"Caffè Zibaldone"

1914 - 2014 la Prima Guerra Mondiale compie 100 anni

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    riprendo questa discussione, aperta in altro sito, quanto mai interessante ed istruttiva
    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 19/12/2014, 16:48
     
    Top
    .
  2. mikisnow
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    http://m.youtube.com/#/watch?v=1N6JCvgRkkA

    Guerra assurda. Nessun nemico vero da combattere per entrambi, dispendio di soldi uomini e impoverimento delle famiglie contadine.

    Molto coinvolgente quello che accadde sul Lagazuoi.

    http://it.m.wikipedia.org/wiki/Impresa_di_Premuda
     
    Top
    .
  3. Terra d'Otranto
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Guerra vinta per sfinimento e non perchè l'esercito nemico era stato annientato o era in rotta(questo vale per la Germania, l'esercito austroungarico era totalmente in ritirata ormai)
     
    Top
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    appena avrò del tempo, riprenderò a inserire immagini e curiosità collegate a questo evento; lo scopo di questa discussione non è il perchè sia scoppiata la I GM o, se fosse "utile" o meno ma, il raccontarla attraverso mille e mille episodi reali, molto diversi tra loro...e tutti siete invitati a dare il vostro contributo
    in tal senso.-
    saluti
    Piero e famiglia
     
    Top
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    adoro la "fantasia" degli ingegneri dell'epoca...ecco un Vickers Vimy britannico



    immagine inserita a solo scopo didattico-storico, non si intende violare alcun diritto d'autore

    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 12/10/2014, 17:21
     
    Top
    .
  6. Bruzio
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    103528-004-57649B09

    Salve Piero,
    è questo? La tua immagine non si vede.
     
    Top
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    CITAZIONE (Bruzio @ 10/10/2014, 17:24) 
    (IMG:http://media.web.britannica.com/eb-media/2...04-57649B09.jpg)

    Salve Piero,
    è questo? La tua immagine non si vede.

    ...si, è lo stesso aereo ma io vedo sia la tua che la mia di immagine...misteri dell'etere
    saluti
    Piero e famiglia
     
    Top
    .
  8. Bruzio
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    La cosa strabiliante sono i confini prima e dopo la prima guerra mondiale. Un Europa totalmente diversa.

    450px-Cartina_Europa_1914.svg
    450px-Cartina_Europa_1924.svg
     
    Top
    .
  9.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    questo sono i barchini MAS (motosiluranti) che affondarono la Corrazzata Wien nel porto di Trieste e che compirono altre memorabili gesta...

    220px-MAS_esercitazione

    e questo è un frammento della prua della stessa Corrazzata Wien recuperato ed esposto al Museo Storico Navale di Venezia

    220px-Museonavale3

    saluti
    Piero e famiglia
     
    Top
    .
  10.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    segnalo il libro "La Guerra dei Nostri Nonni" di Aldo Cazzullo per i tipi della Mondadori, qui due link sull'argomento:

    http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...0,d.d2s&cad=rja

    http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...0,d.d2s&cad=rja

    saluti
    Piero e famiglia
     
    Top
    .
  11. mikisnow
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    http://www.senato.it/3182?newsletter_item=...tter_numero=155
    Anche il comparto agricolo fu posto sotto pressione dagli eventi bellici. Come nell'industria, si pose innanzitutto il problema di rimediare alla perdita di forza lavoro determinata dalla leva militare, reclutandone di nuova fra i settori della popolazione abitualmente non attivi: e ciò naturalmente fu fatto, sia pure - rileva Hardach (1982) - con le lentezze e le difficoltà che derivarono dalla mancanza d'un'adeguata programmazione iniziale, derivante dalla convinzione fallace (e foriera di problemi anche in ambito industriale, come s'è visto) che il conflitto avrebbe avuto breve durata. Non risolvibile, secondo lo stesso autore, si rivelò invece il problema di come rendere o mantenere la produttività dell'agricoltura adeguata alle necessità della popolazione. Al riguardo, va rilevato che v'erano paesi (quali Gran Bretagna e Italia) che dipendevano dalle importazioni di cereali, le quali ovviamente furono compresse dalla rottura di molte relazioni commerciali e dall'insicurezza che venne a connotare i trasporti; come pure che ve n'era almeno uno (la Germania) formalmente autosufficiente, ma che doveva tale condizione al largo impiego di concimi chimici anch'essi importati. Nel corso del conflitto la devastazione dei territori che segnò pesantemente alcuni paesi - Berend (2008) menziona il Belgio, la Francia, la Polonia, la Serbia e la Russia - pure contribuì a compromettere la produzione agricola. L'inevitabile conseguenza di questa situazione - come illustra ancora Hardach (1982) - fu la sottoposizione anche dell'agricoltura ad uno stretto controllo statale, il quale si caratterizzò per il ricorso a razionamenti e al blocco dei prezzi. È da notare che tali politiche, sia pure in forma moderata, vennero poste in essere anche in alcuni paesi europei rimasti neutrali (Olanda, Danimarca e Norvegia): ciò perché l'insufficienza della produzione alimentare in quelli belligeranti fece sorgere flussi di esportazioni dai secondi verso i primi tali da determinare al loro interno una forte tendenza al rialzo dei prezzi, che in assenza di interventi statali avrebbe posto a repentaglio la sussistenza degli strati meno abbienti delle loro popolazioni.

