"Caffè Zibaldone"

..19 novembre 1999

come diventai papà

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    Muro o non muro...TRE PASSI AVANTI!

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    Era seduto al tavolino di un bar, sotto i portici, proprio di fronte al porto mercantile.
    Le navi, sopratutto traghetti, entravano e uscivano con ritmo frequente e, la sua, sullo sfondo a sud-est, era ancora avvolta nel sonno della maggior parte dell’equipaggio, ufficiali compresi. Erano a Cagliari, dove, ultimamente, facevano scalo molto spesso.
    Stava aspettando un suo collega, con il quale andare al mercatino domenicale dei Bastioni, a cercare tra le cose vecchie; libri, giochi ormai passati di moda e, se capitava l’occasione qualche scatola di montaggio di vecchi kit in plastica…Airfix, Polistil, Esci, Matchbox, Heller.
    Si era alzato presto, aveva corso per circa 90 minuti e, dopo una doccia, era in quel bar a gustarsi la colazione e a sfogliare una rivista, di storia, appena comprata.
    Gli altri si sarebbero alzati più tardi, quelli della “Radio” e, avrebbero mangiato dalla “Gobbetta”, dove ormai erano di casa, tutte le specialità sarde e, alla fine, un pò brilli avrebbero completato l’opera con il mirto nero, ghiacciato.
    Roba da tornare a bordo con il passo incerto, la ridarella e le scommesse su chi non centrava la passerella.
    Lui non si era mai inciuccato e quella volta meno che mai…di li a poco sarebbe diventato papà e il ruolo avrebbe richiesto la massima sobrietà. Sempre.
    Mancava da sua moglie e da casa, da più di un mese; mese, trascorso nel Mediterraneo a “giocare” alla guerra con altre unità e Cagliari era l’ultima tappa prima del rientro a casa.
    In verità l’ultimo scalo prima di tornare alla base di La Spezia sarebbe stato Civitavecchia ma da lì, lui, sarebbe salito a Genova in treno, in licenza, per assistere al lieto evento.
    Gli dava fastidio non rientrare con gli altri, sulla nave, e dividere con tutti le solite piacevolezze: i turni di guardia, le mense (pasta in bianco a gogò), gli odori delle latrine di poppa e i miasmi di quelle di prora, i calzini appesi in alloggio, l’odore del “racco” se avessero trovato mare.
    Ma, complici un po’ tutti, si era convinto e lasciato convincere che, per una volta, poteva abbandonare lo stoicismo granitico, grazie al quale si era fatto conoscere e stimare, ma, anche, in alcuni casi, procurarsi delle antipatie a tutti i livelli.
    La domenica passò, e anche lunedì, martedì, e mercoledì, passarono tra guardie, comandate e attività varie; giovedì pronti a salpare, il tempo era soleggiato ma, qualcosa nell’aria faceva supporre che il mare sarebbe stato alquanto agitato.
    Erano sensazioni, che aveva imparato a capire durante gli anni di servizio e delle quali aveva fatto tesoro. Sì, si sarebbe “ballato” e pure parecchio di li a poco ma, la cosa non lo spaventava, però gli dava fastidio perchè aveva il timore di non arrivare in tempo per prendere il treno nella cittadina laziale.
    Poi a bordo c’era l’Ammiraglio Comandante della Prima Divisione Navale che, detto in confidenza, era proprio un rompiscatole…incompetente e presuntuoso.
    Il Comandante, invece era una pasta d’uomo, pilota di elicotteri, uno tra i primi a fare il corso per gli Harrier imbarcati, romagnolo, appassionato di motori e di umore sempre liliale.
    Si conoscevano da molto tempo, da quasi venti anni, esattamente dal 1982, quando, il nostro aveva appena terminato la specializzazione professionale a Taranto, durata tre mesi e preceduta da un anno di corso base, sempre a Taranto. Era imbarcato sulla stessa Nave dove erano adesso, per il tirocinio navale, lui era un semplice marinaio di prima classe mentre il pilota era Tenente di Vascello.
    Andavano a correre insieme, quando le attività lo permettevano, in Arsenale ma, a volte anche sul ponte di volo durante le navigazioni.
    C‘erano, rispetto e stima, reciproci.
