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salve
riprendo questa discussione, aperta in altro sito, quanto mai interessante ed istruttiva
saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 19/12/2014, 16:48. -
mikisnow.
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http://m.youtube.com/#/watch?v=1N6JCvgRkkA
Guerra assurda. Nessun nemico vero da combattere per entrambi, dispendio di soldi uomini e impoverimento delle famiglie contadine.
Molto coinvolgente quello che accadde sul Lagazuoi.
http://it.m.wikipedia.org/wiki/Impresa_di_Premuda. -
Terra d'Otranto.
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Guerra vinta per sfinimento e non perchè l'esercito nemico era stato annientato o era in rotta(questo vale per la Germania, l'esercito austroungarico era totalmente in ritirata ormai) . -
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salve
appena avrò del tempo, riprenderò a inserire immagini e curiosità collegate a questo evento; lo scopo di questa discussione non è il perchè sia scoppiata la I GM o, se fosse "utile" o meno ma, il raccontarla attraverso mille e mille episodi reali, molto diversi tra loro...e tutti siete invitati a dare il vostro contributo
in tal senso.-
saluti
Piero e famiglia. -
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salve
adoro la "fantasia" degli ingegneri dell'epoca...ecco un Vickers Vimy britannico
immagine inserita a solo scopo didattico-storico, non si intende violare alcun diritto d'autore
saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 12/10/2014, 17:21. -
Bruzio.
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Salve Piero,
è questo? La tua immagine non si vede.. -
.(IMG:http://media.web.britannica.com/eb-media/2...04-57649B09.jpg)
Salve Piero,
è questo? La tua immagine non si vede.
...si, è lo stesso aereo ma io vedo sia la tua che la mia di immagine...misteri dell'etere
saluti
Piero e famiglia. -
Bruzio.
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La cosa strabiliante sono i confini prima e dopo la prima guerra mondiale. Un Europa totalmente diversa.
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salve
questo sono i barchini MAS (motosiluranti) che affondarono la Corrazzata Wien nel porto di Trieste e che compirono altre memorabili gesta...
e questo è un frammento della prua della stessa Corrazzata Wien recuperato ed esposto al Museo Storico Navale di Venezia
saluti
Piero e famiglia. -
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salve
segnalo il libro "La Guerra dei Nostri Nonni" di Aldo Cazzullo per i tipi della Mondadori, qui due link sull'argomento:
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...0,d.d2s&cad=rja
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...0,d.d2s&cad=rja
saluti
Piero e famiglia. -
mikisnow.
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http://www.senato.it/3182?newsletter_item=...tter_numero=155
Anche il comparto agricolo fu posto sotto pressione dagli eventi bellici. Come nell'industria, si pose innanzitutto il problema di rimediare alla perdita di forza lavoro determinata dalla leva militare, reclutandone di nuova fra i settori della popolazione abitualmente non attivi: e ciò naturalmente fu fatto, sia pure - rileva Hardach (1982) - con le lentezze e le difficoltà che derivarono dalla mancanza d'un'adeguata programmazione iniziale, derivante dalla convinzione fallace (e foriera di problemi anche in ambito industriale, come s'è visto) che il conflitto avrebbe avuto breve durata. Non risolvibile, secondo lo stesso autore, si rivelò invece il problema di come rendere o mantenere la produttività dell'agricoltura adeguata alle necessità della popolazione. Al riguardo, va rilevato che v'erano paesi (quali Gran Bretagna e Italia) che dipendevano dalle importazioni di cereali, le quali ovviamente furono compresse dalla rottura di molte relazioni commerciali e dall'insicurezza che venne a connotare i trasporti; come pure che ve n'era almeno uno (la Germania) formalmente autosufficiente, ma che doveva tale condizione al largo impiego di concimi chimici anch'essi importati. Nel corso del conflitto la devastazione dei territori che segnò pesantemente alcuni paesi - Berend (2008) menziona il Belgio, la Francia, la Polonia, la Serbia e la Russia - pure contribuì a compromettere la produzione agricola. L'inevitabile conseguenza di questa situazione - come illustra ancora Hardach (1982) - fu la sottoposizione anche dell'agricoltura ad uno stretto controllo statale, il quale si caratterizzò per il ricorso a razionamenti e al blocco dei prezzi. È da notare che tali politiche, sia pure in forma moderata, vennero poste in essere anche in alcuni paesi europei rimasti neutrali (Olanda, Danimarca e Norvegia): ciò perché l'insufficienza della produzione alimentare in quelli belligeranti fece sorgere flussi di esportazioni dai secondi verso i primi tali da determinare al loro interno una forte tendenza al rialzo dei prezzi, che in assenza di interventi statali avrebbe posto a repentaglio la sussistenza degli strati meno abbienti delle loro popolazioni.