    Subito dopo la guerra anche la produzione agricola scontò gli effetti del calo demografico sulla disponibilità di manodopera e sulla domanda interna. Inoltre il ritorno ai livelli di produzione pregressi, che fu conseguito negli anni successivi, non fu accompagnato da un ritorno ai precedenti livelli di redditività: ciò perché, secondo Cameron e Neal (2005), alla ripresa produttiva corrispose una crisi dei prezzi, dovuta al fatto che nel periodo bellico il calo della produzione e delle esportazioni dei paesi in guerra aveva stimolato la crescita dell'una e delle altre nelle Americhe e che pertanto tale ripresa portò la produzione globale a livelli superiori a quelli dell'epoca precedente il conflitto.
     
    Top
    .
  12.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    foto di un combattimento aereo con protagonista l'Asso italiano Francesco Baracca...

    a1918g

    foto inserita a solo scopo didattico-culturale, non si intende violate alcun diritto d'autore...
    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 23/6/2015, 18:00
     
    Top
    .
  13. Bruzio
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Anche se la guerra si concluse l'11/11/1918, ben 96 anni fa si celebrava l'armistizio tra Italia e Austria-Ungheria.

    Un minuto di silenzio per i caduti in guerra, chiaramente dimenticati oggi.

    Full_4_Nov

    Edited by Nihil Obest - 29/9/2017, 17:57
     
    Top
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    il sindacalismo interventista: Filippo Corridoni

    1914_Filippo_Corridoni_dietro_Benito_Mussolini




    Filippo Corridoni
    "
    Dalla classe alla Nazione
    "
    " ... egli non ha avuto che una meta: l'elevazione delle plebi lavoratrici italiane attraverso il
    sindacato di mestiere, socialmente educato e cosciente del suo compito, fino a portarle al
    diritto di cittadinanza nel governo della produzione economica, con tutte le relative
    conseguenze di una maggiore giustizia sociale e quindi anche politica e giuridica ...". (Vito
    Rastelli)

