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I PALAZZI DEI ROLLI
PALAZZO NEGRONE
Il palazzo Negrone è un edificio sito in piazza delle Fontane Marose ai civici 3 e 4 a Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
L'aspetto attuale è frutto di una riedificazione di prospetti (nn. civici 3 e 4) realizzata alla fine del secolo XVIII da Antonio Barabino, padre del più celebre architetto Carlo, incorporando una costruzione eretta nel 1560 - 1562 per Francesco De Ugarte, ambasciatore della Corona spagnola presso la Repubblica.
Divenne poi Spinola, Airolo (secolo XVII) e Negroni; l'attuale civico numero 3 nel rollo del 1614 compare al secondo bussolo a nome di Antonio Sauli, ma risulterebbe proprietà di Francesco Negrone.
Con l'allargamento e il riordino altimetrico di salita Santa Caterina, oltre all'adeguamento del raccordo tra questa strada, piazza Fontane Marose e via Carlo Felice (oggi via XXV Aprile), si rende necessaria la sistemazione dei portali marmorei che vengono rialzati nel 1870 con un ulteriore assestamento compositivo dei prospetti.
LE FOTO SONO INSERITE AL SOLO SCOPO DIDATTICO/CULTURALE, NON SI INTENDE VIOLARE ALCUN DIRITTO D'AUTORE
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TRENINO di CASELLA IV^ PARTE - DAL DOPOGUERRA AGLI ANNI 70
Il 17 maggio 1949 con la revoca della gestione SAGEF, la maggior parte delle località lungo la linea rimasero prive di servizi di trasporto pubblico e coloro che dovevano recarsi a Genova erano costretti a percorrere a piedi lunghi tratti di mulattiere per arrivare nei fondovalle.
Il successivo 12 giugno, infatti il Ministero dei Trasporti nominò l'ingegnere Francesco Nicolosi quale Commissario Governativo per una gestione provvisoria della Ferrovia che consentisse la ripresa del servizio (gestione che, da provvisoria, come vedremo, si potrasse invece per diversi decenni, fino alle porte del terzo millennio)
FOTO 1 l'atto di nomina
Il servizio riprese il 21 luglio ma solo nel tratto Vigomorasso-Genova mentre la linea fu complatamente riaperta il 6 agosto 1949.
La Ferrovia subì nel suo periodo di esercizio diversi disastrosi eventi naturali quali l'alluvione del 8 novembre 1951 che interrupppe il servizio e il nubifragio del 19 settembre 1953 che mise in ginocchio la Ferrovia; in tale occasione crollò il ponte della Fontanassa e la linea fu definitivamente sospesa.
Il 30 settembre fu riattivato il servizio, ma i passeggeri erano costretti al trasbordo su altro convoglio in prossimità del ponte in corso di rifacimento.
Il nuovo ponte metallico di tipo militare Bailey, fu ultimato il 29 ottobre e, dopo il collaudo effettuato il 26 novembre con il locomotore 003 e l'elettromotrice 002 la linea fu di nuovo ripristinata.
Nel frattempo le richieste di un prolungamento della linea fino all'abitato di Casella si erano fatte numerose e pressanti.
Residenti e villeggianti e quanti si recavano speso nella località lamentavano la distanza tra il Capolinea e il centro del paese, da percorrere a piedi attraversando il ponte sullo Scrivia dove, nella stagione invernale le temperature andavano spesso al di sotto dello zero.
Nel 1953 fu realizzato, quindi, il prolungamento di circa 900 metri da Casella deposito fino a Casella paese con la posa del binario in sede promiscua con la carrozzabile sul ponte sullo Scrivia.
FOTO 2 l'attuale stazione di Casella
Alla fine del conflitto sia il materiale rotabile che le strutture risultavano pesantemente danneggiate dall’usura alla quale erano stati sottoposti ed un rinnovamento totale non era più procrastinabile.
Dopo un periodo di incertezza, nel1949 la S.A.G.E.F. rinunciò alla ferrovia e da quell’anno subentrò la gestione commissariale governativa del Ministero dei Trasporti.