Subito dopo la guerra anche la produzione agricola scontò gli effetti del calo demografico sulla disponibilità di manodopera e sulla domanda interna. Inoltre il ritorno ai livelli di produzione pregressi, che fu conseguito negli anni successivi, non fu accompagnato da un ritorno ai precedenti livelli di redditività: ciò perché, secondo Cameron e Neal (2005), alla ripresa produttiva corrispose una crisi dei prezzi, dovuta al fatto che nel periodo bellico il calo della produzione e delle esportazioni dei paesi in guerra aveva stimolato la crescita dell'una e delle altre nelle Americhe e che pertanto tale ripresa portò la produzione globale a livelli superiori a quelli dell'epoca precedente il conflitto.. -
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salve
foto di un combattimento aereo con protagonista l'Asso italiano Francesco Baracca...
foto inserita a solo scopo didattico-culturale, non si intende violate alcun diritto d'autore...
saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 23/6/2015, 18:00. -
Bruzio.
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Anche se la guerra si concluse l'11/11/1918, ben 96 anni fa si celebrava l'armistizio tra Italia e Austria-Ungheria.
Un minuto di silenzio per i caduti in guerra, chiaramente dimenticati oggi.
Edited by Nihil Obest - 29/9/2017, 17:57. -
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salve
il sindacalismo interventista: Filippo Corridoni
Filippo Corridoni
"
Dalla classe alla Nazione
"
" ... egli non ha avuto che una meta: l'elevazione delle plebi lavoratrici italiane attraverso il
sindacato di mestiere, socialmente educato e cosciente del suo compito, fino a portarle al
diritto di cittadinanza nel governo della produzione economica, con tutte le relative
conseguenze di una maggiore giustizia sociale e quindi anche politica e giuridica ...". (Vito
Rastelli)
Nel pomeriggio del 23 marzo 1915, su una delle tante linee di fuoco, tra le doline carsiche, la
battaglia si fa feroce. Molti austriaci cadono sotto il piombo dei fanti italiani. Un drappello di
soldati guidato, spavaldamente, dal volontario Filippo Corridoni, cerca di opporsi, come può, al
fuoco incrociato del nemico che tenta di riprendersi la "Trincea delle Frasche". Truppe di
rincalzo, all'improvviso, giungono a dare manforte agli assalitori. Corridoni, svettante su tutti,
anche per via della statura, agita, in segno di saluto, il berretto e grida: "Avanti, avanti amici.
Vittoria! Vittoria!". Gli austriaci sono, efficacemente incalzati. Con il sorriso sulle labbra
Corridoni intima l'inno di Guglielmo Oberdan: "Fuoco per Dio sui barbari, sulle nemiche
schiere...". La sua voce si spegne immediatamente. Una pallottola lo colpisce alla fronte. La
morte è istantanea. Gli occhi gli si chiudono sulla visione della vittoria.. Il suo corpo non sarà
mai ritrovato. Presagio del suo destino, qualche giorno prima, Corridoni aveva confidato ad
alcuni amici: "Morirò in una buca, contro una roccia, o nella furia di un assalto; se potrò cadrò
con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora". Con la morte fiorì la sua
leggenda. Concludendo uno splendido, umanissimo profilo corridoniano qualche anno dopo.
Alceste De Ambris, compagno di tante battaglie dell'agitatore marchigiano scrisse: "Il
rivoluzionario, dieci volte, condannato, per antimilitarismo, è morto nella "Trincea delle
Frasche" con la divisa grigio verde come sarebbe stato su una barricata, per la Causa che fu
l'amore e lo spasimo di tutta la sua tormentata esistenza, ossia, il rinnovamento dell'Italia
Liberata nell'ora stessa da ogni apprensione o controllo straniero, come da tutte le tirannie
interne. Con la stessa febbre generosa, la stessa, mai saziato, sete di giustizia e di sacrificio
che lo aveva cacciato in prima negli scioperi e nelle rivolte di strada, nel carcere e nell'esilio, lo
aveva condotto alla guerra e n'aveva fatto un Eroe". Nell'annotazione di De Ambris c'è molto di
più del postumo omaggio all'amico ed al combattente. C'è il ritratto a tutto tondo del
sindacalista rivoluzionario che aveva inteso spostare sulla trincea la battaglia civile ravviando
nella guerra rivoluzionaria il solo mezzo idoneo per legare coscienza nazionale, contribuendo
così, al pari d'altri "sovversivi" del tempo, ad immettere l'Italia nell'epoca delle grandi
trasformazioni culturali, sociali e politiche.
