Reputation
    +338
    Location
    L'isola che non c'è

    Status
    Offline
    In memoria della battaglia dei Giovi, a Genova resta un "ricordo" piuttosto particolare

    LA COLONNA INFAME




    Passeggiando per Via del Campo, poco prima di arrivare alla Porta dei Vacca (da Vachero, il nome di una famiglia originaria di un paesino vicino a Nizza) si trova sulla nostra destra una piccole fontana, un fontanile eretto tre due colonne su una parete.



    Se passate tra la fontana e i palazzi nello stretto spazio vedrete che dietro c’è una piazzetta. Su un lato, subito dietro al fontanile una colonna quadrata con un iscrizione latina.



    Queste due costruzioni: fontana e colonna ricordano un episodio accaduto nel 1628:

    all’inizio del 1600 la Repubblica di Genova era politicamente molto debole a differenza delle nobili famiglie che si arricchivano. Tra le potenze che avevano delle mire territoriali su Genova e il suo porto stava crescendo d’importanza la dinastia dei Savoia.

    Nel 1628 i Savoia tentarono un “colpo di stato” con l’aiuto di Giulio Cesare Vachero che avrebbe dovuto organizzare l’uccisione del Doge e dei componenti più importanti della Repubblica così da permettere la rapida occupazione dei Sabaudi; la congiura fallì e gli spagnoli chiamati in aiuto dai Savoia rifiutarono di intervenire contro Genova.
    Il Vachero fu decapitato e la sua casa in Via del Campo fu rasa al suolo.

    A eterno ricordo del tradimento dei Vachero fu eretta la Colonna Infame.

    La scritta, in latino ricorda:

    Memoria infamante sia, di Giulio Cesare Vachero, uomo scelleratissimo, il quale avendo cospirato contro la Repubblica, mozzatogli il capo, confiscatigli i beni, banditigli i figli, demolitagli la casa, espiò le pene dovute. A.S. 1628



    Più tardi, nel 1644, al posto della casa dei Vachero, fu edificata una fontana: quella che si vede oggi è stata modificata; la testa in marmo del leone è originale di Taddeo Carlone.


    Ecco la storia della congiura riportata dallo storico Donaver:
    “Viveva in Torino nelle grazie di Carlo Emanuele certo Giovanni Antonio Ansaldo figlio di un oste di Voltri, divenuto mercante ed ora innalzato alla dignità di Conte; uomo scialacquatore e vizioso, il quale venne incaricato dal duca di trovargli partigiani in Genova che gli dessero in suo potere la città.
    L'Ansaldo recatosi in Genova s'abboccò con taluni ricchi borghesi, facinorosi ambiziosi di nobiltà, tra quali principalissimo Giulio Cesare Vacchero nato in Sospello in quel di Nizza, di padre malvagio, il quale nella sua giovinezza era stato relegato in Corsica per reati commessi, e un giovane Fornari, vano ed impetuoso che si credeva invidiato dai nobili per le ricchezze che aveva e a sua volta li odiava per non essere loro pari, e il medico Martignone, e si tennero conciliaboli in casa del Vacchero, nei quali l'Ansaldo prometteva larghi aiuti del duca di Savoia, di cui si spacciava incaricato d'affari.
    Il Vacchero insieme all'Ansaldo si condusse segretamente in Torino a concretare gli accordi col duca, e questi gli fornì denari per assoldare qualche centinaio di soldati, coi quali impadronirsi del palazzo ducale, gli promise che al primo avviso, suo figlio sarebbe accorso alle porte di Genova colla cavalleria, e intanto gli consegnò i diplomi di colonnello per lui e pel Fornari.
    Tornato in città il Vacchero, cogli altri congiurati cominciò l'assoldamento di quanti individui poté, scegliendo i capitani fra coloro che più erano abili nelle armi, e già era fissato il giorno e le modalità della rivolta, quando uno dei congiurati, Gianfrancesco Rodino, recatosi dal doge Gian Luigi Chiavari, dietro una cospicua somma di denaro, tutto gli rivelò.
    Radunati prestamente i Collegi, furono colpiti da stupore a tanta audacia, e non avendo il coraggio di assalire la casa del Vacchero ove stavano radunati i congiurati in arme, il doge diede ordine al bargello di arrestare il Vacchero senza dirgliene il motivo.
    Il bargello meravigliato di ricevere un tal ordine, essendo il Vacchero conosciutissimo in tutta la città, ne fece parola con due amici incontrati per via, i quali, essendo due dei capitani assoldati, subito ne fecero avvertiti il Vacchero e gli altri che rapidamente fuggirono alla campagna. Però le perquisizioni eseguite in sua casa fornirono numerose prove della congiura, per cui inseguiti i fuggitivi molti caddero nelle mani della giustizia.
    Il Vacchero s'era ricoverato in una villa solitaria insieme ad un complice volgare; ma poiché il governo offriva un premio a chi glielo consegnava, un tale rivelò dove egli stava nascosto e rivelò pure dove s'era nascosto il Fornari, onde entrambi cadder nelle mani della signoria. Processati, vennero condannati a morte.

