"Caffè Zibaldone"

GENOVA per VOI

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    L'isola che non c'è

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    Palzzo ducale
    prima parte



    1200px_Lato_Piazza_Matteotti



    Il Palazzo Ducale di Genova (in ligure Paxo /ˈpaːʒu/, contrazione dell'antico termine Paraxo /paˈɹaːʒu/) è uno dei principali edifici storici e musei del capoluogo ligure, già sede del dogato dell'antica Repubblica.
    Lasciato in abbandono per lungo tempo e adibito a sede degli uffici giudiziari prima della costruzione negli anni settanta del nuovo palazzo di giustizia di Portoria, ha visto completare il suo restauro in occasione delle "Colombiadi" del 1992, con cui vennero commemorati Cristoforo Colombo e il cinquecentenario della scoperta dell'America.
    Ospita al piano nobile importanti mostre d'arte, dibattiti e convegni (organizzati nelle sale affrescate del Maggior e del Minor Consiglio) e, nei cortili e porticati, negozi e punti di ristoro. Il palazzo è gestito dalla fondazione "Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura" che ha suddiviso gli spazi in molteplici funzioni. Al suo interno si possono verificare eventi anche contemporaneamente in spazi dedicati. All'interno del palazzo si trovano anche le sedi di molte associazioni culturali. Nel 2001 vi si sono riuniti a congresso i capi di Stato e di governo convenuti a Genova per il G8.


    Storia


    le origini

    1200px_Loggia_abati



    La costruzione del Palazzo Ducale ha inizio alla fine del XIII secolo quando, in seguito alle vittoria contro Pisa (nel 1284 alla Meloria) e contro Venezia (nel 1298 a Curzola), Genova vedeva accrescere la propria potenza militare ed economica nel Mediterraneo. A quel tempo la città era organizzata in base alla Compagna Communis, che provvedeva alla nomina dei capitani del Popolo. Fino al 1291 però i capitani e gli altri rappresentanti del Comune non disponevano di una sede propria ma erano ospitati nel Palazzo arcivescovile o in vicine abitazioni private appartenenti alle famiglie Doria e Fieschi.
    Nel 1291 i capitani del Popolo Corrado Doria e Oberto Spinola acquistarono gli edifici di proprietà dei Doria che si affacciavano sulle odierne salita dell'Arcivescovado e via Tommaso Reggio e tre anni più tardi fu acquistato anche l'adiacente palazzo di Alberto Fieschi, dotato di una torre in seguito detta "Grimaldina", già utilizzato come sede dai capitani del Popolo a partire dal 1272 a causa dell'esilio dell'aristocratico. L'accorpamento portò alla realizzazione del palazzo degli abati, del quale è visibile parte del loggiato su via Tommaso Reggio. Non esistono testimonianze iconografiche precise dell'aspetto che doveva avere il palazzo in quel periodo, ma secondo la ricostruzione di Orlando Grosso, che ne curò il restauro negli anni trenta del XX secolo, doveva avere una pianta trapezoidale, con il lato sud verso via Tommaso Reggio lungo 44 metri, il lato nord di 50, il lato ovest su salita dell'Arcivescovado di 20 metri e il lato a est di 36 metri. Doveva avere un'altezza complessiva di circa 25 metri suddivisa su tre piani, di cui il piano terra ospitava un porticato mentre sui piani superiori si aprivano delle quadrifore. Al centro del prospetto sud si innalzava la torre Grimaldina di sei piani di altezza.

    Il Trecento e il Quattrocento

    Il palazzo, che con la nomina nel 1339 del primo doge genovese Simone Boccanegra aveva assunto il nome di "ducale", subì una serie di trasformazioni a partire dalla seconda metà del XIV secolo per volere del doge Antoniotto Adorno. L'edificio venne ingrandito con l'aggiunta di nuovi corpi di fabbrica a est, a formare una sorta di "C" intorno all'odierna piazza Matteotti, e a nord, fino a occupare uno spazio corrispondente all'attuale corpo centrale. Gli interventi voluti dall'Adorno non variarono l'accesso principale del palazzo, che continuò a essere mantenuto su via Tommaso Reggio.
    Una nuova importante trasformazione ebbe luogo verso la metà del secolo successivo con la costruzione della cosiddetta "cortina", un corpo di fabbrica destinato a ospitare la guarnigione che collegava le ali a est e a ovest di piazza Matteotti, di fatto trasformando la piazza in un cortile fortificato e rendendo il palazzo una sorta di cittadella del potere isolata dal resto della città. Non si conosce con esattezza la data di realizzazione della cortina, ma la nomina nel 1470 di un "capitano della porta di palazzo" fa pensare che a quel tempo la sua costruzione fosse terminata. Con la realizzazione della nuova ala infatti venne chiuso l'accesso da via Tommaso Reggio e il nuovo ingresso venne posto al centro della nuova costruzione.