La sorte di Corridoni ebbe, e continua ad avere, il senso di un "sacrificio liberatorio" sotto due
profili della rivendicazione dell'indipendenza nazionale dell'affermazione dello"spirito nuovo"
che muoveva i "rivoltosi" del suo genere reclamanti nuove solidarietà tra il "bene comune"
della nazione, finalmente sottratta, anche moralmente, all'egemonia della borghesia. Nato a
Pausala, in provincia di Macerata, da una famiglia, di modesta condizione sociale il 19 agosto
1887, Corridoni lasciò ben presto i luoghi d'origine per trasferirsi a Milano dove aveva trovato
un impiego di disegnatore meccanico presso le officine "Miami & Silvestri". Il capoluogo
lombardo sarebbe divenuto, di lì a poco, l'arena del suo cimento politico e sindacale,
rendendosi conto immediatamente che il clan sociale stava rapidamente mutando, mentre
stava per raggiungere il culmine dell'asprezza la lotta fra trasformisti e rivoluzionari del Partito
Socialista Italiano. Nella composita galassia marxista s'affacciava con autorità, in quel tempo,
anche la parte sindacalista che nel 1904, insieme con i rivoluzionari dello PSI, aveva creato ad
un riuscitissimo sciopero generale con il quale s'intese protestare contro gli eccidi proletari dei
quali, negli ultimi anni, s'era reso responsabile il governo. Non solo. Lo sciopero si configurò
anche come primo tentativo violento dei rivoluzionari socialisti contro la politica ufficiale del
partito stesso, giudicata morbida, accomodante, piccolo-borghese nei confronti del giolittismo.
In una Milano ancora scossa da quelle agitazioni e visibilmente percorsa da fremiti ed
inquietudini sociali, Corridoni diventò, "naturaliter" socialista rivoluzionario, soreliano ed
herveista, in pratica antimilitarista. E' soprattutto quest'ultimo elemento a farlo decidere, nella
primavera del 1906, ad abbracciare con ardore la cosiddetta "milizia sovversiva". Negli
ambienti herveisti conobbe Maria Rygier con la quale organizzò una vasta propaganda
antimilitarista nelle caserme che gli fruttò innumerevoli denuncie. L'apprendistato "sovversivo"
di Corridoni passò attraverso alcuni incarichi ricoperti nell'ambito della federazione milanese
dello PSI, la fondazione del foglio antimilitarista "Rompete le file!", con la Rygier, ed una
condanna, a quattro anni, seguita alla soppressione del giornale alla quale il giovane
rivoluzionario si sottrasse riparando a Nizza, città prodiga d'aiuto per gli esiliati politici italiani.
Corridoni, a Nizza, rimase poco. Avendo appreso che, a Parma Alceste De Ambris stava
organizzando le agitazioni che culminarono nei moti di piazza del maggio - luglio 1908, vi si
precipitò correndo molti rischi, sotto il falso nome di Leo Gervisio. Non basteranno il suo
coraggio e l'attivismo, né quello dei compagni: lo sciopero fallì e Corridoni riprese la strada
dell'esilio, prima a Lugano e poi a Zurigo dove, malato ed in miseria, si diede ai lavori più
umili. I sindacalisti attribuiscono il fallimento delle agitazioni ai dirigenti riformisti, dopo di che
gli effetti politici non si fecero attendere. Il decimo congresso del Partito Socialista, presieduto
da Andrea Costa, condannò durissimamente gli organizzatori dei fatti di Parma e dichiarò
"incompatibili con i principi ed i metodi del Partito Socialista Italiano, la dottrina e la pratica del
sindacalismo rivoluzionario". Corridoni apprese in Svizzera e naturalmente si schierò contro la
dirigenza del PSI.