    Il duca di Savoia prese le difese del Vacchero e suoi complici, minacciò rappresaglie se la repubblica eseguiva la sentenza, mise in moto il governatore di Milano in favore dei congiurati; ma nulla valsero le sue pratiche. Tutti furono condotti al patibolo, e la casa del Vacchero in piazza del Campo venne rasata al suolo.
    In seguito a questa congiura, venne istituito, nell'ottobre dello stesso anno, il magistrato degl'Inquisitori di Stato perché invigilasse alla sicurezza della repubblica.
    L'anno seguente 1629 per mandato del duca di Savoia, un bandito di Voltri doveva appiccare il fuoco al Senato facendolo saltare in aria quand'era congregato; ma avendo egli confessato la cosa ad un padre Barnabita, questi ne fece avvertito il governo che condonò ogni pena al bandito, gratificandolo di un'annua pensione.
    Per buona fortuna, la morte di Carlo Emanuele liberò la repubblica di quell'insidiatore costante della sua indipendenza, e il 5 luglio 1633 poté firmarsi l'atto definitivo di pace col suo successore Vittorio Amedeo I restituendosi reciprocamente prigionieri, armi e terre occupate, restando Zuccarello proprietà dei Genovesi e pagando questi al duca una somma per frutti estratti dalla valle d'Oneglia.”

    (tratto da Federico Donaver, Storia di Genova, Nuova Editrice Genovese, Genova, 1990)


    Circa questo terribile manufatto, scrisse Giovanni Ansaldo, rivolgendosi ad un ipotetico turista americano che accompagna nei vicoli di Genova:
    “Il vostro è il paese della giustizia. Ma sapete che cos’era New York quando la colonna infame del Vacchero fu murata pietra su pietra? Era un povero borgo di baracche di legno,: c’era più lavoro di muratura e più marmo nella sola Colonna Infame che in tutta la New York di allora. Noi abbiamo troppa storia alle spalle, per credere seriamente.(…) Nel caso Vacchero siamo di fronte a un tipico esempio della crudeltà della storia. Il povero Giulio Cesare vacchero, mel milleseicento e tanti congiura contro la Repubblica, d’accordo con Carlo Emanuele di Savoia. La congiura è scoperta. Vacchero scappa, ma è agguantato, torturato e decapitato: di più, sul suo nome pesa ancora oggi la grave mora della Colonna Infame, l’ultima Colonna Infame d’Italia; e voi, perfino voi uomo d’America, passate l’oceano per leggere le parole dell’abominio. Se il Vacchero fosse riuscito nel suo intento, di aprire le porte ai Savoini, molto probabilmente oggi avrebbe al proprio attivo un bellissimo monumento. Gli storici gli troverebbero delle insigni qualità: una meravigliosa energia, una coscienza altissima delle necessità della storia, una tempre di precursore dell’unità nazionale. Voi lo paragonereste a Garibaldi, che sopportò anche lui la tortura, o a Washington….”
    (Tratto da “Genova Segreta di Giampiero Orselli e Stefano Roffo – Casa editrice Ligurpress, Genova 2010)

    Purtroppo la gloriosa storia della Repubblica si concluse col Congresso di Vienna che regalò la repubblica ai Savoia, visto che nulla avevano potuto con le armi.

    le foto inserite sono a solo scopo didattico/culturale/educativo, non si intende violare alcun diritto d'autore

    ....continua....