    Nel pomeriggio del 23 marzo 1915, su una delle tante linee di fuoco, tra le doline carsiche, la
    battaglia si fa feroce. Molti austriaci cadono sotto il piombo dei fanti italiani. Un drappello di
    soldati guidato, spavaldamente, dal volontario Filippo Corridoni, cerca di opporsi, come può, al
    fuoco incrociato del nemico che tenta di riprendersi la "Trincea delle Frasche". Truppe di
    rincalzo, all'improvviso, giungono a dare manforte agli assalitori. Corridoni, svettante su tutti,
    anche per via della statura, agita, in segno di saluto, il berretto e grida: "Avanti, avanti amici.
    Vittoria! Vittoria!". Gli austriaci sono, efficacemente incalzati. Con il sorriso sulle labbra
    Corridoni intima l'inno di Guglielmo Oberdan: "Fuoco per Dio sui barbari, sulle nemiche
    schiere...". La sua voce si spegne immediatamente. Una pallottola lo colpisce alla fronte. La
    morte è istantanea. Gli occhi gli si chiudono sulla visione della vittoria.. Il suo corpo non sarà
    mai ritrovato. Presagio del suo destino, qualche giorno prima, Corridoni aveva confidato ad
    alcuni amici: "Morirò in una buca, contro una roccia, o nella furia di un assalto; se potrò cadrò
    con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora". Con la morte fiorì la sua
    leggenda. Concludendo uno splendido, umanissimo profilo corridoniano qualche anno dopo.
    Alceste De Ambris, compagno di tante battaglie dell'agitatore marchigiano scrisse: "Il
    rivoluzionario, dieci volte, condannato, per antimilitarismo, è morto nella "Trincea delle
    Frasche" con la divisa grigio verde come sarebbe stato su una barricata, per la Causa che fu
    l'amore e lo spasimo di tutta la sua tormentata esistenza, ossia, il rinnovamento dell'Italia
    Liberata nell'ora stessa da ogni apprensione o controllo straniero, come da tutte le tirannie
    interne. Con la stessa febbre generosa, la stessa, mai saziato, sete di giustizia e di sacrificio
    che lo aveva cacciato in prima negli scioperi e nelle rivolte di strada, nel carcere e nell'esilio, lo
    aveva condotto alla guerra e n'aveva fatto un Eroe". Nell'annotazione di De Ambris c'è molto di
    più del postumo omaggio all'amico ed al combattente. C'è il ritratto a tutto tondo del
    sindacalista rivoluzionario che aveva inteso spostare sulla trincea la battaglia civile ravviando
    nella guerra rivoluzionaria il solo mezzo idoneo per legare coscienza nazionale, contribuendo
    così, al pari d'altri "sovversivi" del tempo, ad immettere l'Italia nell'epoca delle grandi
    trasformazioni culturali, sociali e politiche.
    La sorte di Corridoni ebbe, e continua ad avere, il senso di un "sacrificio liberatorio" sotto due
    profili della rivendicazione dell'indipendenza nazionale dell'affermazione dello"spirito nuovo"
    che muoveva i "rivoltosi" del suo genere reclamanti nuove solidarietà tra il "bene comune"
    della nazione, finalmente sottratta, anche moralmente, all'egemonia della borghesia. Nato a
    Pausala, in provincia di Macerata, da una famiglia, di modesta condizione sociale il 19 agosto
    1887, Corridoni lasciò ben presto i luoghi d'origine per trasferirsi a Milano dove aveva trovato
    un impiego di disegnatore meccanico presso le officine "Miami & Silvestri". Il capoluogo
    lombardo sarebbe divenuto, di lì a poco, l'arena del suo cimento politico e sindacale,
    rendendosi conto immediatamente che il clan sociale stava rapidamente mutando, mentre
    stava per raggiungere il culmine dell'asprezza la lotta fra trasformisti e rivoluzionari del Partito
    Socialista Italiano. Nella composita galassia marxista s'affacciava con autorità, in quel tempo,
    anche la parte sindacalista che nel 1904, insieme con i rivoluzionari dello PSI, aveva creato ad
    un riuscitissimo sciopero generale con il quale s'intese protestare contro gli eccidi proletari dei
    quali, negli ultimi anni, s'era reso responsabile il governo. Non solo. Lo sciopero si configurò
    anche come primo tentativo violento dei rivoluzionari socialisti contro la politica ufficiale del
    partito stesso, giudicata morbida, accomodante, piccolo-borghese nei confronti del giolittismo.
    In una Milano ancora scossa da quelle agitazioni e visibilmente percorsa da fremiti ed
    inquietudini sociali, Corridoni diventò, "naturaliter" socialista rivoluzionario, soreliano ed
    herveista, in pratica antimilitarista. E' soprattutto quest'ultimo elemento a farlo decidere, nella
    primavera del 1906, ad abbracciare con ardore la cosiddetta "milizia sovversiva". Negli
    ambienti herveisti conobbe Maria Rygier con la quale organizzò una vasta propaganda
    antimilitarista nelle caserme che gli fruttò innumerevoli denuncie. L'apprendistato "sovversivo"
    di Corridoni passò attraverso alcuni incarichi ricoperti nell'ambito della federazione milanese
    dello PSI, la fondazione del foglio antimilitarista "Rompete le file!", con la Rygier, ed una
    condanna, a quattro anni, seguita alla soppressione del giornale alla quale il giovane
    rivoluzionario si sottrasse riparando a Nizza, città prodiga d'aiuto per gli esiliati politici italiani.
    Corridoni, a Nizza, rimase poco. Avendo appreso che, a Parma Alceste De Ambris stava
    organizzando le agitazioni che culminarono nei moti di piazza del maggio - luglio 1908, vi si
    precipitò correndo molti rischi, sotto il falso nome di Leo Gervisio. Non basteranno il suo