I fondi disponibili permisero solo nel 1953 la realizzazione del prolungamento in regresso dall’antica alla nuova stazione di Casella: la linea, che terminava all’attuale stazione di Casella Deposito, venne prolungata fino al paese in sede promiscua, sfruttando parte della strada carrozzabile e parte del ponte sul fiume Scrivia
Le attrezzature vennero aggiornate acquistando motrici e carrozze da altre amministrazioni.
Alla fine degli anni Cinquanta entrano in servizio due locomotori della Ferrovia Adriatico-Sangritana, i celebri loc 28 e loc 29.
Tali mezzi, destinati nel tempo ad arricchire l’impianto di ulteriore fascino, risultavano anche più anziani della ferrovia stessa perché costruiti nel 1924, a Vado Ligure e convertiti allo scartamento metrico, prestarono servizio per circa vent’anni, fino a quando la ferrovia decise di restaurarne interamente uno, il locomotore 29, utilizzando i pezzi dell’altro per effettuare gli interventi più importanti.
Durante l’oltre mezzo secolo di conduzione governativa l’impianto fu preservato, nonostante il serio pericolo di smantellamento generato dalle periodiche valutazioni dei cosiddetti “rami secchi” ferroviari.
All’inizio degli anni Sessanta, quel rischio si fece particolarmente concreto a seguito dell’intendimento di favorire il trasporto automobilistico mediante la costruzione di una strada asfaltata sul tracciato della sede ferroviaria.
Nel corso degli anni Sessanta furono interamente sostituiti i binari, anche per permettere di aumentare la velocità da 28 a 35 km/h, nonostante la tortuosità e la pendenza del tracciato.
FOTO 3 la fermata presso S.Olcese
FOTO 4 bella immagine del convoglio durante una passaggio su ponte in pietra
FOTO INSERITE AL SOLO SCOPO DIDATTICO CULTURALE, NON SI INTENDE VIOLARE ALCUN DIRITTO D'AUTORE ...
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saluti
Piero e famiglia. -
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uno degli edifici arancioni che si intravedono nella foto è l'Istituto Idrografico della Marina, dove ho prestato servizio per diversi anni .... -
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Se è dove vendono le carte, ci sono stata parecchie volte Inviato tramite ForumFree App
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.Se è dove vendono le carte, ci sono stata parecchie volte
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le carte le vendono (o vendevano se hanno cambiato) presso un ufficio dentro la Stazione Marittima .... -
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È vero se adesso non è cambiato Inviato tramite ForumFree App
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Pallavicini-Cambiaso
Il palazzo Pallavicini-Cambiaso o palazzo Agostino Pallavicini è un edificio sito in via Garibaldi al civico 1 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Costruito a partire dal 1558 su progetto di Bernardino Cantone per Agostino Pallavicino, autorevole membro della classe di governo della Repubblica, passò poi di proprietà nella seconda metà del '700 ai Cambiaso. Attualmente é proprietà di una banca.
Di dimensioni relativamente modeste, é esaltato dal doppio affaccio sulla strada e sulla piazza.
Nell'elegante prospetto il paramento a bugnato di pietra grigia contrasta felicemente con il marmo bianco delle zoccolature, del portale col fregio a bucrani,delle finestre e dei timpani, delle fasce marcapiano decorate con motivi a meandro. In questo contesto manierista si inserisce con grazia un'edicola votiva settecentesca.
Nell'atrio spiccano le armi araldiche della famiglia Cambiaso.
Al piano nobile, la cui armonica veste decorativa é contemporanea alla costruzione del palazzo, i fratelli Andrea e Ottavio Semino dipinsero, in un salotto, le scene del Ratto delle Sabine e, nel salone, la Storia di Amore e Psiche.
FOTO INSERITE AL SOLO SCOPO DIDATTICO CULTURALE, NON SI INTENDE VIOLARE ALCUN DIRITTO D'AUTORE
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IL TRENINO di CASELLA - V^ e ULTIMA PARTE; DAGLI ANNI 70 AI GIORNI NOSTRI
FOTO 1; biglietto con le vecchie care lire italiane
Negli anni Settanta iniziò l’opera di rinnovamento, partendo dall’armamento con la sostituzione delle rotaie originali da 27 kg/m con rotaie da 36.