    L’interfono della Plancia aveva gracchiato, chiamando il “Prepararsi per il posto di manovra generale” con la raccomandazioni sulla tenuta e sui punti di raccolta.
    L’ormeggio era come quello delle mercantili, affiancati sul lato sinistro, con la poppa rivolta al mare aperto e, purtroppo, per convenzione, si doveva uscire dal porto con l’ausilio dei rimorchiatori civili che, si trovavano già pronti, a poche iarde dalla nave.
    Quando fu chiamato il posto di manovra effettivo, tutti erano gia ai propri posti; i nocchieri a prora e a poppa alle manovre, gli elicotteristi in hangar e sul ponte, i segnalatori in plancia e controplancia, meccanici, motoristi, elettricisti agli apparati, i radaristi in COC e gli Rt in radio, dove, tutte le frequenze necessarie erano attivate da almeno un’ora…il CapoPosto, un toscanaccio pistoiese, vero lupo di mare, (aveva più “mare” sulle spalle lui che, uno squalo) era molto esigente; molto pretendeva, motivandoti ma, molto, sapeva dare.
    Il botto dello spara-sagole aveva fatto capire che i cavi erano passati sui rimorchiatori e che quindi, di lì a poco, la nave avrebbe cominciato a muoversi.
    Infatti, immediatamente si avvertì la scossa e, puntualmente, l’ultimo imbarcato, diede una bella testata sul vhf in plancia, aprendosi la fronte…infermiere in plancia-infermiere in plancia, urlò il Capo Segnali, su imbeccata del Secondo, dalla rete ordini collettivi. La recluta guadagnò tre punti di sutura e, le prese in giro dei colleghi per tutto il resto della navigazione.
    Il mare aperto era in condizioni “ballerine”, onde alte e un forte vento di maestrale, che, contribuiva ad aumentare il ribollire e a dare alle onde una particolare tonalità “gialla” difficile da spiegare.
    Le sue sensazioni erano dunque esatte, ci sarebbe stato da divertirsi; infatti il mare montava da nord e, dovendo fare rotta per Civitavecchia, lo avrebbero avuto al traverso sinistro, quindi avrebbero rollato molto e ci sarebbe stato da rizzare tutto il materiale, in particolare quello potenzialmente pericoloso.
    Si trovava in radio con gli altri, era appena sceso dalla controplancia e, tra il serio e lo scherzoso, stava avvisando di preparare gallette salate e bidoni per il, quasi sicuro, racco, visto le condizioni del mare quando si avvertì uno strappo anomalo e, dopo pochi secondi una botta molto forte che, fece sbandare la nave più volte: checcazzo è successo ? fu l’espressione usata da tutti all’unisono.
    Seguirono attimi di silenzio, dalla Plancia non si sentiva nulla (la radio era proprio sotto), poi, si udirono distintamente dei passi frenetici, parolacce in diversi dialetti e…la porta della radio si aprì materializzando davanti a loro la faccia del Capo Ete che, grigio in volto, esclamò: a ragà cchebbotta. cià piato in pieno un cazzo de rimorchiatore…ha sfonnato la poppa, poi girandosi verso il nostro: a BBomba il tuo alloggio è invaso dalla nafta, cè stà uno sbrago de almeno du metri.
    Chiesto il permesso al Capo Posto, scese, volando sulle scalette, nel suo alloggio, a poppa, nei ponti inferiori; non ci fu bisogno di aprire la porta, il locale era pieno di uomini del GN e…di nafta, in più c’era una bella “finestra” con vista sul mare.
    Cosa era successo? Uno dei rimorchiatori, sbagliando accostata aveva mandato in tensione il cavo con il quale trainava il Caccia, questo si era spezzato e l’imbarcazione, rinculando, era entrata con la sua poppa sulla fiancata di dritta poppiera, procurando una vistosa falla e squarciando anche una cassa gasolio.
    Radio “prora” aveva gia cominciato le trasmissioni: andiamo in bacino a Cagliari e ci staremo un mese; si rientra in porto, si ripara velocemente, si torna a La Spezia e ci si infila dritti in bacino e, altre, decisamente più fantasiose.
    Nessuna si rivelò fondata, l’Ammiraglio riuscì, negativamente, a stupirli in modo clamoroso.