    coraggio e l'attivismo, né quello dei compagni: lo sciopero fallì e Corridoni riprese la strada
    dell'esilio, prima a Lugano e poi a Zurigo dove, malato ed in miseria, si diede ai lavori più
    umili. I sindacalisti attribuiscono il fallimento delle agitazioni ai dirigenti riformisti, dopo di che
    gli effetti politici non si fecero attendere. Il decimo congresso del Partito Socialista, presieduto
    da Andrea Costa, condannò durissimamente gli organizzatori dei fatti di Parma e dichiarò
    "incompatibili con i principi ed i metodi del Partito Socialista Italiano, la dottrina e la pratica del
    sindacalismo rivoluzionario". Corridoni apprese in Svizzera e naturalmente si schierò contro la
    dirigenza del PSI.
    Esule
    Fra il 1909 ed il 1911 andò e tornò clandestinamente dall'Italia; si affermò come Leader
    sindacale, diresse la lega dei gassisti, poi quella dei metallurgici; fu tra gli organizzatori
    dell'importante sciopero di Piombino; finalmente amnistiato, ritornò a Milano dove cominciò a
    fare il cronista del quotidiano dei ferrovieri "La Conquista"diretto da Livio Ciardi; diventò
    segretario della Camera del Lavoro di Mirandola prima e di Bologna poi; viaggiò per la Puglia, il
    Veneto, a Liguria, la Toscana; ovunque, senza complessi, portò il contributo della sua militanza
    sovversiva. Sorel trovò, in Italia, il discepolo, l'attivista in grado di tradurre in pratica le sue
    teorie che in Francia non era riuscito a trovare. Nel frattempo, la polemica intorno all'impresa
    libica si faceva accesa; Corridoni era contro la guerra e scrisse un libretto di grande efficacia
    persuasiva: "Le rovine del neoimperialismo italico". Nel novembre 1912 l'avvenimento che
    inciderà sui destini del movimento operaio italiano. A Modena, si tiene il congresso di tutte le
    organizzazioni sindacalistiche italiane che proclamano la scissione della Confederazione
    Generale del Lavoro orientata, nella sua dirigenza, in senso riformista: si costituisce l'Unione
    Sindacale Italiana. Nell'aprile 1913, Corridoni, diventò capo dell'Unione di Milano, cui diede un
    notevole impulso elaborando un inedito "modello industrialista" che metteva in discussione il
    cosiddetto "frazionamento" sindacale. "Il nuovo sistema corridoniano - ha osservato Gian
    Biagio Puriozzi - prevedeva l'organizzazione degli operai, specie dei grossi stabilimenti, fabbrica
    per fabbrica; era così spezzato il consueto processo d'aggregazione basato sulle analogie
    professionali, trasferendolo nel luogo stesso di produzione e conquistando alla classe operaia
    uno spazio autonomo di manovra per forzare le maglie del fronte padronale". Su queste basi, e
    con notevole successo, Corridoni articolò il progetto di un grande sindacato metallurgico. Nel
    giugno 1914, la "Settimana rossa", appare, ai sindacalisti rivoluzionari, come la grande
    occasione, da qualche tempo attesa, per attuare il sogno dello sciopero generale rivoluzionario.
    Con Alceste De Ambris, Corridoni fu in prima fila nell'esortare gli scioperanti milanesi a non
    riprendere il lavoro "fino a quando Casa Savoia non sarà mandata in Sardegna". Il "sogno"
    rivoluzionario, in ogni modo, doveva ancora restare tale: molte le defezioni, innumerevoli le
    incertezze a cominciare da quelle della Cgil. Intanto, nel giugno 1914, Corridoni, dopo un
    memorabile comizio all'Arena di Milano tenuto con Mussolini, fu caricato dalla polizia,
    selvaggiamente bastonato ed arrestato. Restò in carcere fino ai primi di settembre; uscendone
    trovò la situazione politica interna ed internazionale profondamente mutata. Della "Settimana
    rossa" non era rimasto nulla. Un ciclone dalla forma dirompente stava per squassare l'Europa,
    travolgere regni, imperi, nazioni, chiudere un'epoca ed aprirne un'altra. Alla fine di giugno, a
    Sarajevo, era stato assassinato l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, erede al trono degli
    Asburgo. La scintilla della prima guerra mondiale s'era immediatamente accesa in ogni luogo.
    In Italia gli schieramenti, neutralista ed interventista, non tardarono a formarsi.
    Corridoni non dimenticò di essere un soreliano.
    Era la guerra la grande occasione rivoluzionaria, che il proletariato doveva cogliere, per
    continuare la funzione politica e sociale della borghesia risorgimentale che, nel frattempo,
    aveva perduto il ruolo di forza trainante del Paese. Ammonendo i rivoluzionari a non lasciarsi
    irretire dai dogmi formali e dalla dottrina, Corridoni fece appello alla visione realistica ed alla
    situazione storica del proletariato italiano per concludere: "Le simpatie che sento per il Belgio
    martire e per la Francia minacciata, mi impongono una determinazione che scandalizzerà
    certamente la grande maggioranza dei lavoratori e, forse, anche molti compagni con i quali ho
    avuto consuetudine di vita, ma, siccome sento che, in ogni caso, non saprei rinunciare al
    proponimento di impegnare tutte le mie energie per spingere l'Italia a schierarsi al fianco delle
    nazioni aggredite, ti prego di parlarne fin d'ora agli amici". Restituito alla libertà, Corridoni
    "restituì" all'Unione Sindacale Milanese pure il suo giornale "Avanguardia", chiuso con il suo
    arresto. Nel primo articolo, l'agitatore riprese un difficile "colloquio", con il proletariato