    La fabbrica del Vannone

    Piantina_palazzo_ducale


    Nel XVI secolo le riforme volute da Andrea Doria avevano modificato la struttura politica della città, che era allora governata da un Maggior Consiglio di quattrocento senatori e da un Minor Consiglio, mentre il doge non era più eletto a vita ma restava in carica solo due anni. Il desiderio di disporre di una sede che rispecchiasse il prestigio e l'organizzazione gerarchica della signoria, unitamente all'esigenza di una fortezza che mantenesse il governo al riparo da intrighi e colpi di stato, portarono il senato ad affidare nel 1591 all'architetto Andrea Ceresola - detto "il Vannone" - l'incarico di ristrutturare completamente il palazzo.
    Il Vannone collegò e trasformò l'insieme di edifici medievali e di eterogenei corpi di fabbrica costruiti in epoche successive in un palazzo-fortezza in stile manierista. A lui si deve la realizzazione del grande cortile del piano terra, coperto da una volta a padiglione e su cui si aprono due cortili porticati, e l'imponente scalone che conduce al piano superiore dove si trovavano gli ambienti di rappresentanza, il salone del Maggior Consiglio e quello del Minor Consiglio e gli appartamenti del doge. Ingrandì inoltre la cortina che chiudeva piazza Matteotti e presidiava l'accesso al palazzo, innalzandola fino a tre piani di altezza e dotandola sul lato interno di un loggiato che doveva avere la duplice funzione di svago per i soldati della guarnigione e di tribuna per gli spettatori che da lì potevano assistere alle cerimonie e alle manifestazioni che avevano luogo nel cortile del palazzo.

    L'incendio del 1777

    Lo stesso argomento in dettaglio: Incendio e ricostruzione del Palazzo Ducale di Genova.
    Nuovi importanti lavori di trasformazione ebbero luogo nel 1778, dopo che il 3 novembre dell'anno precedente un violento incendio aveva distrutto gran parte del corpo centrale dell'edificio, del quale si erano salvati solo l'atrio al piano terra e lo scalone che conduce al piano nobile.
    Per la ricostruzione fu rapidamente bandito un concorso, al quale furono invitati a partecipare Giacomo Maria Gaggini, Gregorio Petondi ed Emanuele Andrea Tagliafichi, tra i più noti architetti attivi a Genova in quegli anni. Il concorso fu però vinto dall'architetto ticinese Simone Cantoni, convinto a partecipare dal fratello Gaetano, che ideò una facciata marmorea che rappresenta uno dei primi esempi di stile neoclassico a Genova. I lavori di ricostruzione ebbero luogo tra il 1778 e il 1783 sotto la supervisione di Gaetano Cantoni e oltre alla facciata riguardarono il rifacimento in stile neoclassico dei saloni del Maggior e del Minor Consiglio, le cui coperture in legno erano state danneggiate dall'incendio. Le nuove coperture furono realizzate in mattoni, al fine di metterle al riparo da eventuali nuovi incendi.

    L'Ottocento e il Novecento

    Ducale_deferrari_bn



    Il 1815, con l'annessione di Genova e della Liguria al Regno di Sardegna, segnò la fine della Repubblica di Genova e il palazzo perse la sua funzione di sede del governo e i suoi locali furono utilizzati come aule giudiziarie, uffici e archivi come nuova sede della magistratura, ruolo che continuò a mantenere fino al 1975.
    Negli anni quaranta dello stesso secolo, nel corso dei lavori di rifacimento di via San Lorenzo, fu demolita la cortina che chiudeva la piazza d'armi del palazzo e la facciata di Simone Cantoni fu resa visibile alla città. Alcuni anni dopo, nel 1861, l'ingegnere del genio civile Ignazio Gardella lavorò alla ristrutturazione delle ali laterali che circondavano piazza Matteotti, ampliando e rettificando l'ala a ovest e ricostruendo le facciate dei due edifici.
    Una nuova campagna di restauri ebbe luogo nei primi decenni del XX secolo a opera di Orlando Grosso. I suoi interventi più rilevanti riguardarono i prospetti su via Tommaso Reggio, dove furono riportati alla luce, seguendo la politica neomedievalista in vigore all'epoca, la loggia degli abati e altri resti degli edifici medievali che erano stati coperti da una lineare facciata manierista dal Vannone, e la facciata su piazza De Ferrari, che venne completamente ristrutturata e ridipinta.
    Nel 1942 il palazzo venne parzialmente danneggiato, in particolare tra il corpo centrale e l'ala a ovest, durante uno dei bombardamenti della città effettuato dagli Alleati durante la seconda guerra mondiale.