Esule
Fra il 1909 ed il 1911 andò e tornò clandestinamente dall'Italia; si affermò come Leader
sindacale, diresse la lega dei gassisti, poi quella dei metallurgici; fu tra gli organizzatori
dell'importante sciopero di Piombino; finalmente amnistiato, ritornò a Milano dove cominciò a
fare il cronista del quotidiano dei ferrovieri "La Conquista"diretto da Livio Ciardi; diventò
segretario della Camera del Lavoro di Mirandola prima e di Bologna poi; viaggiò per la Puglia, il
Veneto, a Liguria, la Toscana; ovunque, senza complessi, portò il contributo della sua militanza
sovversiva. Sorel trovò, in Italia, il discepolo, l'attivista in grado di tradurre in pratica le sue
teorie che in Francia non era riuscito a trovare. Nel frattempo, la polemica intorno all'impresa
libica si faceva accesa; Corridoni era contro la guerra e scrisse un libretto di grande efficacia
persuasiva: "Le rovine del neoimperialismo italico". Nel novembre 1912 l'avvenimento che
inciderà sui destini del movimento operaio italiano. A Modena, si tiene il congresso di tutte le
organizzazioni sindacalistiche italiane che proclamano la scissione della Confederazione
Generale del Lavoro orientata, nella sua dirigenza, in senso riformista: si costituisce l'Unione
Sindacale Italiana. Nell'aprile 1913, Corridoni, diventò capo dell'Unione di Milano, cui diede un
notevole impulso elaborando un inedito "modello industrialista" che metteva in discussione il
cosiddetto "frazionamento" sindacale. "Il nuovo sistema corridoniano - ha osservato Gian
Biagio Puriozzi - prevedeva l'organizzazione degli operai, specie dei grossi stabilimenti, fabbrica
per fabbrica; era così spezzato il consueto processo d'aggregazione basato sulle analogie
professionali, trasferendolo nel luogo stesso di produzione e conquistando alla classe operaia
uno spazio autonomo di manovra per forzare le maglie del fronte padronale". Su queste basi, e
con notevole successo, Corridoni articolò il progetto di un grande sindacato metallurgico. Nel
giugno 1914, la "Settimana rossa", appare, ai sindacalisti rivoluzionari, come la grande
occasione, da qualche tempo attesa, per attuare il sogno dello sciopero generale rivoluzionario.
Con Alceste De Ambris, Corridoni fu in prima fila nell'esortare gli scioperanti milanesi a non
riprendere il lavoro "fino a quando Casa Savoia non sarà mandata in Sardegna". Il "sogno"
rivoluzionario, in ogni modo, doveva ancora restare tale: molte le defezioni, innumerevoli le
incertezze a cominciare da quelle della Cgil. Intanto, nel giugno 1914, Corridoni, dopo un
memorabile comizio all'Arena di Milano tenuto con Mussolini, fu caricato dalla polizia,
selvaggiamente bastonato ed arrestato. Restò in carcere fino ai primi di settembre; uscendone
trovò la situazione politica interna ed internazionale profondamente mutata. Della "Settimana
rossa" non era rimasto nulla. Un ciclone dalla forma dirompente stava per squassare l'Europa,
travolgere regni, imperi, nazioni, chiudere un'epoca ed aprirne un'altra. Alla fine di giugno, a
Sarajevo, era stato assassinato l'arciduca d'Austria Francesco Ferdinando, erede al trono degli
Asburgo. La scintilla della prima guerra mondiale s'era immediatamente accesa in ogni luogo.
In Italia gli schieramenti, neutralista ed interventista, non tardarono a formarsi.
Corridoni non dimenticò di essere un soreliano.
Era la guerra la grande occasione rivoluzionaria, che il proletariato doveva cogliere, per
continuare la funzione politica e sociale della borghesia risorgimentale che, nel frattempo,
aveva perduto il ruolo di forza trainante del Paese. Ammonendo i rivoluzionari a non lasciarsi
irretire dai dogmi formali e dalla dottrina, Corridoni fece appello alla visione realistica ed alla
situazione storica del proletariato italiano per concludere: "Le simpatie che sento per il Belgio
martire e per la Francia minacciata, mi impongono una determinazione che scandalizzerà
certamente la grande maggioranza dei lavoratori e, forse, anche molti compagni con i quali ho
avuto consuetudine di vita, ma, siccome sento che, in ogni caso, non saprei rinunciare al
proponimento di impegnare tutte le mie energie per spingere l'Italia a schierarsi al fianco delle
nazioni aggredite, ti prego di parlarne fin d'ora agli amici". Restituito alla libertà, Corridoni
"restituì" all'Unione Sindacale Milanese pure il suo giornale "Avanguardia", chiuso con il suo
arresto. Nel primo articolo, l'agitatore riprese un difficile "colloquio", con il proletariato
milanese, consapevole che le sue ragioni, in favore dell'intervento, non a tutti saranno gradite.