La spinta propulsiva al cambiamento derivo’ purtroppo da una tragedia che si compì il 17 gennaio del 1974 con il deragliamento di una motrice a seguito di una frana presso Sardorella che causò una vittima: il 31 ottobre dello stesso anno l’intera linea venne posta sotto sequestro per ordine della magistratura, prevedendo di attivare nuovamente il servizio solo dopo il completamento dei lavori più urgenti. L’anno seguente fu quindi completata la sostituzione delle rotaie originali da 27 kg/m con quelle da 36 kg/m, che permise di innalzare la velocità massima della linea. Gli interventi di ammodernamento della rete e dei rotabili continuarono: nel 1980 venne realizzato l’ampliamento del ponte sullo Scrivia con spostamento in sede propria dell’ultimo tratto della linea, prima in sede promiscua e costruzione di un binario di raddoppio a Casella Paese. Ebbe poi inizio l’applicazione di un nuovo schema di verniciatura amaranto e crema, destinato a tutto il materiale viaggiatori ad eccezione delle vetture destinate al Treno Storico. Quest’ultimo, ideato nel 1989, costituisce ancora oggi il simbolo concreto della memoria della Ferrovia ed è composto dal locomotore 29, il più antico ancora in funzione in Italia, le carrozze C103 e C104 e la carrozza-bar C22.
All’inizio degli anni Novanta venne rinnovata completamente la linea aerea da Ansaldo Trasporti con la sostituzione della caratteristica palificazione originale Breda con il sistema a contrappesi simile a quello in uso dalle Ferrovie dello Stato e la possibilità di elevare la tensione a 3 kVcc.
All’inizio del nuovo millennio la gestione della ferrovia, dopo una breve parentesi di affidamento a Ferrovie dello Stato S.p.A., passa alla Regione Liguria. Nel 2002 il servizio viene sospeso per tre mesi a seguito di una frana presso Sant’Olcese Tullo e dei conseguenti lavori di ripristino.
Dal 16 aprile 2010, a seguito di una gara bandita dalla Regione Liguria, la gestione della ferrovia passa ad AMTGenova, che gestisce il trasporto pubblico locale nel capoluogo ligure.
FOTO 2; passaggio di un convoglio con paesagio innevato
FOTO 3; trenino con la storica livrea biancorossa
notizie utili
Percorsi turistici: www.ferroviagenovacasella.it/geca/percorso-e-passeggiate/
Attività con le scuole: www.ferroviagenovacasella.it/geca/per-le-scuole/
bene, il nostro viaggio termina qui ma il trenino è sempre attivo e quindi ... tutti in carrroozzaa
Fonti utilizzate per la ricerca: sito ufficiale delle FGC e il libro Storia Illustrata della Ferrovia Genova - Casella di Corrado Bozano, Roberto Pastore e Claudio Serra per i tipi della Il Geko edizioni della collezione privata dello scrivente.
Le foto sono state inserite al solo scopo storico/culturale, NON si intende violare alcun diritto d'autore
saluti
Piero e famiglia. -
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PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Pantaleo Spinola
Il palazzo Pantaleo Spinola o palazzo Gambaro è un edificio sito in via Garibaldi al civico 2 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. L'edificio è oggi sede del Banco di Lodi (già Chiavari e della Riviera Ligure.)
Eretto dall'architetto Bernardo Spazio per Pantaleo Spinola e proseguito poi da Pietro Orsolino fino alla fine dei lavori, nel 1558, oggi è sede di una banca.
Sulla facciata, dalle linee assai semplici, movimentata dal ritmo delle finestre, dall'aggetto dei balconi e soprattutto dal portale sormontato da due statue marmoree, allegoria della Prudenza e della Vigilanza.
Piano terra, il lato a levante dell’edificio è occupato da tre sale. La prima, nell’angolo nord-est, tra via Garibaldi e piazza Fontane Marose, ha soffitto piano decorato con un quadro centrale raffigurate la Fine di Assalonne, segue l’altra sala, di dimensioni modeste, anch’essa a soffitto piano con quadro centrale di forma rettangolare con Susanna e i vecchioni, l’ultima, la più grande, sempre a soffitto piano ha nel riquadro centrale, il Giudizio di Salomone circondato da una decorazione a grottesche. Tutti questi affreschi sono opera di Giovanni Carlone che li eseguì intorno al 1630. I soggetti sono tratti da tematiche bibliche che rimandano, rispettivamente, al traditore punito, all’insidia scoperta ed alla corretta amministrazione della giustizia, in allusione a quanto stava allora accadendo nella Repubblica genovese, dilaniata da violente repressioni seguite dopo congiure politiche. Salone: la decorazione della grande volta a padiglione lunettata è opera novecentesca di Antonio Orazio Quinzio che vi rappresenta la Glorificazione della Nazione, attorniata dalle Arti Liberali, alla presenza della Vergine Immacolata e degli Angeli.