    Edited by Nihil Obest - 13/10/2018, 22:27
     
    Top
    .
  6.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    ...gli austriaci...un obice caduto...che l'inse ?...la rivolta...insomma...IL BALILLA

    [IMG]maxresdefault[/IMG]



    LA STORIA

    Giambattista Perasso noto come il Balilla è una figura eroica popolare della storia genovese. L'evento che lo vede protagonista si inserisce in un quadro storico funesto per Genova.
    Nel 1740, alla morte di Carlo VI°, alla figlia Maria Teresa, sicura di succedere al padre sul trono imperiale, viene preferito il Duca di Baviera (Carlo VII°).
    Il 13 settembre 1743, con il trattato di Worms, il Marchesato di Finale, già acquistato dalla Repubblica di Genova nel 1713, viene promesso da Maria Teresa al Regno di Sardegna.
    La Repubblica si vede costretta a firmare l'Alleanza di Aranjuez (1 maggio 1745) con Francia, Spagna e Napoli in difesa dei propri diritti violati a Worms.
    Allo scoppio delle ostilità si registra una serie di successi delle truppe francesi, spagnole e napoletane. La sconfitta di Piacenza, 16 giugno 1746, ferma l'avanzata degli alleati e inverte le sorti della guerra. Le truppe franco-spagnole riparano a Genova per poi abbandonarla proseguendo la ritirata. La città resta indifesa.
    Il 4 settembre 1746 gli austriaci sono a San Pier d'Arena (Sampierdarena).
    Le trattative diplomatiche con il Generale Brown risultano vane. Il 6 settembre 1746 la situazione già critica precipita con l'arrivo del Marchese Antoniotto Botta Adorno. Nonostante appartenga al patriziato genovese, nutre forte rancore per ragioni familiari nei confronti della Repubblica. Il Marchese, evidentemente accecato dall'odio, avanza richieste umilianti ed economicamente esosissime.
    Le pretese eccessive, l'occupazione dei punti chiave di Genova, il tentativo di sottrarre le artiglierie cittadine e il comportamento delle truppe, portano, il 5 dicembre 1746, alla rivolta popolare.
    L'insurrezione scoppia a Portoria. Un mortaio genovese in mano agli austriaci rimane impantanato durante il trasporto. Le truppe d'occupazione, con la forza, vogliono costringere i passanti a liberare il pezzo d'artiglieria. Lo sdegno e l'ostilità della popolazione si concretizza nel gesto del Balilla che al grido "che l'inse?" scaglia la prima pietra di una fitta sassaiola. Le truppe sono costrette ad una fuga precipitosa dovendo abbandonare il cannone.
    Nei giorni seguenti si alternano scontri a tregue e trattative diplomatiche.
    La sollevazione dei genovesi costringe Botta Adorno ad abbandonare la città riparando a Novi. Il successivo tentativo di tornare a Genova viene prontamente contrastato costringendo il Marchese a rifugiarsi nuovamente a Novi.
    Nel febbraio del 1747, il Marchese Antoniotto Botta Adorno che tradendo la Patria d'origine volle umiliare l'intera città di Genova, viene ripagato con ugual moneta subendo l'umiliazione della sostituzione al comando delle truppe.
    Successivamente, anche il nuovo comandante Schulembourg tenta invano la presa di Genova.
    Con la pace di Aquisgrana (18 ottobre 1748) ha termine il conflitto e la Repubblica mantiene il controllo sul Marchesato di Finale.


    LA LEGGENDA DIVENUTA REALTA'