“Se il proletariato - scrisse è in preda al più angoscioso disorientamento, se egli non vede che
il suo male ed il suo bene attuale, imminente, e non ha occhio che guardi di là dalle sue
meschinità quotidiane, la colpa è nostra, tutta nostra. Siamo noi che abbiamo sviluppato il suo
egoismo bruto e che abbiamo visto in lui un puro e semplice manciatore di pane. Ed oggi
dovremmo meravigliarci se non ci comprende o stenta a comprenderci. Il problema della
guerra è troppo forte per i cervelli proletari. L'operaio non vede, nella guerra, che strage,
miseria e fame - che deve sopportare lui - quindi è contro la guerra. Che importa, a lui, se fra
dieci o vent'anni i sacrifici dell'oggi frutteranno benefici incalcolabili? Che importa, se l'attuale
guerra può spianare la via alla rivoluzione sociale, eliminando gli ultimi rimasugli della
preponderanza feudale, colpendo, in pieno, il principio monarchico, infrangendo le necessità
storiche che resero possibili gli esercizi permanenti? Pane si, ma, anche pane e educazione.
Bisogni filosofici, ma, anche spirituali e culturali. Il proletariato non è classe finché
l'organizzazione non allargherà i suoi orizzonti di lotta e non combatterà battaglie oltre quella
del salario e dell'orario di lavoro. Ci si nutre per vivere e non si vive per nutrirci. Noi vogliamo,
dall'alto di questa libera tribuna, illuminare le nuove vie della marcia proletaria.”
Arcangelo del sindacalismo
Sindacalismo, interventismo ed, ancora, carcere. La vita di Corridoni, prima della guerra, fu
scandita da queste tre "dimensioni". La galera non lo infiacchì. Trovò, anzi, il tempo per
scrivere un saggio, pregevolissimo, che avrebbe visto la luce, postumo, nel 1921, a Parma:
"Sindacalismo e Repubblica". Sono formulati, con chiarezza ed ampiezza, i postulati
corridoniani sull'azione diretta, sulla Nazione armata, sul diritto d'iniziativa delle categorie, sui
sindacati di mestiere, sui problemi della produzione, sul colonialismo e l'emigrazione, sulla
"vocazione" mediterranea dell'Italia, sul Mezzogiorno, tradito dalle classi di potere, e sul suo
ruolo per il futuro del Paese. Scritte sei mesi prima di morire, le pagine di "Sindacalismo e
Repubblica", testimoniano la fede sindacalista, di Corridoni, e l'accettazione della guerra, con
grande spirito di sacrificio, consapevole della necessità, e della sua ineluttabilità, per i destini
del proletariato italiano. Egli, infatti, comprendeva la rivoluzione "sotto la specie di uno sforzo
volontario, eroico, incessante, adatto alle circostanze ambientali, pur restando, sempre, rivolto
alla trasformazione profonda, sebbene parziale, dei rapporti sociali". Ecco perché, Corridoni,
invitava i compagni ad essere, effettivamente, sindacalisti e rivoluzionari partecipando a tutte
quelle azioni che, pure indirettamente, sarebbero state utili ai fini della rivoluzione proletaria,
la guerra, ad esempio. In questo senso, anche il compromesso poteva tornare utile, ed,
accettò la guerra nella certezza che sarebbe stata una rivoluzione. Non è pensabile ch'egli
fosse diventato "guerrafondaio", da un giorno all'altro, militarista, più militarista degli odiati
tedeschi ed austriaci. Era, piuttosto, senza saperlo, un "sovversivo" che aveva trovato la
Nazione.
Da un compromesso, dunque, Corridoni giungeva ad una sintesi nuova, davvero "espansiva",
che conteneva il seme dell'avvenire. "Abbiamo infranto le pastoie di tutte le formule - scriveva
De Ambris - siamo gli eretici d'ogni dogma, neghiamo qualsiasi teoria che giustifichi, od
imponga, l'inerzia. Che monte se i piccoli uomini, dal cervello fatto a caselle, non ci
comprendono o ci scomunicano? Dovunque s'armi e combatta una volontà diretta a scardinare,
e sovvertire, il mortifero ordine costituito dal servaggio internazionale, dal parassitismo
interno, dalla miseria morale, e fisica, dei produttori, ivi è il nostro posto, senza chiedere, a chi
pugna accanto a noi, quale tessera porti in tasca e se, magari, faccia a meno d'ogni tessera".