    La Nave fu ormeggiata alla fonda, in attesa dei tecnici dello Stato Maggiore, chiamati con il satellitare, che, avrebbero riparato la falla con l’aiuto del personale di bordo e, una volta rappezzata alla meglio si sarebbe fatta rotta su Civitavecchia, come da programma.
    Il mare stava diventando sempre peggio, aumentando di stato e, il vento, non era da meno; la situazione non era rosea e la domanda generale era questa:
    …ma quel coglione non ce l’ha una famiglia…?, domanda rivolta all’Ammiraglio e destinata a rimanere lettera morta.
    Prendere mare, e che mare, al traverso, con lo scafo in quelle condizioni non sembrava ai più una decisione da sani di mente, difatti il Comandante, con le dovute cautele, ebbe in Plancia, con l’Ammiraglio, questo colloquio, riportato poi dal Capo Segnali in quadrato Sottufficiali, due ore dopo i fatti:
    COMANDANTE: Ammiraglio, in questa situazione e con l’imprevista falla, farei rotta su Spezia, dove, una volta arrivati, sbarcherei le munizioni ed entrerei in bacino;
    AMMIRAGLIO: con voce priva di accenti: Comandante, i nostri programmi non subiranno mutamenti, la falla verrà riparata da tecnici esperti, non vedo alcun problema.
    COMANDANTE: Ammiraglio, i bollettini avvisano che avremo mare molto mosso per tutta la giornata e la notte, navigare al traverso, in queste condizioni con la responsabilità della nave e del suo equipaggio, lo ritengo un azzardo.
    Ho delle responsabilità di Comando precise, dalle quali non intendo allontanarmi.
    AMMIRAGLIO: Lei è il Comandante della nave, io sono l’Ammiraglio Comandante della sua e di tutte le altre navi di stanza a La Spezia, noi andremo a Civitavecchia.
    Ritengo chiusa la discussione.
    COMANDANTE: Comandi Ammiraglio.
    Nel frattempo, le pompe avevano eliminato il gasolio e l’acqua di mare dall’alloggio e, una squadra mista di acquaioli e naftaioli aveva ripulito il locale che però era stato giudicato non utilizzabile per ovvi motivi di sicurezza.
    Gli OSSALC di bordo si erano immersi e avevano riscontrato una falla di circa tre metri, proprio sulla linea di galleggiamento e il danneggiamento della cassa gasolio.
    Le due brande vicino alla falla furono smontate ed i meccanici con la qualifica di antifalla, si misero subito al lavoro, guidati da un Capo anziano e da un sergente di provata esperienza e affidabilità, ex sommergibilista.
    Gli occupanti del locale furono smistati in alloggi dove il personale occupante si trovava in licenza (tra cui il nostro che, prese la branda del Capo Gamella, situata di fianco al suo camerino) o nelle brande vuote dell’Infermeria.
    Furono chiamate la mense, l’unità rimase in servizio di navigazione ma, con l’orario di porto.
    I tecnici arrivarono, nel primo pomeriggio e, dopo le 17.00, la Nave prese il largo, lasciandosi Cagliari, la Gobbetta e il mirto nero ghiacciato a poppavia.
    Fu chiamato l’assetto di navigazione e la seconda squadra (la sua squadra) montò di guardia sino alle 20.00, quindi avrebbe ripreso il turno alle 4 del mattino.
    Gli piaceva la guardia Diana, era la sua preferita, ancora più della Prima (che comunque ti dava l’opportunità di dormire tutta la notte) che era comunque gradita, invece odiava la seconda (00.00-04.00) che proprio non riusciva a sopportare, nonostante i tanti anni di servizio.
    Decise di non mangiare alla mensa generale, si fece fare un panino in cambusa e andò a farsi una doccia.
    La nave ballava e rollava parecchio, il mare era aumentato come dalle previsioni meteo e in giro per la nave si vedeva pochissima gente.
    Era stata fatta, più volte,la seguente chiamata:...per avverse condimeteo è vietato circolare in coperta...onde evitare spiacevoli conseguenze.
    Chiamata che, con le dovute cautele, dai sottoposti, e tolleranze, dai superiori, veniva spesso disattesa da chi aveva voglia di respirare aria fresca dopo un turno in macchina o una guardia in radio, oltretutto stare all’aria aperta ti faceva patire meno il mare.