    Il suo nome è una leggenda, indissolubilmente legata ad un quartiere, uno di quelli che non sono più come erano secoli fa.
    Un tempo qui c’erano vicoletti ripidi e stretti, ora ci sono i grattacieli.
    Un tempo qui c’era l’Ospedale di Pammatone, adesso al suo posto, nello stesso edificio, c’è il Tribunale.
    Il tempo scorre, cambia la geografia delle strade, muta il profilo delle città.
    Restano le memorie, i gesti, carichi di significato e densi di ideali, ideali nei quali ancora crediamo.
    Siamo sempre stati ribelli, a Genova.
    Siamo sempre stati poco inclini a farci assoggettare dal potere altrui.
    Siamo un popolo indomito, schivo, duro, caparbio ed orgoglioso.
    E qui, in questo quartiere, a Portoria, è nato il mito di Balilla.
    La vicenda, assai nota, risale a giorni lontani, giorni bui e difficili, gli Austriaci occupano la città e i genovesi sono privati della loro indipendenza.
    E’ inverno, è il 5 dicembre 1746, serpeggia lo scontento, i cuori battono come tamburi, la rabbia cresce ormai da giorni.
    Nella piazza di Portoria, i soldati austriaci stanno trasportando un mortaio, che, a causa del peso eccessivo, provoca il cedimento della strada.
    I soldati intimano i genovesi di aiutarli, ma questi, sdegnati, rifiutano.
    Come è prevedibile, la reazione degli austriaci è violenta, prendono a minacciare il popolo, perché obbedisca all’ordine impartito.
    Un ragazzo, con un gesto, accende la miccia della rivolta, infiamma gli animi e fa esplodere quel malcontento che da tempo alberga nel popolo tutto.
    E’ lì, tra i suoi concittadini, è appena un adolescente, un fanciullo imberbe.
    E non teme nulla, a lui il nemico non fa paura.
    Pronuncia una frase, in dialetto, poche parole che passeranno alla storia:
    Che l’inse?
    Il loro significato è: la comincio?
    E scaglia un sasso contro un ufficiale austriaco.
    Balilla la comincia così, la rivolta.
    Il popolo lo segue, piovono pietre sull’esercito nemico, e quelli che le tirano sono falegnami, facchini, pescivendoli, ciabiattini, merciai, è l’insurrezione.
    Il 10 dicembre, cinque giorni dopo, la gente di Genova trionferà sull’invasore.
    Ma chi è il ragazzo che ha lanciato quel sasso?
    Il mito, per sua natura, necessita di un certo mistero e intorno alla figura del Balilla molti sono gli interrogativi rimasti insoluti.
    Dieci anni dopo, in una traduzione dialettale di La Gerusalemme Liberata, per la prima volta comparirà il soprannome con il quale è ricordato questo giovane coraggioso, la cui reale identità rimane non del tutto chiarita.
    Ma il mito supera la realtà, va oltre, si imprime nella memoria storica e resta inciso per l’eternità; e così Goffredo Mameli, il cantore dell’Unità e autore del nostro inno nazionale, dedicherà un verso al suo giovane concittadino, queste sono le sue parole: i bimbi d’Italia si chiaman Balilla.
    Ma davvero, quale fu il suo vero nome?
    Molteplici sono le interpretazioni; la più accreditata, risalente al 1845 identifica il ragazzo che lanciò il sasso in un certo Giovanni Battista Perasso.
    Originario di Montoggio, avrebbe avuto diciassette anni all’epoca degli eventi di cui fu protagonista ed abitava a Portoria, dove era a bottega per apprendere l’arte di tintore. Ma a Genova, a quel tempo, visse un altro giovane che ugualmente si chiamava Giovanni Battista Perasso, di sei anni più giovane del suo omonimo.
    Si scoprì, in seguito, che il primo dei due ragazzi, Giovanni Battista Perasso da Montoggio, aveva subito un processo per contrabbando di sale, per il quale gli venne comminata una condanna a due anni di galera.
    Il padre, nell’implorare la clemenza delle autorità, fece presente che in passato il figlio si era comportato bene, ma non fece cenno ad una sua attiva partecipazione alla rivolta del ’46 e ciò ha fatto dubitare gli storici del fatto che si tratti del vero Balilla.
    Si è aggiunta inoltre, in anni più recenti, una terza figura risponde al nome di Andrea Podestà.
    Nativo di Portoria, di professione stoppiere, faceva parte della Compagni degli Scelti, una sorta di corpo militare i cui componenti prestavano servizio di guardia.
    Anch’egli era noto come Balilla, lo si è desunto da alcuni documenti d’archivio che riguardano un processo per rissa nel quale il Podestà ricopriva il ruolo di imputato.
    Tutt’altro che un tipo tranquillo, quindi.
    Non è realmente chiarita la reale identità di Balilla, se consultate i testi risorgimentali il nome più diffuso è Giovanni Battista Perasso da Montoggio, a lui è attribuito il famoso gesto, è lui che viene riconosciuto come il vero Balilla.
    Le autorità del tempo, si legge in testi dell’epoca, per sdebitarsi con questo valoroso cittadino, gli concessero la licenza di aprire un fondaco di vino alle porte del Portello.
    Mito, agiografia, leggenda.
    Di questo è ammantata la vicenda di un ragazzo che passò alla storia.
    E forse poco conta sapere chi fosse realmente, certo è che visse a Genova, nel 1746.
    E chiunque egli fosse, è rimasto nei cuori e nei pensieri dei genovesi.
    Lanciò una pietra contro il nemico, questo fece.
    Quando i tedeschi, nella II^ Guerra Mondiale, tornarono a Genova, un ignoto scrisse sotto la statua dedicata al Balilla
    “Chinn-a zù, che son torna chì.”
    Scendi giù, che sono di nuovo qui.