Corridoni non si pose mai il problema dell'"appartenenza".
I valori, per i quali ci si batte, non hanno colore.
L'intelligenza di Corridoni operò nel senso dell'avvenire, ma, non da tutti, fu, adeguatamente,
compresa, e, ciò non significa che avesse torto. Nel suo "esame sindacalista" della situazione
italiana, di quel tempo, Corridoni si dimostrava particolarmente sensibile ad una possibile, ed
auspicabile, "rivolta della borghesia", svolgendo un ragionamento tutto interno alla logica
marxista fondata, com'è noto, sulla necessità dello sviluppo capitalistico per il trionfo della
rivoluzione proletaria -, un paradosso solo in apparenza. Secondo Corridoni, dall'evoluzione del
capitalismo industriale sarebbe nata una classe proletaria più forte. Marx, infatti, teorizzava
che la catastrofe capitalistica ci sarebbe stata quando la borghesia avrebbe raggiunto il
massimo della perfezione e della capacità produttiva. Solo allora si sarebbero verificate le
condizioni per il trapasso del potere. Corridoni individuava le difficoltà del raggiungimento di
questa fase nell'impotenza dell'Italia a svilupparsi industrialmente ed, a questo fine, riteneva
opportuno aiutare la borghesia ad espandersi spronandola a compiere quella che, a molti
rivoluzionari del suo tempo, appariva come una "missione storica". Non vi era contraddizione
nella formulazione corridoniana. Egli puntava a favorire lo sviluppo della borghesia per
ottenere la sua comunicazione; per far godere, al proletariato, di maggior pace sociale nella
fase dell'organizzazione e della formazione della "conoscenza di classe"; per avere tempo a
disposizione onde creare, in assenza di tensioni, quei "sindacati di mestiere" che si
configuravano quali cellule della nuova costruzione sociale. Dunque, la prosperità economica
era fondamentale ai fini della rivoluzione. Ma la borghesia, sosteneva poi Corridoni, se volesse
davvero incamminarsi sulla via di un sicuro sviluppo dovrebbe, in primo luogo, trarsi dalla
sudditanza protezionistica dello Stato che, in cambio dei suoi favori, a tutela dell'ordine sociale,
e garante degli affari internazionali dell'industria italiana, pretende dalla borghesia la rinuncia a
tutti i suoi diritti, alle sue libertà, ai suoi privilegi. "Un'industria che ha bisogno di essere
protetta da tasse doganali - osservava Corridoni - e che non ha il modo di contendere con le
proprie forze il mercato nazionale ai prodotti stranieri, non solo, ma non ha la speranza di
portare, un giorno, la guerra sul loro territorio, è un'industria morta. Essa avrà la padronanza
del mercato nazionale, ma il giorno in cui questo sarà saturo dei suoi prodotti sarà anche il
giorno della sua agonia. Proteggere un'industria nel suo nascere può anche essere giustificato,
ma quando questa dovrebbe aver fatto le ossa, ogni protezione dev'essere tolta". L'alternativa
al "guasto" protezionistico denunciato, Corridoni la vedeva nella dottrina del "libero scambio".