    milanese, consapevole che le sue ragioni, in favore dell'intervento, non a tutti saranno gradite.
    “Se il proletariato - scrisse è in preda al più angoscioso disorientamento, se egli non vede che
    il suo male ed il suo bene attuale, imminente, e non ha occhio che guardi di là dalle sue
    meschinità quotidiane, la colpa è nostra, tutta nostra. Siamo noi che abbiamo sviluppato il suo
    egoismo bruto e che abbiamo visto in lui un puro e semplice manciatore di pane. Ed oggi
    dovremmo meravigliarci se non ci comprende o stenta a comprenderci. Il problema della
    guerra è troppo forte per i cervelli proletari. L'operaio non vede, nella guerra, che strage,
    miseria e fame - che deve sopportare lui - quindi è contro la guerra. Che importa, a lui, se fra
    dieci o vent'anni i sacrifici dell'oggi frutteranno benefici incalcolabili? Che importa, se l'attuale
    guerra può spianare la via alla rivoluzione sociale, eliminando gli ultimi rimasugli della
    preponderanza feudale, colpendo, in pieno, il principio monarchico, infrangendo le necessità
    storiche che resero possibili gli esercizi permanenti? Pane si, ma, anche pane e educazione.
    Bisogni filosofici, ma, anche spirituali e culturali. Il proletariato non è classe finché
    l'organizzazione non allargherà i suoi orizzonti di lotta e non combatterà battaglie oltre quella
    del salario e dell'orario di lavoro. Ci si nutre per vivere e non si vive per nutrirci. Noi vogliamo,
    dall'alto di questa libera tribuna, illuminare le nuove vie della marcia proletaria.”
    Arcangelo del sindacalismo
    Sindacalismo, interventismo ed, ancora, carcere. La vita di Corridoni, prima della guerra, fu
    scandita da queste tre "dimensioni". La galera non lo infiacchì. Trovò, anzi, il tempo per
    scrivere un saggio, pregevolissimo, che avrebbe visto la luce, postumo, nel 1921, a Parma:
    "Sindacalismo e Repubblica". Sono formulati, con chiarezza ed ampiezza, i postulati
    corridoniani sull'azione diretta, sulla Nazione armata, sul diritto d'iniziativa delle categorie, sui
    sindacati di mestiere, sui problemi della produzione, sul colonialismo e l'emigrazione, sulla
    "vocazione" mediterranea dell'Italia, sul Mezzogiorno, tradito dalle classi di potere, e sul suo
    ruolo per il futuro del Paese. Scritte sei mesi prima di morire, le pagine di "Sindacalismo e
    Repubblica", testimoniano la fede sindacalista, di Corridoni, e l'accettazione della guerra, con
    grande spirito di sacrificio, consapevole della necessità, e della sua ineluttabilità, per i destini
    del proletariato italiano. Egli, infatti, comprendeva la rivoluzione "sotto la specie di uno sforzo
    volontario, eroico, incessante, adatto alle circostanze ambientali, pur restando, sempre, rivolto
    alla trasformazione profonda, sebbene parziale, dei rapporti sociali". Ecco perché, Corridoni,
    invitava i compagni ad essere, effettivamente, sindacalisti e rivoluzionari partecipando a tutte
    quelle azioni che, pure indirettamente, sarebbero state utili ai fini della rivoluzione proletaria,
    la guerra, ad esempio. In questo senso, anche il compromesso poteva tornare utile, ed,
    accettò la guerra nella certezza che sarebbe stata una rivoluzione. Non è pensabile ch'egli
    fosse diventato "guerrafondaio", da un giorno all'altro, militarista, più militarista degli odiati
    tedeschi ed austriaci. Era, piuttosto, senza saperlo, un "sovversivo" che aveva trovato la
    Nazione.
    Da un compromesso, dunque, Corridoni giungeva ad una sintesi nuova, davvero "espansiva",
    che conteneva il seme dell'avvenire. "Abbiamo infranto le pastoie di tutte le formule - scriveva
    De Ambris - siamo gli eretici d'ogni dogma, neghiamo qualsiasi teoria che giustifichi, od
    imponga, l'inerzia. Che monte se i piccoli uomini, dal cervello fatto a caselle, non ci
    comprendono o ci scomunicano? Dovunque s'armi e combatta una volontà diretta a scardinare,
    e sovvertire, il mortifero ordine costituito dal servaggio internazionale, dal parassitismo
    interno, dalla miseria morale, e fisica, dei produttori, ivi è il nostro posto, senza chiedere, a chi
    pugna accanto a noi, quale tessera porti in tasca e se, magari, faccia a meno d'ogni tessera".
    Corridoni non si pose mai il problema dell'"appartenenza".
    I valori, per i quali ci si batte, non hanno colore.
    L'intelligenza di Corridoni operò nel senso dell'avvenire, ma, non da tutti, fu, adeguatamente,
    compresa, e, ciò non significa che avesse torto. Nel suo "esame sindacalista" della situazione
    italiana, di quel tempo, Corridoni si dimostrava particolarmente sensibile ad una possibile, ed
    auspicabile, "rivolta della borghesia", svolgendo un ragionamento tutto interno alla logica
    marxista fondata, com'è noto, sulla necessità dello sviluppo capitalistico per il trionfo della
    rivoluzione proletaria -, un paradosso solo in apparenza. Secondo Corridoni, dall'evoluzione del
    capitalismo industriale sarebbe nata una classe proletaria più forte. Marx, infatti, teorizzava
    che la catastrofe capitalistica ci sarebbe stata quando la borghesia avrebbe raggiunto il
    massimo della perfezione e della capacità produttiva. Solo allora si sarebbero verificate le
    condizioni per il trapasso del potere. Corridoni individuava le difficoltà del raggiungimento di
    questa fase nell'impotenza dell'Italia a svilupparsi industrialmente ed, a questo fine, riteneva