Piano nobile: si compone di due sale a ponente, del salone centrale e di quattro salotti a levante. Il primo di questi, accessibile direttamente dalla loggia dove arriva lo scalone, collocato nell’angolo nord-est dell’edificio, presenta volta a padiglione con quadro centrale raffigurante l’Assedio ad una città fortificata, opera della bottega dei fratelli Semino. Segue, a fianco, uno stretto salottino, quasi un andito di passaggio però, riccamente decorato con un Ratto delle Sabine, opera di Giovanni Battista Carlone. Proseguendo verso mezzogiorno, un altro salotto con volta a padiglione e riquadro centrale con Battaglia equestre, tratta da episodi di storia romana, così come i riquadri laterali, fra cui una Scena di trionfo. Gli affreschi di questa sala sono della bottega Semino, adornati con successive dorature. Nell’angolo sud-est, l’ultimo salotto di Giovanni Battista Carlone, è coperto da una volta a padiglione con, nel riquadro centrale, Coriolano in campo alla presenza della sua famiglia mentre, nei riquadri laterali, si hanno: l’Ambasceria fraudolenta di Tarquinio il Superbo, Lucrezia violata da Sesto Tarquinio, Lucrezia si uccide davanti al padre e al marito, Pero allatta il vecchio padre Cimone. In mezzeria, il maestoso salone con volta a padiglione, nel quadro centrale, Giano, assistito dalla Pace e da Ercole, offre a Giove le chiavi del suo tempio di Domenico Piola, il tutto supportato da un’illusionistica intelaiatura architettonica, opera del quadraturista emiliano Paolo Brozzi. I due pittori diedero vita ad una grande Allegoria della Pace (così viene anche definito l’affresco), bilanciata tra architetture e figure che bene convivono: Piola sapientemente dipinge le figure adattandole alle regole prospettiche che Brozzi traccia. Le pareti sono state adornate di stucchi in stile neoclassico, commissionati dai successivi proprietari, i Cambiaso, a Batolomeo Bernasconi e Girolamo Centanaro. Il primo salotto dell’ala di ponente, nell’angolo sud-ovest del palazzo, ha nell’ottagono centrale della volta a padiglione, la Sibilla che mostra l’immagine di Maria ad Augusto mentre, ai lati e negli angoli, vi sono Allegorie delle Virtù e delle Stagioni, di Domenico Piola. L’ultimo salotto, opera dei fratelli Calvi, pone centralmente un Episodio di storia romana a cui sono ispirati anche i riquadri laterali, fra cui Marco Curzio che precipita nella voragine e Muzio Scevola davanti a Porsenna. (A cura di Silvia Melogno, cfr. Bibliografia).
Dal salone si accede alla terrazza, nel cui ninfeo si trovava un tempo il celebre gruppo marmoreo raffigurante il Rapimento di Elena uno dei capolavori della scultura barocca eseguito dal marsigliese Pierre Puget e oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino.
le fotografie sono a solo titolo didattico e non si intende violare alcun diritto d'autore
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Lercari Parodi
Il palazzo Lercari-Parodi o palazzo Franco Lercari è un edificio sito in via Garibaldi al civico 3 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Fu fatto erigere a partire dal 1571 da Franco Lercari. Nel 1845 fu acquistato dalla famiglia Parodi, che ne è ancora proprietaria.
Il palazzo, di cui non si conosce il progettista, si differenzia dagli edifici della Strada Nuova. La parte inferiore della facciata è decorata a bugnato a punta di diamante, mentre i piani superiori risultavano all'origine alleggeriti da una serie di logge aperte, poi chiuse da vetrate e murate all'inizio dell'Ottocento.
