"Caffè Zibaldone"

GENOVA per VOI

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  1. Nihil Obest
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    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

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    ...gli austriaci...un obice caduto...che l'inse ?...la rivolta...insomma...IL BALILLA

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    LA STORIA

    Giambattista Perasso noto come il Balilla è una figura eroica popolare della storia genovese. L'evento che lo vede protagonista si inserisce in un quadro storico funesto per Genova.
    Nel 1740, alla morte di Carlo VI°, alla figlia Maria Teresa, sicura di succedere al padre sul trono imperiale, viene preferito il Duca di Baviera (Carlo VII°).
    Il 13 settembre 1743, con il trattato di Worms, il Marchesato di Finale, già acquistato dalla Repubblica di Genova nel 1713, viene promesso da Maria Teresa al Regno di Sardegna.
    La Repubblica si vede costretta a firmare l'Alleanza di Aranjuez (1 maggio 1745) con Francia, Spagna e Napoli in difesa dei propri diritti violati a Worms.
    Allo scoppio delle ostilità si registra una serie di successi delle truppe francesi, spagnole e napoletane. La sconfitta di Piacenza, 16 giugno 1746, ferma l'avanzata degli alleati e inverte le sorti della guerra. Le truppe franco-spagnole riparano a Genova per poi abbandonarla proseguendo la ritirata. La città resta indifesa.
    Il 4 settembre 1746 gli austriaci sono a San Pier d'Arena (Sampierdarena).
    Le trattative diplomatiche con il Generale Brown risultano vane. Il 6 settembre 1746 la situazione già critica precipita con l'arrivo del Marchese Antoniotto Botta Adorno. Nonostante appartenga al patriziato genovese, nutre forte rancore per ragioni familiari nei confronti della Repubblica. Il Marchese, evidentemente accecato dall'odio, avanza richieste umilianti ed economicamente esosissime.
    Le pretese eccessive, l'occupazione dei punti chiave di Genova, il tentativo di sottrarre le artiglierie cittadine e il comportamento delle truppe, portano, il 5 dicembre 1746, alla rivolta popolare.
    L'insurrezione scoppia a Portoria. Un mortaio genovese in mano agli austriaci rimane impantanato durante il trasporto. Le truppe d'occupazione, con la forza, vogliono costringere i passanti a liberare il pezzo d'artiglieria. Lo sdegno e l'ostilità della popolazione si concretizza nel gesto del Balilla che al grido "che l'inse?" scaglia la prima pietra di una fitta sassaiola. Le truppe sono costrette ad una fuga precipitosa dovendo abbandonare il cannone.
    Nei giorni seguenti si alternano scontri a tregue e trattative diplomatiche.
    La sollevazione dei genovesi costringe Botta Adorno ad abbandonare la città riparando a Novi. Il successivo tentativo di tornare a Genova viene prontamente contrastato costringendo il Marchese a rifugiarsi nuovamente a Novi.
    Nel febbraio del 1747, il Marchese Antoniotto Botta Adorno che tradendo la Patria d'origine volle umiliare l'intera città di Genova, viene ripagato con ugual moneta subendo l'umiliazione della sostituzione al comando delle truppe.
    Successivamente, anche il nuovo comandante Schulembourg tenta invano la presa di Genova.
    Con la pace di Aquisgrana (18 ottobre 1748) ha termine il conflitto e la Repubblica mantiene il controllo sul Marchesato di Finale.


    LA LEGGENDA DIVENUTA REALTA'