    1200px_Ala_est



    Dal restauro del 1992 all'epoca contemporanea

    Il palazzo è stato oggetto di un completo intervento di restauro, conclusosi nel 1992 in occasione delle "Colombiadi", a cura dell'architetto genovese Giovanni Spalla. Tale restauro ha cercato di valorizzare le architetture cinquecentesche del Vannone, come l'atrio voltato, e allo stesso tempo di conservare gli interventi preesistenti che facessero parte della storia dell'edificio, come il prospetto su piazza De Ferrari e i reperti medievali riportati alla luce da Orlando Grosso modificando la struttura vannoniana.
    In seguito al restauro, il palazzo è stato aperto al pubblico e adibito a museo e palazzo della cultura. A partire dall'8 febbraio 2008 il palazzo è gestito dalla "Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura". Oltre ad alcune attività commerciali ospita periodicamente manifestazioni, conferenze e importanti mostre d'arte.
    Nel 2001 nel Palazzo Ducale si sono tenute le riunioni del vertice del G8 di Genova.

    Descrizione
    L'esterno
    Nato dall'aggregazione di una serie di edifici medievali e ingrandito nel corso dei secoli con la costruzione di nuovi corpi di fabbrica, il palazzo presenta una pianta irregolare che copre un'estensione complessiva di circa trentacinquemila metri quadrati e uno stile eterogeneo tra le diverse facciate. È situato al limitare del centro storico sulla sommità della collina di San Domenico, a pochi passi dalla cattedrale di San Lorenzo e dal palazzo della curia arcivescovile, ed è possibile accedervi attraverso l'ingresso principale su piazza Matteotti, su cui si apre la facciata neoclassica di Simone Cantoni, o attraverso gli ingressi su piazza De Ferrari a est.

    1200px_Pontini



    I palazzi medievali

    I corpi più antichi del palazzo sono quelli del lato occidentale che si affacciano su via Tommaso Reggio e su salita dell'Arcivescovado e che costituivano il palazzo degli abati e il palazzo di Alberto Fieschi, con annessa la torre Grimaldina. Degli edifici medievali sono visibili, sul prospetto verso via Tommaso Reggio, le arcate a sesto acuto della loggia del palazzo degli abati e di Palazzo Fieschi.Tali arcate si trovano a circa due metri di altezza rispetto al piano stradale, a causa dell'abbassamento del suolo realizzato nel XIX secolo per consentire il raccordo con via San Lorenzo, e furono ricostruite da Orlando Grosso durante l'intervento del restauro da egli eseguito nel 1935. In precedenza il prospetto su via Tommaso Reggio presentava invece una facciata manierista realizzata dal Vannone nel XVI secolo, parzialmente demolita da Orlando Grosso per recuperare le sottostanti architetture medievali secondo i canoni restaurativi dell'epoca. I lavori di Grosso hanno anche comportato importanti lavori di consolidamento delle stanze interne, necessari in seguito all'indebolimento della facciata, e l'apertura di quadrifore in parte cieche in quanto non combacianti con le strutture interne.
    In corrispondenza dell'intersezione tra via Tommaso Reggio e la salita dell'Arcivescovado è possibile notare due piccoli ponti sospesi, chiamati "pontini", che avevano la funzione di collegare gli appartamenti del doge del Palazzo Ducale con il palazzetto criminale e con la cattedrale, in modo che il doge e gli altri funzionari del palazzo potessero spostarsi senza bisogno di scendere in strada.

    Le facciate manieriste

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    I prospetti su salita dell'Arcivescovado e su salita del Fondaco, rispettivamente a ovest e a nord del palazzo, conservano in gran parte le caratteristiche manieriste dei lavori eseguiti alla fine del XVI secolo dal Vannone. Essi presentano un'alta facciata liscia, priva di decorazioni e ricoperta da un intonaco chiaro, sulla quale si apre una serie di finestre, quasi tutte di forma rettangolare, osservando le quali è possibile ritrovare facilmente la posizione delle stanze interne. A metà del prospetto su salita del Fondaco si trovano tre ampie finestre ad arco, che individuano il pianerottolo in cima alla prima rampa delle scale che conducono al piano nobile. Ai lati di queste e a un'altezza maggiore altri finestroni ad arco si trovano in corrispondenza dei pianerottoli tra le seconde e le terze rampe dello scalone.