Sempre nella facciata ha particolare rilievo il portale retto da due telamoni con nasi mozzi, opera di Taddeo Carlone, che qui rievoca l'atroce leggenda di Megollo Lercari, antenato del committente, vendicatosi dei suoi nemici mutilandoli di nasi e orecchie.[/url]
Salendo al primo dei due piani nobili si trovano, entro due nicchie, i busti di Franco Lercari e della moglie Antonia De Marini opera di Taddeo Carlone, la decorazione ad affresco, della fine del Cinquecento, con ariosi paesaggi in riquadri e, nella volta, scene di battaglia.
Nella volta del salone del secondo piano nobile si trova un vero capolavoro della pittura genovese: l'affresco di Luca Cambiaso che raffigura l'impresa di Megollo Lercari con la costruzione del fondaco dei genovesi a Trebisonda, ossia le costruzioni necessarie per condurre i commerci nella colonia genovese sul mar Nero. L'affresco vuole al tempo stesso ricordare la costruzione del palazzo Lercari in Strada Nuova, fornendo così un'idea dell'aspetto della via negli anni della sua apertura.
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I GRANDI GENOVESI - NICOLO' GARAVENTA e la sua emerita famiglia, precursori in Italia e all'estero di opere di carità
La famiglia GARAVENTA si è sempre dedicata alle opere sociali-educative che aiutassero i ragazzi poveri e disadattati della loro epoca, in cui i governanti si disinteressavano delle famiglie bisognose o disagiate, e dei loro problemi quotidiani, a volte di pura e semplice sopravvivenza.
Don Lorenzo GARAVENTA
Il primo fu probabilmente don Lorenzo GARAVENTA , che nato nel 1724 a Calcinara (Uscio-Genova), da una umile famiglia di contadini, fu fatto studiare privatamente presso il Collegio dei Padri Gesuiti di via Balbi a Genova , a cura dei quali venne poi ordinato sacerdote.
Subito colpito dalla dolorosa situazione di molti bambini che, essendo allora tutte le scuole a pagamento e non potendo le loro famiglie sostenerne le spese, vagavano abbandonati per le strade oziosi ed ignoranti, per poi essere spesso sfruttati dalla malavita, decise di fare qualcosa per aiutare questi ragazzi a riscattarsi in modo concreto e definitivo.
Nel 1757 appese alla finestra della sua abitazione in piazza Ponticello un cartello con la scritta: "Qui si fa scuola per carità". L'iniziativa fu rapidamente accolta favorevolmente dalla popolazione ed ebbe subito molti allievi.
Per sostenere tutte le spese (spesso agli allievi venivano forniti anche dei vestiti e del pane) impiegò tutto il suo patrimonio, compresa la vendita di un terreno che aveva ereditato dai genitori.
L'intento educativo-sociale fu a questo punto apprezzato dalla gerarchia ecclesiastica che iniziò a patrocinare l'opera di questo giovane sacerdote che poté quindi far sorgere altre "scuole di carità" in più zone, rette da altri sacerdoti volenterosi.
Per venticinque anni si dedicò senza posa alla sua missione, finché si ammalò e morì il 13 gennaio 1783, poverissimo.
Le sue scuole continuarono fino al 1882 quando vennero assorbite dalle scuole municipali istituite dal "Regolamento degli Studi" valido in tutto il Regno Sabaudo.
Nicolò GARAVENTA
Altro componente della famiglia e filantropo fu Nicolò GARAVENTA, nato a Uscio (Genova) nel 1848 e deceduto a Genova nel 1917.
Professore di matematica presso il prestigioso Regio Ginnasio-Liceo "Andrea Doria" di Genova (allora in salita Mascherona) e presso la nota "Regia Scuola Tecnica", si appassionerà, nel secolo successivo, agli interessi e agli impegni sociali svolti dallo zio don Lorenzo.
Tutto iniziò un giorno in cui stava parlando con alcuni operai quando gli si avvicinò un monello veneto chiedendo l'elemosina e raccontando loro una storia familiare dolorosissima.