    Il suo nome è una leggenda, indissolubilmente legata ad un quartiere, uno di quelli che non sono più come erano secoli fa.
    Un tempo qui c’erano vicoletti ripidi e stretti, ora ci sono i grattacieli.
    Un tempo qui c’era l’Ospedale di Pammatone, adesso al suo posto, nello stesso edificio, c’è il Tribunale.
    Il tempo scorre, cambia la geografia delle strade, muta il profilo delle città.
    Restano le memorie, i gesti, carichi di significato e densi di ideali, ideali nei quali ancora crediamo.
    Siamo sempre stati ribelli, a Genova.
    Siamo sempre stati poco inclini a farci assoggettare dal potere altrui.
    Siamo un popolo indomito, schivo, duro, caparbio ed orgoglioso.
    E qui, in questo quartiere, a Portoria, è nato il mito di Balilla.
    La vicenda, assai nota, risale a giorni lontani, giorni bui e difficili, gli Austriaci occupano la città e i genovesi sono privati della loro indipendenza.
    E’ inverno, è il 5 dicembre 1746, serpeggia lo scontento, i cuori battono come tamburi, la rabbia cresce ormai da giorni.
    Nella piazza di Portoria, i soldati austriaci stanno trasportando un mortaio, che, a causa del peso eccessivo, provoca il cedimento della strada.
    I soldati intimano i genovesi di aiutarli, ma questi, sdegnati, rifiutano.
    Come è prevedibile, la reazione degli austriaci è violenta, prendono a minacciare il popolo, perché obbedisca all’ordine impartito.
    Un ragazzo, con un gesto, accende la miccia della rivolta, infiamma gli animi e fa esplodere quel malcontento che da tempo alberga nel popolo tutto.
    E’ lì, tra i suoi concittadini, è appena un adolescente, un fanciullo imberbe.
    E non teme nulla, a lui il nemico non fa paura.
    Pronuncia una frase, in dialetto, poche parole che passeranno alla storia:
    Che l’inse?
    Il loro significato è: la comincio?
    E scaglia un sasso contro un ufficiale austriaco.
    Balilla la comincia così, la rivolta.
    Il popolo lo segue, piovono pietre sull’esercito nemico, e quelli che le tirano sono falegnami, facchini, pescivendoli, ciabiattini, merciai, è l’insurrezione.
    Il 10 dicembre, cinque giorni dopo, la gente di Genova trionferà sull’invasore.
    Ma chi è il ragazzo che ha lanciato quel sasso?
    Il mito, per sua natura, necessita di un certo mistero e intorno alla figura del Balilla molti sono gli interrogativi rimasti insoluti.
    Dieci anni dopo, in una traduzione dialettale di La Gerusalemme Liberata, per la prima volta comparirà il soprannome con il quale è ricordato questo giovane coraggioso, la cui reale identità rimane non del tutto chiarita.
    Ma il mito supera la realtà, va oltre, si imprime nella memoria storica e resta inciso per l’eternità; e così Goffredo Mameli, il cantore dell’Unità e autore del nostro inno nazionale, dedicherà un verso al suo giovane concittadino, queste sono le sue parole: i bimbi d’Italia si chiaman Balilla.
    Ma davvero, quale fu il suo vero nome?
    Molteplici sono le interpretazioni; la più accreditata, risalente al 1845 identifica il ragazzo che lanciò il sasso in un certo Giovanni Battista Perasso.
    Originario di Montoggio, avrebbe avuto diciassette anni all’epoca degli eventi di cui fu protagonista ed abitava a Portoria, dove era a bottega per apprendere l’arte di tintore. Ma a Genova, a quel tempo, visse un altro giovane che ugualmente si chiamava Giovanni Battista Perasso, di sei anni più giovane del suo omonimo.
    Si scoprì, in seguito, che il primo dei due ragazzi, Giovanni Battista Perasso da Montoggio, aveva subito un processo per contrabbando di sale, per il quale gli venne comminata una condanna a due anni di galera.
    Il padre, nell’implorare la clemenza delle autorità, fece presente che in passato il figlio si era comportato bene, ma non fece cenno ad una sua attiva partecipazione alla rivolta del ’46 e ciò ha fatto dubitare gli storici del fatto che si tratti del vero Balilla.
    Si è aggiunta inoltre, in anni più recenti, una terza figura risponde al nome di Andrea Podestà.
    Nativo di Portoria, di professione stoppiere, faceva parte della Compagni degli Scelti, una sorta di corpo militare i cui componenti prestavano servizio di guardia.
    Anch’egli era noto come Balilla, lo si è desunto da alcuni documenti d’archivio che riguardano un processo per rissa nel quale il Podestà ricopriva il ruolo di imputato.
    Tutt’altro che un tipo tranquillo, quindi.
    Non è realmente chiarita la reale identità di Balilla, se consultate i testi risorgimentali il nome più diffuso è Giovanni Battista Perasso da Montoggio, a lui è attribuito il famoso gesto, è lui che viene riconosciuto come il vero Balilla.
    Le autorità del tempo, si legge in testi dell’epoca, per sdebitarsi con questo valoroso cittadino, gli concessero la licenza di aprire un fondaco di vino alle porte del Portello.
    Mito, agiografia, leggenda.
    Di questo è ammantata la vicenda di un ragazzo che passò alla storia.
    E forse poco conta sapere chi fosse realmente, certo è che visse a Genova, nel 1746.
    E chiunque egli fosse, è rimasto nei cuori e nei pensieri dei genovesi.
    Lanciò una pietra contro il nemico, questo fece.
    Quando i tedeschi, nella II^ Guerra Mondiale, tornarono a Genova, un ignoto scrisse sotto la statua dedicata al Balilla
    “Chinn-a zù, che son torna chì.”
    Scendi giù, che sono di nuovo qui.