    Finita la doccia, si mangiò il panino con il tonno (ottimo per lo stomaco con il mare mosso) e non bevve nulla, meno liquidi avevi in corpo, minore era il rischio di “raccare”.
    Alle dieci serali si coricò, puntò la sveglia per le 03.40 e cadde subito addormentato.
    Intorno all’una si svegliò non riuscendo più a riprendere sonno; la nave rollava in modo incredibile e doveva tenersi alle sponde metalliche della branda per non volare per terra.
    Si sentivano colpi e tonfi preoccupanti, ogni tanto sentiva correre gente nei ponti superiori e rotolare estintori e altri attrezzi strappati dai loro alloggiamenti, dalla forza del mare.
    Era decisamente sveglio e lucidissimo ed erano ormai le tre del mattino; a fatica scese dalla branda, si diresse al lavabo lavandosi faccia, collo e ascelle, si infilò la divisa e le scarpe, cadendo almeno due volte, spense la luce e salì sul corridoio di sinistra.
    Era un disastro, per terra c’era di tutto e doveva tenersi a qualcosa per proseguire, impiegò quasi cinque minuti per arrivare in quadrato sottufficiali, dove sembrava che fosse esploso un missile, sedie che vagavano da dritta a sinistra, due oliere, non rizzate dai ragazzi della mensa rotolavano, spandendo il loro liquido sul pavimento con conseguenze facili da immaginare; il ragazzo di guardia aveva la faccia grigia, la faccia di chi aveva appena finito di vomitare per la centesima volta ma ebbe la forza di chiedergli se voleva qualcosa…avrebbe preso un caffé ma, sapeva benissimo che sarebbe stato un suicidio e che il suo stomaco (per ora perfetto) non avrebbe retto a quel “trauma”.
    Entrò invece nel riposto, prese diversi pacchetti di gallette salate, costrinse il ragazzo a mangiarne qualcuna, e, insieme, pulirono l’olio dal pavimento del quadrato.
    Salì in radio dove i ragazzi si stupirono di vederlo arrivare con quaranta minuti di anticipo ma lui rispose che, non riuscendo a dormire, salire sù gli era sembrata l’unica cosa sana da fare.
    La radio, posta in alto, non era certo il luogo ideale per chi soffrisse il mare, infatti più si saliva, più la nave ballava.
    I circuiti aperti (due in tutto) erano muti, il messaggio della posizione in mare era appena stato trasmesso a Roma e il prossimo era previsto fra due ore; si fece passare
    le consegne e salì in Plancia per avere un visione reale dello stato del mare.
    Salutò tutti entrando, ma ottenne solo grugniti in risposta e non si alterò, lui si sarebbe comportato, al loro posto, allo stesso modo.
    Prese un giubbotto di navigazione e uscì sull’aletta di sinistra; il mare era spaventoso e affascinante nello stesso tempo, il vento era fortissimo e, il cielo, incredibile, era completamente sgombro da nubi e pieno di stelle.
    Apprezzò, come tante altre volte, lo splendore e la meraviglia del Creato.
    In certi momenti la prua, affondava completamente nell’acqua, facendo quasi sparire tra i flutti, il cannone da 127 ma, ogni volta risaliva spostando un massa enorme di liquido salato.
    Mentre pensava che sarebbe rimasto lì per ore, gli venne in mente un passo della Preghiera del Marinaio che recitava così:…fa che le tempeste ed i flutti servano a lei…
    Rientrò in plancia, restituì il giubbotto, salutò e ridiscese in Radio.
    Il più giovane del turno era andato a fare le sveglie alla squadra montante e , l’interfono in quel momento chiamò il prepararsi a rilevare.

    Alle 3.55 arrivarono quelli della sua squadra, presero le consegne e si sistemarono come le condizioni del mare permettevano.