    opportuno aiutare la borghesia ad espandersi spronandola a compiere quella che, a molti
    rivoluzionari del suo tempo, appariva come una "missione storica". Non vi era contraddizione
    nella formulazione corridoniana. Egli puntava a favorire lo sviluppo della borghesia per
    ottenere la sua comunicazione; per far godere, al proletariato, di maggior pace sociale nella
    fase dell'organizzazione e della formazione della "conoscenza di classe"; per avere tempo a
    disposizione onde creare, in assenza di tensioni, quei "sindacati di mestiere" che si
    configuravano quali cellule della nuova costruzione sociale. Dunque, la prosperità economica
    era fondamentale ai fini della rivoluzione. Ma la borghesia, sosteneva poi Corridoni, se volesse
    davvero incamminarsi sulla via di un sicuro sviluppo dovrebbe, in primo luogo, trarsi dalla
    sudditanza protezionistica dello Stato che, in cambio dei suoi favori, a tutela dell'ordine sociale,
    e garante degli affari internazionali dell'industria italiana, pretende dalla borghesia la rinuncia a
    tutti i suoi diritti, alle sue libertà, ai suoi privilegi. "Un'industria che ha bisogno di essere
    protetta da tasse doganali - osservava Corridoni - e che non ha il modo di contendere con le
    proprie forze il mercato nazionale ai prodotti stranieri, non solo, ma non ha la speranza di
    portare, un giorno, la guerra sul loro territorio, è un'industria morta. Essa avrà la padronanza
    del mercato nazionale, ma il giorno in cui questo sarà saturo dei suoi prodotti sarà anche il
    giorno della sua agonia. Proteggere un'industria nel suo nascere può anche essere giustificato,
    ma quando questa dovrebbe aver fatto le ossa, ogni protezione dev'essere tolta". L'alternativa
    al "guasto" protezionistico denunciato, Corridoni la vedeva nella dottrina del "libero scambio".
    Tale propensione liberoscambista di Corridoni farà, a più di uno, arricciare il naso. Ma c'è una
    spiegazione: Seguiamo quella proposta da un attento esegeta dell'opera corridoniana, Vito
    Rastelli. "Non bisogna dimenticare che Corridoni, come quasi tutti i rivoluzionari del suo tempo,
    sul terreno economico, aveva nutrito la sua mente alle dottrine del pensiero di Marx, le quali
    partendo dal quadro dell'ambiente economico inglese del secolo scorso, ponevano il liberismo
    delle classi e per la conseguente lotta di classe. Lotta di classe che era necessaria premessa sia
    all'avvento del proletariato sotto le forme di Socialismo di Stato secondo Marx, sia all'avvento
    del sindacato di mestiere nella gestione della produzione e dell'economia nazionale, in un clima
    politico repubblicano di democrazia diretta ed amministrativamente decentrato, quasi
    federativo, secondo i ritocchi d'ispirazione soreliana ed i completamenti portati da Corridoni
    alle dottrine di Marx. Ora, se non sì perdono di vista le su esposte considerazioni - senza di cui
    nessuna esegesi critica potrebbe essere fatta - non ci si meraviglierà di sentire Corridoni
    dichiararsi apertamente per il liberismo economico e di esprimere, invece, tutto il suo
    scetticismo verso le forme protezionistiche dell'economia, nelle quali - si noti bene - vedeva la
    rinuncia ai grattacapi della concorrenza internazionale e dell'Imperialismo". Corridoni non si
    nascondeva che l'adozione del sistema di libero scambio avrebbe, inizialmente, determinato un
    grande sconquasso nel sistema economico - finanziario ed avrebbe avuto inevitabili
    ripercussioni politiche. I due terzi delle industrie italiane sarebbero stati destinati al fallimento,
    ma l'intervento chirurgico s'impone al fine di salvare il salvabile dell'organismo economico
    nazionale. Naturalmente, i più feroci avversari che questa necessaria "mutazione" erano i due
    pilastri dell'establishment italiano del tempo: il regime monarchico e l'ordinamento burocratico,
    cioè la "classe politica" che aveva tutto l'interesse a tenere lontano dalle situazioni statali la
    borghesia attiva la quale era vellicata nei suoi difetti, si vedeva blandita la sua fiacchezza
    morale e assecondate le sue povere aspirazioni.
    L'avversione di Corridoni per la borghesia era duplice di mentalità ed opportunità.
    Egli immaginava la rivoluzione sotto la forma di un volontarismo eroico tendente alla più
    profonda trasformazione della società italiana: e questo non poteva essere compreso dallo
    spirito borghese. Scorgeva, quindi, il fondamento "dell'azione diretta" nell'antisviluppo
    capitalistico autonomo, antistatale; ed a questo si opponeva per viltà la borghesia. Alla
    mancanza di coraggio della borghesia avrebbe dovuto sopperire la violenza rivoluzionaria. Ma il
    proletariato era pronto alla bisogna, l'occasione rivoluzionaria era matura? Corridoni
    l'escludeva perché, su una popolazione di 36 milioni, d'abitanti, otto vivevano del lavoro delle
    loro braccia; di essi la metà apparteneva a certe categorie - artigiani, commessi - che non si
    potevano organizzare ai fini della lotta di classe; degli altri, appena un quinto era organizzato
    nei sindacati di mestiere di vario genere e coloritura. Soltanto una piccola parte, quindi, era
    inquadrata nelle organizzazioni sindacali che accettavano l'azione diretta e la violenza come