Nicolò, impietosito e preoccupato della sorte di tanti infelici, diventerà a questo punto, per sua scelta, educatore e filantropo verso i giovani disadattati della sua epoca, interessandosi ed appassionandosi alla situazione dei tanti ragazzi che incontrava quotidianamente nelle strade genovesi in situazioni critiche (a volte di pura sopravvivenza), purtroppo ignorati dalla legislazione statale dell'epoca, ed anche per evitare che fossero sfruttati dalla delinquenza o persino dagli stessi genitori, decise di dar loro un aiuto concreto e risolutivo e con la sua esperienza di docente e il suo impegno costruttivo, dopo aver abbandonato l'insegnamento nelle scuole genovesi, , si mise all'opera per realizzare il suo nobile intento di riscattare dalla situazione di abbandono quanti più ragazzi poteva.
La situazione contemporanea non era certo facile, ma con tanta buona volontà, ed andando a "bussare" a tutte le porte che potevano fornirgli aiuto, concretizzerà alla fine il suo intento educativo-sociale.
Il "Professore", radunati alcuni ragazzi di strada (che all'epoca erano chiamati "batôsi"), allo scopo di toglierli dall'ambiente degradato in cui vivevano, li condusse alla "spianata dell'Acquasola" (uno degli attuali giardini pubblici di Genova) e parlando loro in dialetto genovese stretto (unica lingua che i ragazzi capissero), promise loro un aiuto per potersi staccare dalla situazione in cui erano, a patto che si fossero iscritti e frequentassero la scuola che lui intendeva fondare.
Molti di loro aderirono convinti alla sua proposta, che li sollevava da una sorte miserevole e spesso fuori dalla legalità.
Nicolò realizzò così il primo luogo operativo di recupero: poco più di una capanna costruita con semplici assi di legno e posta nella stessa spianata dell'Aquasola, dove i primi "garaventini", con molto impegno ed entusiasmo, si dedicavano a semplici e facili lavori, iniziali pratiche per l'apprendimento di un mestiere.
Il 1 dicembre 1883 nasceva quindi la "Scuola Officina per Discoli", con i canoni della moralità e religiosità seguendo il motto:"Prevenire e redimere" e dedicata a quei ragazzi emarginati dalla società: figli di famiglie poverissime, di detenuti o di donne di malaffare, spesso orfani o abbandonati, e che fossero però di età inferiore ai 16 anni.
TRAMAIONI scrisse di Lui sul "Successo", descrivendo le sua "battute di caccia", presso i portici dell'Accademia, le calate del porto, ed in tutta la "corte dei miracoli" notturna della Genova dell'epoca:
"...sciù pe Riväta
in scïa Chêllia, in Ravecca e Borgosacco
a sorveggiä chi commette a battusäta
pe sarvalo d'andâ a vedde ö sô a scacco..."
"...su per la Rivalta
nella Chellia, in Ravecca e Borgosacco
a sorvegliare chi commette monellate
per salvarlo d'andare a vedere il sole a scacchi..."
Nel 1892, in occasione della "Esposizione Colombiana", i giovani recuperati socialmente e reinseriti attivamente nella società civile si contavano già in più di centottanta.
Per rendere più funzionale la sua opera educativa Nicolò GARAVENTA nel 1893 pensò di trasferire la sua "Scuola di Redenzione e vita" su una imbarcazione, facendo vivere "i Garaventini" come dei veri marinai ed insegnando loro, se analfabeti prima a leggere e scrivere, e poi con lezioni collettive: Italiano, Geografia , Calligrafia, Religione, Musica, Nuoto e Canotaggio.
Quindi a seconda delle predisposizioni degli allievi si passava alla ulteriore specificità, indirizzandoli alle sezioni di specializzazione come: "Allievi Macchinisti" o "Mozzi".
Per realizzare questa sua nuova idea, Nicolò, dopo aver visto in porto un'imbarcazione militare in disuso si interessò e si adoperò presso le varie istituzioni tanto che, dopo varie richieste, la Marina Militare Italiana, nel 1893 gli assegnerà il "Pontone Brigantino DAINO".
Questa era una vecchia nave non più in uso militare, proveniente dalla Marina Sarda che aveva partecipato alla spedizione contro il Bey di Tripoli e durante la guerra contro l'Austria era stata comandata dal Tenente di Vascello PERSANO.
Brigantino DAINO
Una volta ottenuta, il Professore la adatterà per poter ospitare così i "suoi" ragazzi, creandovi una scuola di recupero sociale, ribattezzando la nave con il nome di "REDENZIONE".