    La facciata su piazza De Ferrari

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    Il prospetto che si affaccia su piazza De Ferrari subì importanti modifiche durante i lavori di restauro eseguiti da Orlando Grosso nei primi decenni del XX secolo. Prima dei lavori di Grosso essa doveva presentarsi come una facciata liscia intonacata, sulla quale erano visibili tracce di affreschi seicenteschi. Grosso rielaborò la facciata in stile classicista, regolarizzando le aperture e inserendole all'interno di uno schema di colonne e altri elementi architettonici dipinti. Furono inoltre aperte tre porte per collegare la piazza con il porticato interno del palazzo.
    La facciata, dipinta nel 1938, risultava in gran parte dilavata al momento del restauro del 1992. Durante tale restauro è stata ripristinata la decorazione di Grosso, spostando però verso l'alto le tre porte in modo da renderle alla stessa quota del cortile interno sul quale si affacciano. La facciata è organizzata su due livelli, scanditi da una decorazione pittorica. Al piano terra si trovano, oltre alle tre aperture sopracitate, sopraelevate rispetto alla piazza e raggiungibili tramite una breve scalinata, una serie di finestroni, sormontati ognuno da una finestrella. Il livello superiore riprende lo schema del piano terra, con una nuova serie di finestroni e di finestrelle.

    La facciata su piazza Matteotti

    Il prospetto sud-ovest del corpo centrale, che si apre su piazza Matteotti, presenta l'imponente facciata neoclassica ideata da Simone Cantoni in seguito all'incendio del 1777. Benché questo prospetto abbia rappresentato per secoli l'accesso principale al palazzo fino al 1834, esso era nascosto alla vista dalla cortina che chiudeva la piazza e iniziò ad affacciarsi verso la città solo in seguito al suo abbattimento.
    Un visitatore del 1818 descrive in questo modo l'impressione che si ha della facciata dopo aver oltrepassato la cortina ed essere entrati nella piazza d'armi interna:

    « Entrando nel cortile ammirasene la bella interna prospettiva formata da due ordini dorico e ionico, con otto colonne in istucco raddoppiate sopra piedistalli di marmo bianco, e una galleria con balaustri di marmo pur bianco a ciascuno. Otto statue parimenti di stucco veggonsi collocate al di sopra di nicchie e, alla corona dell'edifizio, una quantità di trofei in altrettanti gruppo corrispondenti […]. La piazza anteriore, ossia il cortile, è lungo e largo dugento e più palmi. La facciata principale con la porta unica d'ingresso è al mezzogiorno o piuttosto a libeccio rivolta […]. Dal cortile per una maestosa scala a piè della quale sono due piedistalli di marmo ov'erano le statue colossali di Andrea Doria e di Gio Andrea suo nipote – la prima del Montorsoli fiorentino e l'altra di Taddeo Carlone, nel 1797 dal furor di popolo abbattute – per vasta e ferrata porta, nel suo grand'arco e sottosopra tutta di marmi bianca incrostata, entrasi nell'atrio […] »
    (Anonimo visitatore del 1818
    La facciata cantoniana è organizzata in altezza su tre livelli e presenta una rigida simmetria rispetto all'asse verticale che attraversa il portone d'accesso, accentuata dalla bicromia degli elementi in marmo e di quelli in stucco lucido.
    Al livello inferiore sopra uno zoccolo di pietra rosa di Verezzi si alzano otto coppie di colonne sporgenti rispetto alla parete in finto bugnato realizzato in stucco lucido. Tra le colonne si aprono sei grandi finestre sormontate da altrettante finestrelle, che forniscono luce all'atrio interno, e al centro un imponente portone arcuato dotato di due ante ferrate chiodate. I caratteristici battiporta a forma di tritone furono rubati nel 1980 e sono stati sostituiti da copie.
    Conduce verso l'ingresso una rampa d'accesso composta da una gradinata centrale in marmo, posta in asse con il portone, e da due rampe laterali in pietra e mattoni, chiuse sul lato esterno da una balaustra, che danno l'idea di racchiudere la gradinata al centro. Ai lati della scala marmorea si trovano due grandi basamenti in marmo che un tempo ospitavano due monumentali statue di Andrea Doria e di suo nipote Giovanni Andrea Doria. Le statue, realizzate rispettivamente da Giovanni Montorsoli nel 1540 e da Taddeo Carlone nel 1601, furono abbattute durante i moti del 1797 e dopo un restauro nel 2010 sono state ricollocate in cima alla prima rampa dello scalone che dall'atrio conduce al piano nobile. Sul basamento a ovest è stata collocata una lapide per ricordare lo studente greco Kōstas Geōrgakīs che si uccise davanti al palazzo nel 1970 per protestare contro l'allora situazione politica greca.
    Il secondo livello orizzontale della facciata, corrispondente al piano nobile, è separato dal primo livello da un fregio e una cornice in marmo sormontati da una balaustra sempre in marmo e riprende gli elementi del livello inferiore, con le otto coppie di colonne sporgenti e le pareti in finto bugnato, il cui colore e profondità sono meno accentuati che nel piano inferiore per un migliore effetto prospettico. Nel progetto di Cantoni la serie di colonne doveva avere la duplice funzione di decorazione della facciata e di contrafforti per le strutture interne. Tra le colonne si aprono sette ampie finestre, le tre centrali sormontate da una finestrella cieca.
    Il terzo livello, nuovamente separato dal precedente da fregio, cornice e balaustra in marmo, presenta in corrispondenza delle colonne inferiori una serie di otto lesene dotate di nicchie che ospitano altrettante statue e sormontate da gruppi scultorei al centro dei quali, in asse con il portone di ingresso, spicca lo stemma di Genova.