    Luciano, il Capo Turno, di Teramo dal carattere strano, alternava periodi molto socievoli ad altrettanti nei quali salutava a stento; in quella occasione, complice il mare, era euforico, sfornando una battuta dopo l’altra;
    Fabio, ligure come il nostro, era ferocemente anticlericale, preparatissimo nel suo lavoro, appassionato come pochi di caccia e ciclismo che praticava a livello agonistico quando non si navigava, di umore variabile;
    Poi c’era Vittorio, di Brindisi, sempre allegro, pronto alla battuta, amante della birra e molto “alla mano”, decisamente di ottima compagnia. Da lì a qualche anno, sarebbe diventato seconda linea nel Brindisi Rugby.
    Erano decisamente diversi tra loro ma, amalgamati in modo perfetto.
    Il mare non mollava, secondo le ultime stime della Plancia si era arrivati a stato 9!
    Dopo aver trasmesso il messaggio della loro posizione in mare allo Stato Maggiore, chiaccherarono fino alle 6.00 quando, ad un certo punto, sembrò loro di “ballare” di meno.
    Fabio salì in contro-plancia, nonostante fosse ancora buio e tornato in Radio, disse di aver intravisto, a proravia, delle luci, quindi la costa laziale non era lontanissima, motivo per cui il rollio era, in parte, diminuito.
    Come era sua abitudine, il nostro scese in quadrato un po’ prima delle sette, prese due gamelle dalla mensa equipaggio, le riempì di marmellata, pane, salumi, biscotti, tazze e un bricco di te, gamelle che portò in radio.
    Avevano fame, infatti divorarono tutto, il mare era, lievemente, più calmo e Vittorio si offrì di pagare un giro di caffè al turno intero, Plancia compresa.
    Dopo aver smontato ed effettuato l’assemblea dei reparti in mensa equipaggio, salì in coperta e vide che erano praticamente, davanti a Civitavecchia, guardò l’orologio e capì che non avrebbe preso il treno previsto.
    Intanto il mare non accennava a placarsi, difatti, di lì a poco, furono informati che dal porto laziale, per motivi di sicurezza, non sarebbe entrato e uscito nessuno fino a quando le condizioni meteo non fossero, notevolmente, migliorate.
    Tramite interfono, seppero che stavano facendo rotta verso Livorno e, nel frattempo, tutti si recarono al posto di rassetto e pulizia; dirigendo sulla città labronica, di buono c’era che, il mare, lo avrebbero preso di prora, che sarebbe finito il rollio ma sarebbe iniziato il beccheggio (movimento prora-poppa simile alle “montagne russe” del Luna Park). La domanda ricorrente che circolava tra l’equipaggio, era questa: che senso ha andare a Livorno? nessuno seppe rispondere.
    Alle 9.45, l’interfono chiama: telefonica in Plancia per Capo Bomba, si avvia di sopra con il cuore in gola, tra pacche sulle spalle dei colleghi, strizzate d’occhio dei superiori e una paura folle che fosse successo qualcosa a moglie e figlio.
    Nonostante questo stato d’animo, arrivò davanti alla porta della Plancia, bussò, attese l’avanti e si presentò al Comandante in II^, che, porgendogli la cornetta del satellitare, sorridendo gli disse: è nato il nuovo Vate…con le mani sudate prese l’apparecchio e disse pronto quasi in falsetto suscitando l’ilarità generale, gli rispose sua suocera…Piero, è nato è un maschio (non aveva voluto sapere il sesso) lui e la Barbara stanno bene, poi chiese: quando arrivi? E lui: non lo so…non puoi parlare? Esatto, disse altre due banalità e riagganciò, rimanendo dritto e teso come un bastone.
    L’Ammiraglio, presente in Plancia lo guardò e disse: non crederà mica di essere il primo a cui è nato un figlio? Fu come se gli avessero tirato addosso un secchio di acqua gelata, si riprese e rispose: no, però sono contento e fiero. Il secondo, lo prese sottobraccio e,accompagnandolo alla porta, gli sussurrò: lascia stare, sarebbe capace di consegnarti appena arrivati in porto. Auguri e forza Genoa! (il secondo era genovese).
    Era padre! A 38 anni era diventato papà, era una corda di violino di contentezza, aveva bisogno di scaricare e, non potendo andare a correre sul ponte di volo, scese in alloggio, prese i manubri, il bilanciere e “pompò” per quasi un’ora e mezza.