E tutta l'operazione porterà quindi alla creazione dell'istituzione:: "NAVE OFFICINA REDENZIONE GARAVENTA".
La nave resterà ancorata all'interno del porto di Genova, alla punta del molo Giano, sino al 1904 quando sarà sostituita dalla "Cannoniera Sebastiano VENIERO", di 52 metri di lunghezza, che precedentemente aveva fatto un lungo servizio nei porti oltre oceano, ed ora non era più in servizio attivo.
la Banda Musicale GARAVENTA
il "rancio" dei ragazzi con Nicolò GARAVENTA sullo sfondo
Morto Nicolò GARAVENTA l'opera educativa verrà proseguita, prima dai figli Domingo e Giovanni GARAVENTA (già collaboratori precedentemente), e poi da Carlo PEIRANO, che già fin dal 1939 era stato vice-comandante della nave-scuola.
Il 9 febbraio 1941, durante la seconda Guerra Mondiale, un bombardamento sul porto di Genova, dove la nave era ancorata, la affondò ed allora gli allievi vennero ospitati provvisoriamente in vari collegi della città.
Finita la guerra, la Marina Militare concesse un'altra imbarcazione: il "Posamine CROTONE", sul quale nel 1951 riprenderà l'addestramento dei ragazzi secondo l'opera iniziata da Nicolò GARAVENTA.
Posamine CROTONE
Durante la sua attività, questa istituzione ospiterà ininterrottamente moltissimi "Garaventini" tanto che, dal 1883(anno di fondazione) sino al 1977(quando sarà smantellata), è stato calcolato che i ragazzi "educati", in totale, sono stati più di dodicimila!
Su questo esempio, vista la validità dell'opera educativa, analoghe istituzioni sono poi nate in Italia a: Venezia, Cagliari, Napoli, Anzio. Ed anche all'estero in: Brasile, Cile, Inghilterra, Olanda e Ucraina.
Da rilevare anche che nel 1959 questa l'istituzione sarà dichiarata "Ente Morale".
Quando il 15 dicembre 1977 questo Ente educativo-morale venne prima commissariato e poi chiuso, cessando definitivamente di esistere, tutto il personale educativo ed i ragazzi che erano ancora alloggiati sulla nave furono inseriti sia nell'Istituto Davide Chiossone, che in varie Comunità-Alloggio e Case-Famiglia organizzate e seguite da alcuni gruppi di volontariato.
busto dedicato a Nicolò GARAVENTA, sito in Corso Aurelio SAFFI, tra la città vecchia e la Foce.
fonte: il sito VEGIA ZENA
le foto son inserite al solo scopo didattico educativo NON si intende violare alcun diritto d'autore
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un saluto
Piero e famiglia. -
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I PALAZZI DEI ROLLI
Palazzo Carrega-Cataldi
Il palazzo Carrega-Cataldi o palazzo Tobia Pallavicini è un edificio sito in via Garibaldi al civico 4 nel centro storico di Genova, inserito il 13 luglio del 2006 nella lista tra i 42 palazzi iscritti ai Rolli di Genova divenuti in tale data Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. L'edificio è oggi sede della Camera di Commercio di Genova.
Il palazzo fu costruito tra il 1558 e il 1561 per Tobia Pallavicino da Giovanni Battista Castello "il Bergamasco" con la collaborazione di Bartolomeo Riccio, di Domenico Solari e di Antonio Roderio. Si tratta della prima opera nota eseguita a Genova dal bergamasco, alla quale lavorò in contemporanea con la decorazione della villa suburbana dello stesso Pallavicino, progettata pochi anni prima da Galeazzo Alessi, nota come Villa Pallavicino delle Peschiere.[1] Tobia Pallavicino, facoltoso commerciante in allume, era discendente di una delle famiglie di più antica nobiltà della città e occupò numerose cariche per la repubblica genovese. Fu tra i primi ad acquistare una vasta area per l'edificazione del palazzo di famiglia prospiciente la Strada Nuova progettata pochi anni prima dal Cantoni, con un giardino, poi scomparso durante gli ampliamenti settecenteschi, che si apriva sulla retrostante piazza del ferro.