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    Le ali laterali

    Le due ali che racchiudono a est e a ovest piazza Matteotti furono ristrutturate nel 1861 dall'ingegnere Ignazio Gardella, in seguito alla demolizione della cortina che chiudeva il lato meridionale del palazzo. I prospetti di testa delle due ali furono ricostruiti a imitazione della facciata del Cantoni, con un ampio zoccolo al di sopra dei quali si innalzano due ordini di colonne sporgenti, tra le quali spiccano le finestre e la parete in finto bugnato, mentre i prospetti laterali della ali verso piazza Matteotti sono semplicemente intonacati.

    La torre Grimaldina

    1200px_Palazzo_Ducale___Torre_Grimaldina



    La torre Grimaldina, nel Trecento chiamata "torre del popolo" si innalza al di sopra della loggia degli abati, sul prospetto che affaccia su via Tommaso Reggio. La sua datazione precisa è incerta: secondo Orlando Grosso, che la ristrutturò agli inizi del XX secolo riportandola al suo probabile aspetto Trecentesco, la sua costruzione sarebbe compresa tra il 1298 e poco oltre il 1307; altri storici, come il Poggi, ipotizzano che si trattasse di una delle torri di difesa della cinta muraria del X secolo. Probabilmente la torre fu innalzata prima del 1291 e faceva già parte del palazzo Fieschi quando questo venne acquisito come sede dei capitani del Popolo nel 1294. Il nome Grimaldina potrebbe derivare dal nome di una delle celle che si trovavano al suo interno.
    La torre è composta da sette piani, i quattro inferiori compresi all'interno di palazzo Fieschi mentre i tre superiori si innalzano al di sopra del palazzo. Il primo piano presenta il bugnato che ricopre tutto il livello inferiore del palazzo Fieschi e una recente finestra rettangolare. Il secondo piano, analogamente al resto del palazzo, mostra una decorazione a strisce bianche e nere e il medesimo motivo è ripreso al piano superiore. A questi due livelli si apre, sul prospetto su via Tommaso Reggio, una quadrifora, mentre il quarto piano, in mattoni a vista come i successivi, presenta una trifora. A partire dalla metà del quinto piano, sul quale si apre una monofora, la torre risulta libera dalla struttura del palazzo. Il sesto piano, mostra una grande monofora sul prospetto di via Tommaso Reggio e sugli altri tre lati una bifora. Esso è coronato da tre serie di archetti pensili risalenti al 1539, che separano la costruzione medievale dall'ultimo piano, innalzato agli inizi del XVII secolo. Fin dal Medioevo l'ultimo piano della torre ospitava una cella campanaria e diverse campane si susseguirono fino al 1941, quando durante la seconda guerra mondiale quella presente venne fusa per realizzare cannoni. Nel 1980 una nuova campana è stata realizzata e installata in cima alla torre a cura dell'Associazione A Compagna, come ricorda una lapide posta alla base della torre.

    675px_Torre_grimaldina





    le foto sono inserite a solo scopo ludico/culturale, NON si intende violare alcun diritto d'autore

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