    Dopo la doccia mangiò alla mensa guardie, praticamente deserta (il mare era di nuovo un Calvario) scambiò due chiacchiere con alcuni colleghi che gli fecero gli auguri, prese il caffè, scese in alloggio, si sdraiò in branda, provando a leggere.
    Resistette cinque minuti nei quali lesse, si e no, due righe, si rivestì e salì di sopra.
    Aveva una fame boia e, con suo stesso stupore, mangiò (un panino) anche alla mensa generale; nel frattempo, arrivati di fronte a Livorno, ottennero la stessa risposta dall’ufficio porto locale che avevano ricevuto a Civitavecchia. NO!
    A quel punto, tutti erano convinti, così voleva la logica, che si sarebbe andati a La Spezia (ormai ad un tiro di schioppo) ma, secondo un antico adagio della MMI che recita: “dove finisce la logica, inizia la Marina”, tra lo stupore e l’incazzatura generale, vennero “edotti” che ci si stava dirigendo verso il porto di…Olbia!
    Le frasi che uscirono dalle loro bocche, avrebbero fatto arrossire persino una prostituta dell’angiporto con “esperienza” di servizio trentennale!
    Prora 270, ovest, mare di nuovo al traverso e di nuovo rollio. Il mare non accennava a diminuire e in quella loro peregrinazione, sembravano la nave dei dannati, avevano anche perduto una antenna, due parabordi, e una piccola lancia di legno. Alle 16.00 riprese servizio in radio, dove sarebbe rimasto sino alle 18.00. Qui apprese, con gli altri che, anche Olbia negava loro l’ingresso in porto. Non commentarono, presero a ridere e cominciarono a dire una quantità enorme di scemenze: andiamo a Taranto, no a Tolone, in pieno Golfo del Leone dove ci saremmo spezzati in due tronconi e, mentre ci si inabissava, si sarebbero cantate a squarciagola canzoni sconce, prima di raccomandare l’anima al Signore. Il loro turno terminò, quando alle 19.00 appresero che la Nave stava rientrando in porto a Cagliari, dove sarebbero arrivati in serata.
    Più di 24 ore in mare, con un mare spaventoso, per tornare da dove erano partiti.
    Dopo che furono terminate le operazioni di ormeggio e che vennero stabiliti i servizi di guardia in porto, prese il cellulare (acquistato un mese prima, l’ultimo a cedere a bordo) e con paura mista a gioia chiamò Barbara che, rispose al secondo squillo.
    Parlarono della loro felicità e delle loro paure, di come affrontare questa nuova prova e di quando si sarebbero potuti rivedere.
    Si salutarono con la promessa di risentirsi al più presto con notizie fresche.
    Lui, però, non le aveva detto tutto, voleva farle una sorpresa e quindi aveva taciuto sul fatto che, l’indomani avrebbe preso l’aereo da Cagliari, destinazione Pisa dove ad aspettarlo ci sarebbe stato suo fratello che, da lì lo avrebbe portato a Genova, in auto.
    La mattina seguente, il 20 novembre con la sacca in spalla, ritirava la licenza al corpo di guardia e, insieme a Fabio e ad un altro collega si accingeva a scendere dalla passerella quando si sentì chiamare: Capo Bomba se ne va senza salutarmi? Giratosi vide il Comandante che lo abbracciò, si complimentò per il lieto evento pregandolo di estendere le felicitazioni alla signora e, indicando la banchina disse: quella è per voi, sarete all’aeroporto in breve…
    Un Signore, quell’uomo era un Signore, aveva ceduto loro, la propria auto di servizio messagli a disposizione dalla locale Capitaneria di Porto. Fece per ringraziare ma il Comandante si portò l’indice alle labbra e, con l’altra mano lo invitò a scendere la passerella.
    Partirono da Cagliari con tempo nuvoloso e, una volta sistematosi vicino al finestrino, si addormentò. Lo svegliarono mezz’ora prima dell’arrivo e il suo sguardo indugiò dall’oblò aereo…il cielo era terso, di un azzurro bellissimo e, il mare era…liscio come una tavola, senza la minima increspatura.
    Dopo un viaggio in auto dove raccontò tutto, giunsero finalmente all’Ospedale Gaslini di Genova Sturla e, una volta entrato, potè, finalmente, abbracciare, moglie e figlio.


    saluti
    Piero e famiglia
     
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