Tale propensione liberoscambista di Corridoni farà, a più di uno, arricciare il naso. Ma c'è una
spiegazione: Seguiamo quella proposta da un attento esegeta dell'opera corridoniana, Vito
Rastelli. "Non bisogna dimenticare che Corridoni, come quasi tutti i rivoluzionari del suo tempo,
sul terreno economico, aveva nutrito la sua mente alle dottrine del pensiero di Marx, le quali
partendo dal quadro dell'ambiente economico inglese del secolo scorso, ponevano il liberismo
delle classi e per la conseguente lotta di classe. Lotta di classe che era necessaria premessa sia
all'avvento del proletariato sotto le forme di Socialismo di Stato secondo Marx, sia all'avvento
del sindacato di mestiere nella gestione della produzione e dell'economia nazionale, in un clima
politico repubblicano di democrazia diretta ed amministrativamente decentrato, quasi
federativo, secondo i ritocchi d'ispirazione soreliana ed i completamenti portati da Corridoni
alle dottrine di Marx. Ora, se non sì perdono di vista le su esposte considerazioni - senza di cui
nessuna esegesi critica potrebbe essere fatta - non ci si meraviglierà di sentire Corridoni
dichiararsi apertamente per il liberismo economico e di esprimere, invece, tutto il suo
scetticismo verso le forme protezionistiche dell'economia, nelle quali - si noti bene - vedeva la
rinuncia ai grattacapi della concorrenza internazionale e dell'Imperialismo". Corridoni non si
nascondeva che l'adozione del sistema di libero scambio avrebbe, inizialmente, determinato un
grande sconquasso nel sistema economico - finanziario ed avrebbe avuto inevitabili
ripercussioni politiche. I due terzi delle industrie italiane sarebbero stati destinati al fallimento,
ma l'intervento chirurgico s'impone al fine di salvare il salvabile dell'organismo economico
nazionale. Naturalmente, i più feroci avversari che questa necessaria "mutazione" erano i due
pilastri dell'establishment italiano del tempo: il regime monarchico e l'ordinamento burocratico,
cioè la "classe politica" che aveva tutto l'interesse a tenere lontano dalle situazioni statali la
borghesia attiva la quale era vellicata nei suoi difetti, si vedeva blandita la sua fiacchezza
morale e assecondate le sue povere aspirazioni.
L'avversione di Corridoni per la borghesia era duplice di mentalità ed opportunità.
Egli immaginava la rivoluzione sotto la forma di un volontarismo eroico tendente alla più
profonda trasformazione della società italiana: e questo non poteva essere compreso dallo
spirito borghese. Scorgeva, quindi, il fondamento "dell'azione diretta" nell'antisviluppo
capitalistico autonomo, antistatale; ed a questo si opponeva per viltà la borghesia. Alla
mancanza di coraggio della borghesia avrebbe dovuto sopperire la violenza rivoluzionaria. Ma il
proletariato era pronto alla bisogna, l'occasione rivoluzionaria era matura? Corridoni
l'escludeva perché, su una popolazione di 36 milioni, d'abitanti, otto vivevano del lavoro delle
loro braccia; di essi la metà apparteneva a certe categorie - artigiani, commessi - che non si
potevano organizzare ai fini della lotta di classe; degli altri, appena un quinto era organizzato
nei sindacati di mestiere di vario genere e coloritura. Soltanto una piccola parte, quindi, era
inquadrata nelle organizzazioni sindacali che accettavano l'azione diretta e la violenza come
forme di lotta di classe. Troppo poco. Al proletariato italiano apparivano oltretutto molto
remote mete con la socializzazione dei mezzi di produzione, lo sciopero generale espropriatore,
la catastrofe capitalistica, e via elencando; molto lontane perché fosse ragionevolmente indotto
al soddisfacimento di qualche immediato appetito. Il sindacalismo, dunque, non era che
un'anticipazione teorica, come sosteneva Arturo Labriola. Ma su questa anticipazione teorica
Corridoni non rinunciò a formare la sua coscienza rivoluzionaria pur dimostrando di saper fare i
conti con gli errori. Da questo profondo "esame sindacalista" di Corridoni emergeva che l'Italia
del 1915 si trovava in condizioni quasi pre-capitalistiche; che la causa principale di tale
situazione andava ricercata nella miseria morale e nella mancanza d'iniziativa della borghesia
produttrice abbandonatasi nelle braccia dello Stato al quale chiedeva una doppia protezione:
contro la concorrenza straniera e contro la pressione operaia, che, infine, il proletariato, a
causa della sua debolezza intrinseca, non era in condizioni di svolgere la sua parte di
propulsore dell'inerti energie borghesi. Per "risvegliare" la borghesia, secondo Corridoni, non
c'erano che due mezzi metterla di fronte all'aggressore della concorrenza internazionale -
adottando quindi il sistema liberista - e proporla all'attacco del proletariato - secondo la