    Dal libro “Magia Ligure” di Kazimiera Alberti, la cronaca della ribellione genovese:
    "...Il mortaio rimase dove era, ed attorno a questo trofeoil popolo decise di scacciare completamente gli austriaci da Genova. Si adunò tutto il sestiere di Portoria . Al grido A palazzo! A palazzo a prendere le armi!” si avviò verso il palazzo ducale….
    ...I senatori, pieni della loro responsabilità, non vollero cedere le armi richieste….La folla, vista La mancanza di decisione del senato, seppe trovare le armi dovunque erano. Ma in tale ricerca non toccò altro, al di fuori delle armi. Fu nominato un quartier generale che si installò nel collegio dei gesuiti. Lo componevano tappezzieri, pittori, pescivendoli, scritturali, commercianti, calzolai, tintori, fornai facchini, osti. Generale delle milizie un mediatore. Presidente: Tommaso Assereto, detto l’indiano.
    I nobili e coloro che avevano qualcosa da perdere si erano asserragliati in casa…..Al popolo si aggiunsero le truppe della Repubblica, stanche di starsene in ozio nelle caseme. Gli stessi detenuti della Malapaga e le ciurme delle galere generosamente si dimostrarono degni della libertà loro concessa e della fiducia avuta…..
    ….Gli austriaci perdettero quasi 8000 uomini (di cui 1000 morti) e 800 ufficiali. I popolani ebbero solo 30 feriti e 13 uccisi. La stessa sera del 10 ...Giovanni Carbone, garzone di osteria, a nome del popolo si presentava a palazzo, dove il Doge ed i senatori erano riuniti in attesa che il tempo decidesse per loro. Recava le chiavi della porta S. Tommaso, la più contesa, e la consegnava al Doge, accompagnando il gesto con queste parole:
    «Signori, ecco le chiavi che loro, con tutta franchezza, hanno dato ai nostri nemici: procuriamo in avvenire di meglio custodirle, perché noi col nostro sangue recuperate le abbiamo!»
    ….La rivolta genovese del 1746 offre spunto a molte e diverse considerazioni. Come già Cola da Rienzo e Masaniello, Balilla fornisce ancora una prova di cosa possa la ferma decisione di un popolo. E come proprio nelle classi umili, in coloro che nulla hanno da perdere ma anche nulla da guadagnare, risieda quell’audacia, quel sentimento, quell’erica incoscienza contro cui mai nulla han potuto ‒ e nulla potranno mai ‒ le più poderose armate di ogni tempo….”




    il quartiere della rivolta



    l'iscrizione sotto il suo monumento


    la via a lui dedicata

    CURIOSITA'

    Il Balilla compare nella versione integrale nell'Inno d'Italia e precisamente:

    Fratelli d'Italia,
    L'Italia s'è desta;
    Dell'elmo di Scipio
    S'è cinta la testa.
    Dov'è la Vittoria?
    Le porga la chioma;
    Ché schiava di Roma
    Iddio la creò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Noi siamo da secoli
    Calpesti, derisi,
    Perché non siam popolo,
    Perché siam divisi.
    Raccolgaci un'unica
    Bandiera, una speme;
    Di fonderci insieme
    Già l'ora suonò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Uniamoci, amiamoci;
    L'unione e l'amore
    Rivelano ai popoli
    Le vie del Signore.
    Giuriamo far libero
    Il suolo natio:
    Uniti, per Dio,
    Chi vincer ci può?

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Dall'Alpe a Sicilia,
    Dovunque è Legnano;
    Ogn'uom di Ferruccio
    Ha il core e la mano;
    I bimbi d'Italia
    Si chiaman Balilla;
    Il suon d'ogni squilla
    I Vespri suonò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Son giunchi che piegano
    Le spade vendute;
    Già l'Aquila d'Austria
    Le penne ha perdute.
    Il sangue d'Italia
    E il sangue Polacco
    Bevé col Cosacco,
    Ma il cor le bruciò.

    Stringiamci a coorte!
    Siam pronti alla morte;
    L'Italia chiamò.

    Il Balilla, durante il fascismo rappresentava la generazione nuova
    home

    ma anche un fucile, il "balillino"
    balilla_0752

    un'auto che faceva sognare gli italiani
    1-fiat-balilla-auto-epoca-matrimoni


    e il famoso calcio "balilla"
    2_big_44
    detto anche "biliardino"

    fu scritta anche una canzone in suo onore


    ricerca effettuata consultando testi vari in mio possesso; le foto sono inserite a solo scopo didattico/storico/culturale, non si intende violare alcun diritto d'autore

    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 14/10/2018, 07:33
     
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