    forme di lotta di classe. Troppo poco. Al proletariato italiano apparivano oltretutto molto
    remote mete con la socializzazione dei mezzi di produzione, lo sciopero generale espropriatore,
    la catastrofe capitalistica, e via elencando; molto lontane perché fosse ragionevolmente indotto
    al soddisfacimento di qualche immediato appetito. Il sindacalismo, dunque, non era che
    un'anticipazione teorica, come sosteneva Arturo Labriola. Ma su questa anticipazione teorica
    Corridoni non rinunciò a formare la sua coscienza rivoluzionaria pur dimostrando di saper fare i
    conti con gli errori. Da questo profondo "esame sindacalista" di Corridoni emergeva che l'Italia
    del 1915 si trovava in condizioni quasi pre-capitalistiche; che la causa principale di tale
    situazione andava ricercata nella miseria morale e nella mancanza d'iniziativa della borghesia
    produttrice abbandonatasi nelle braccia dello Stato al quale chiedeva una doppia protezione:
    contro la concorrenza straniera e contro la pressione operaia, che, infine, il proletariato, a
    causa della sua debolezza intrinseca, non era in condizioni di svolgere la sua parte di
    propulsore dell'inerti energie borghesi. Per "risvegliare" la borghesia, secondo Corridoni, non
    c'erano che due mezzi metterla di fronte all'aggressore della concorrenza internazionale -
    adottando quindi il sistema liberista - e proporla all'attacco del proletariato - secondo la
    metodologia sindacalista della violenza di classe e dell'azione diretta. Sempre due erano le vie
    da battere per ottenere il doppio risultato sperato: una "legalitaria", che presupponeva lo
    sviluppo all'interno delle istituzioni, dopo aver preparato la coscienza nazionale al
    cambiamento, e sostituirle con quelle desiderate. Corridoni non si faceva illusioni circa la
    possibilità di perseguire la prima via; il suo programma era abbastanza massimalista da
    escludere una sua applicazione all'interno delle istituzioni; non poteva esservi altra via che
    quella rivoluzionaria. L'avvento bellico si presentò a Corridoni come l'occasione più grande che
    si potesse immaginare. In esso vedeva la realizzazione di tutte le sue speranze. E quando uscì
    dal carcere incontrò un altro uomo che, abbandonato il Socialismo, cercò, come lui, l'occasione
    suprema: Benito Mussolini. Nel maggio 1915 i due rivoluzionari infiammarono Milano con
    riunioni e comizi. Tennero discorsi insieme quasi ogni giorno fin quando Vittorio Emanuele III,
    respingendo le dimissioni del governo Salandra, non aprì, in pratica; la via all'intervento
    dell'Italia in guerra. Corridoni, insieme con molti altri sindacalisti rivoluzionari, si arruolò
    volontario nel 68° Fanteria. Il 27 luglio, pochi giorni prima del suo 28° compleanno, fu
    destinato al 32° Fanteria.Poi al 142° con cui ebbe il "battesimo di fuoco". Quindi, bruciando le
    tappe, arrivò velocemente all'appuntamento con la morte. Dalla visione e dalla prassi
    corridoniane emerge un esempio assai eloquente di com'e con quale efficacia si possa condurre
    un'azione politica al di fuori dei canoni tradizionali del "politico" Corridoni è, in un certo senso,
    una sorta di antesignano nel considerare la "società civile" preminente sulla "società politica",
    individuando nei corpi sociali il tessuto connettivo della Nazione: da qui la concezione dei
    sindacati di mestiere che non soltanto è il cardine intorno al quale ruota la teoria sindacale
    corridoniana, ma è pure il punto di riferimento dal quale partire nel considerare qualunque
    ipotesi di superamento del partitismo e delle sue degenerazioni. Pure la messa in discussione
    di tutte le idee date per acquisite da una cultura politica tanto manichea quanto ottusa, fa di
    Corridoni un "modernizzatore dell'ideologia ed un precursore di modelli politici aggregativi
    fondati sull'eresia, sulla trasgressione". Pacifismo ed interventismo, Socialismo e Nazione,
    classe e popolo, Repubblica e Sindacato, liberismo e produzione sono concetti che con l'abilità
    di un fabbro, Corridoni fonde dando luogo a sintesi assolutamente innovative. Avendo
    contribuito a "saldare" la classe e la Nazione Corridoni lo si può a buon diritto considerare un
    "pre-fascista", nel senso cioè di avere impostato coerentemente la battaglia politica in vista di
    una pacificazione in chiave solidaristica, contemplante innanzi tutto l'elevazione delle
    componenti meno abbienti della società italiana e la loro adeguata rappresentazione politica al
    di fuori dei discriminanti consensi del parlamentarismo borghese. Tuttavia, se resta per fermo
    nel senso appena indicato il "pre-fascismo" di Corridoni va pure sottolineato che qualunque
    tentativo di definizione o di approvazione sembra fuori luogo per l'impossibilità, almeno di
    ridurre inappellabilmente ed arbitrariamente dentro schemi aprioristici il pensiero di un uomo
    che indiscutibilmente mostrò di rifuggire catalogazioni prestabilite inventando così un modo
    nuovo di fare politica che, in più grande stile, doveva poi essere il modo del sindacalismo
    nazionale.
    (il Libeccio)
    www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...3,d.d2s&cad=rja
    scritto inserito a solo scopo storico/divulgativo; non si intende violare alcun diritto d'autore...
    ...prossime puntate sullo stesso argomento: Alceste De Ambris - Benito Mussolini