metodologia sindacalista della violenza di classe e dell'azione diretta. Sempre due erano le vie
da battere per ottenere il doppio risultato sperato: una "legalitaria", che presupponeva lo
sviluppo all'interno delle istituzioni, dopo aver preparato la coscienza nazionale al
cambiamento, e sostituirle con quelle desiderate. Corridoni non si faceva illusioni circa la
possibilità di perseguire la prima via; il suo programma era abbastanza massimalista da
escludere una sua applicazione all'interno delle istituzioni; non poteva esservi altra via che
quella rivoluzionaria. L'avvento bellico si presentò a Corridoni come l'occasione più grande che
si potesse immaginare. In esso vedeva la realizzazione di tutte le sue speranze. E quando uscì
dal carcere incontrò un altro uomo che, abbandonato il Socialismo, cercò, come lui, l'occasione
suprema: Benito Mussolini. Nel maggio 1915 i due rivoluzionari infiammarono Milano con
riunioni e comizi. Tennero discorsi insieme quasi ogni giorno fin quando Vittorio Emanuele III,
respingendo le dimissioni del governo Salandra, non aprì, in pratica; la via all'intervento
dell'Italia in guerra. Corridoni, insieme con molti altri sindacalisti rivoluzionari, si arruolò
volontario nel 68° Fanteria. Il 27 luglio, pochi giorni prima del suo 28° compleanno, fu
destinato al 32° Fanteria.Poi al 142° con cui ebbe il "battesimo di fuoco". Quindi, bruciando le
tappe, arrivò velocemente all'appuntamento con la morte. Dalla visione e dalla prassi
corridoniane emerge un esempio assai eloquente di com'e con quale efficacia si possa condurre
un'azione politica al di fuori dei canoni tradizionali del "politico" Corridoni è, in un certo senso,
una sorta di antesignano nel considerare la "società civile" preminente sulla "società politica",
individuando nei corpi sociali il tessuto connettivo della Nazione: da qui la concezione dei
sindacati di mestiere che non soltanto è il cardine intorno al quale ruota la teoria sindacale
corridoniana, ma è pure il punto di riferimento dal quale partire nel considerare qualunque
ipotesi di superamento del partitismo e delle sue degenerazioni. Pure la messa in discussione
di tutte le idee date per acquisite da una cultura politica tanto manichea quanto ottusa, fa di
Corridoni un "modernizzatore dell'ideologia ed un precursore di modelli politici aggregativi
fondati sull'eresia, sulla trasgressione". Pacifismo ed interventismo, Socialismo e Nazione,
classe e popolo, Repubblica e Sindacato, liberismo e produzione sono concetti che con l'abilità
di un fabbro, Corridoni fonde dando luogo a sintesi assolutamente innovative. Avendo
contribuito a "saldare" la classe e la Nazione Corridoni lo si può a buon diritto considerare un
"pre-fascista", nel senso cioè di avere impostato coerentemente la battaglia politica in vista di
una pacificazione in chiave solidaristica, contemplante innanzi tutto l'elevazione delle
componenti meno abbienti della società italiana e la loro adeguata rappresentazione politica al
di fuori dei discriminanti consensi del parlamentarismo borghese. Tuttavia, se resta per fermo
nel senso appena indicato il "pre-fascismo" di Corridoni va pure sottolineato che qualunque
tentativo di definizione o di approvazione sembra fuori luogo per l'impossibilità, almeno di
ridurre inappellabilmente ed arbitrariamente dentro schemi aprioristici il pensiero di un uomo
che indiscutibilmente mostrò di rifuggire catalogazioni prestabilite inventando così un modo
nuovo di fare politica che, in più grande stile, doveva poi essere il modo del sindacalismo
nazionale.
(il Libeccio)
www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...3,d.d2s&cad=rja
scritto inserito a solo scopo storico/divulgativo; non si intende violare alcun diritto d'autore...
...prossime puntate sullo stesso argomento: Alceste De Ambris - Benito Mussolini
FOTO SOPRA - LA PIAZZA DEDICATA A FILIPPO CORRIDONI NEL SUO PAESE NATIO
Corridonia è un comune italiano di 15 427 abitanti della provincia di Macerata.
In passato ha avuto altre denominazioni: dapprima Montolmo, poi Pausula per identificazione con la città romana di Pausulae. Assunse il nome corrente nel 1931 in onore di Filippo Corridoni, sindacalista rivoluzionario, intellettuale socialista ed interventista morto il 23 ottobre 1915 nella Trincea delle Frasche.
A tuttoggi alcuni circoli sindacali della UIL sono intitolati a questa bellissima figura italica[/color][/size]
LE FOTO SONO INSERITE A SOLO SCOPO DIDATTICO CULTURALE - NON SIN INTENDE VIOLARE ALCUN DIRITTO D'AUTORE
saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 6/10/2017, 19:13. -
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salve
si segnalano questi libri
saluti
Piero e famiglia.