Nella costruzione del palazzo il Bergamasco, già attivo nella sua città d'origine come decoratore e frescante, procede simultaneamente e coerentemente con la decorazione delle superfici esterne ed interne. La chiarezza del prospetto è rinascimentale e di chiara influenza alessiana, con il rivestimento a bugnato in pietra di finale al piano terreno, e le lesene di ordine ionico al primo piano che scandiscono armoniosamente la facciata.
La costruzione cinquecentesca era costituita da un blocco cubico di due piani più due mezzanini. L'edificio non subì modifiche rilevanti fino all'inizio del XVIII secolo, quando passato in proprietà alla famiglia Carrega venne sopraelevato di un piano ed ampliato considerevolmente: furono costruiti due bracci perpendicolari e il corpo retrostante delimitati verso Piazza del Ferro da una semplice facciata ad intonaco.
La decorazione cinquecentesca
La decorazione interna rispecchia le due fasi della costruzione: In particolare sono giunti intatti fino a noi i due vestiboli del piano terreno e del piano nobile, completamente rivestiti dalla decorazione tardo rinascimentale. Qui è evidente l'inspirazione ai modelli romani ed in particolare raffaelleschi da parte del Castello, autore del progetto e degli affreschi racchiusi fra gli stucchi e le grottesche. Al piano terreno cornici dalla delicata modulazione in stucco bianco corrono fra fantasiosi e minuti decori a grottesca e più ampi affreschi raffiguranti le divinità dell'Olimpo a figura intera, mentre negli ottagoni centrali sono rappresentate Giunone e Leda. Sulle pareti laterali e sulla volta del vestibolo del piano nobile, più luminoso, la cromia delle decorazioni si fa invece più accesa. Anch'esse sono interamente rivestite, grazie all'intervento del Bergamasco, da stucchi e grottesche e riquadri affrescati che rappresentano Apollo Citaredo con le Muse e figure musicanti. Anche qui è evidente l'unitarietà del progetto di architettura e decorazione.
Gli ambienti settecenteschi
Alla fase settecentesca appartiengono in particolare due ambienti, la cappella e la galleria dorata, capolavori del tardobarocco dovuti a Lorenzo De Ferrari, di cui costituiscono le opere estreme ultimate poco prima della morte nel 1744. In entrambe gli ambienti la decorazione si fa totalizzante fondendo pareti, soffitti, porte, specchiere e arredi in un sofisticato apparato scenografico destinato allo stupore dello spettatore.
La Cappella è un piccolo ambiente chiuso, destinato a mettere in risalto la celebre statua della Vergine con Bambino (nota come Madonna Carrega), scolpita da Pierre Puget intorno al 1680[2], che attualmente si trova esposta al Museo di Sant'Agostino ed è stata sostituita da una copia nel 2004. L'artista si serve di una finta architettura a trompe-l'œil realizzata in stucco dorato e affresco per fingere un colonnato aperto sul giardino, quale quinta teatrale per gruppo marmoreo della Vergine, che risalta grazie al contrasto tra il candore del marmo ed i colori accesi dello sfondo. Parimenti sul soffitto la finta architettura a stucco crea un oculo che inquadra l'affresco con un volo di angeli. Le ante della porta sono dipinte su tela dallo stesso pittore che vi raffigurò due medaglioni con l'Annunciazione e la Natività a monocromo.
La complessa macchina decorativa della Galleria Dorata realizzata dal De Ferrari probabilmente in collaborazione con Diego Francesco Carlone, rappresenta uno degli esiti più alti del tardo barocco genovese. Essa è posta a chiusura della struttura settecentesca del palazzo, e costituisce un esempio significativo del gusto Rococò a Genova. Fu interamente ideata dal De Ferrari tra il 1734 e il 1744 seguendo un disegno unitario che fonde insieme stucchi dorati, specchi ed affreschi. L'intero ciclo decorativo è ispirato alle storie di Enea; nel medaglione centrale della volta e nei tondi su tela vengono svolti gli episodi più importanti nell'Eneide. Sull'ovale della volta è il Concilio degli dei, con Venere, madre di Enea al cospetto di Giove. Nelle due grandi lunette, lo Sbarco di Enea e Enea e Venere, mentre nei quattro tondi sono La fuga da Troia, Enea e Didone, Venere commissiona a Vulcano le armi di Enea e La sconfitta di Turno.
Fonte sito dei Rolli
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