    (WEB)(OK)-1-Corridonia---fascio---P1010017---Andrea-Montecchiarini---copia



    FOTO SOPRA - LA PIAZZA DEDICATA A FILIPPO CORRIDONI NEL SUO PAESE NATIO

    Corridonia è un comune italiano di 15 427 abitanti della provincia di Macerata.
    In passato ha avuto altre denominazioni: dapprima Montolmo, poi Pausula per identificazione con la città romana di Pausulae. Assunse il nome corrente nel 1931 in onore di Filippo Corridoni, sindacalista rivoluzionario, intellettuale socialista ed interventista morto il 23 ottobre 1915 nella Trincea delle Frasche.
    A tuttoggi alcuni circoli sindacali della UIL sono intitolati a questa bellissima figura italica[/color][/size]

    LE FOTO SONO INSERITE A SOLO SCOPO DIDATTICO CULTURALE - NON SIN INTENDE VIOLARE ALCUN DIRITTO D'AUTORE


    saluti
    Piero e famiglia

    Edited by Nihil Obest - 6/10/2017, 19:13
     
    Top
    .
  15.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

    Group
    Administrator
    Posts
    33,739
    Reputation
    +452
    Location
    Valleregia di Serra Riccò (GE)

    Status
    Offline
    salve
    si segnalano questi libri




    saluti
    Piero e famiglia
     
    Top
    .
47 replies since 4/10/2014, 20:20   613 views
  Share  
.