    Dal libro “Magia Ligure” di Kazimiera Alberti, la cronaca della ribellione genovese:
    "...Il mortaio rimase dove era, ed attorno a questo trofeoil popolo decise di scacciare completamente gli austriaci da Genova. Si adunò tutto il sestiere di Portoria . Al grido A palazzo! A palazzo a prendere le armi!” si avviò verso il palazzo ducale….
    ...I senatori, pieni della loro responsabilità, non vollero cedere le armi richieste….La folla, vista La mancanza di decisione del senato, seppe trovare le armi dovunque erano. Ma in tale ricerca non toccò altro, al di fuori delle armi. Fu nominato un quartier generale che si installò nel collegio dei gesuiti. Lo componevano tappezzieri, pittori, pescivendoli, scritturali, commercianti, calzolai, tintori, fornai facchini, osti. Generale delle milizie un mediatore. Presidente: Tommaso Assereto, detto l’indiano.
    I nobili e coloro che avevano qualcosa da perdere si erano asserragliati in casa…..Al popolo si aggiunsero le truppe della Repubblica, stanche di starsene in ozio nelle caseme. Gli stessi detenuti della Malapaga e le ciurme delle galere generosamente si dimostrarono degni della libertà loro concessa e della fiducia avuta…..
    ….Gli austriaci perdettero quasi 8000 uomini (di cui 1000 morti) e 800 ufficiali. I popolani ebbero solo 30 feriti e 13 uccisi. La stessa sera del 10 ...Giovanni Carbone, garzone di osteria, a nome del popolo si presentava a palazzo, dove il Doge ed i senatori erano riuniti in attesa che il tempo decidesse per loro. Recava le chiavi della porta S. Tommaso, la più contesa, e la consegnava al Doge, accompagnando il gesto con queste parole:
    «Signori, ecco le chiavi che loro, con tutta franchezza, hanno dato ai nostri nemici: procuriamo in avvenire di meglio custodirle, perché noi col nostro sangue recuperate le abbiamo!»
    ….La rivolta genovese del 1746 offre spunto a molte e diverse considerazioni. Come già Cola da Rienzo e Masaniello, Balilla fornisce ancora una prova di cosa possa la ferma decisione di un popolo. E come proprio nelle classi umili, in coloro che nulla hanno da perdere ma anche nulla da guadagnare, risieda quell’audacia, quel sentimento, quell’erica incoscienza contro cui mai nulla han potuto ‒ e nulla potranno mai ‒ le più poderose armate di ogni tempo….”




    il quartiere della rivolta



    l'iscrizione sotto il suo monumento


    la via a lui dedicata

    CURIOSITA'

    Il Balilla compare nella versione integrale nell'Inno d'Italia e precisamente:

    Fratelli d'Italia,
    L'Italia s'è desta;
    Dell'elmo di Scipio
    S'è cinta la testa.
    Dov'è la Vittoria?
    Le porga la chioma;
    Ché schiava di Roma
    Iddio la creò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Noi siamo da secoli
    Calpesti, derisi,
    Perché non siam popolo,
    Perché siam divisi.
    Raccolgaci un'unica
    Bandiera, una speme;
    Di fonderci insieme
    Già l'ora suonò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Uniamoci, amiamoci;
    L'unione e l'amore
    Rivelano ai popoli
    Le vie del Signore.
    Giuriamo far libero
    Il suolo natio:
    Uniti, per Dio,
    Chi vincer ci può?

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Dall'Alpe a Sicilia,
    Dovunque è Legnano;
    Ogn'uom di Ferruccio
    Ha il core e la mano;
    I bimbi d'Italia
    Si chiaman Balilla;
    Il suon d'ogni squilla
    I Vespri suonò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Son giunchi che piegano
    Le spade vendute;
    Già l'Aquila d'Austria
    Le penne ha perdute.
    Il sangue d'Italia
    E il sangue Polacco
    Bevé col Cosacco,
    Ma il cor le bruciò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Il Balilla, durante il fascismo rappresentava la generazione nuova
    home

    ma anche un fucile, il "balillino"
    balilla_0752

    un'auto che faceva sognare gli italiani
    1-fiat-balilla-auto-epoca-matrimoni


    e il famoso calcio "balilla"
    2_big_44
    detto anche "biliardino"

    fu scritta anche una canzone in suo onore