"Caffè Zibaldone"

1914 - 2014 la Prima Guerra Mondiale compie 100 anni

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    Se non sbaglio fu l'ultima guerra dove furono utilizzati i cavalli
     
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    CITAZIONE (lo sciacallo di sestri ponente @ 23/1/2018, 23:19) 
    Se non sbaglio fu l'ultima guerra dove furono utilizzati i cavalli

    ... no, furonoi utilizzati anche nelle seconda guerra mondiale; ci fu addirittura un assalto di un reparto dii cavalleria italiana in URSS
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    CITAZIONE (Nihil Obest @ 24/1/2018, 06:05) 
    CITAZIONE (lo sciacallo di sestri ponente @ 23/1/2018, 23:19) 
    Se non sbaglio fu l'ultima guerra dove furono utilizzati i cavalli

    ... no, furonoi utilizzati anche nelle seconda guerra mondiale; ci fu addirittura un assalto di un reparto dii cavalleria italiana in URSS
    un saluto
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    Avevo letto così su un libro. Beh comunque saranno certamente stati usati di meno rispetto alla prima
     
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    articolo di storia che narra la vera storia dell'affondamento del Lusitania (usata poi come pretesto dagli USA per entrare in guerra)
    http://pocobello.blogspot.it/2017/05/gli-i...trascinato.html
    un saluto
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    Rapporti tra Persia e Secondo Reich intorno alla Prima Guerra Mondiale: appunti e annotazioni



    Alla periferia della Prima Guerra Mondiale

    La vulgata della pop-history sulla Prima Guerra Mondiale dipinge un quadro fatto di trincee, assalti, baionette, Marna e Carso. L’assoluto eurocentrismo dell’autorappresentazione inglese, francese ed italiana nei confronti della guerra (i vincitori “puri” europei, della guerra) ha, per anni, messo in secondo piano le periferie del conflitto, le quali, non meno della Maxim o dei gas venefici dell’esercito tedesco hanno contribuito a rendere la Prima Guerra Mondiale un evento periodizzante. Una ricerca scientifica accurata del 1914-1918 nei campi di battaglia extraeuropei ci aiuta non solo a comprendere in profondità la portata del conflitto esploso il 28 Luglio, ma ci spinge a retrodatare i primi istinti dell’influenza occidentale sulle questioni nazionali e geopolitche mediorientali. Esperienze politico-militari come lo Stato dei Dervisci (1896-1926),il sultanato dell’Hijaz, il Sudan Mahdista (1899-1916), sono incontrovertibili esempi che il conflitto europeo polarizzò una embrionale questione coloniale contro i due maggiori imperialismi regionali, quello anglosassone e quello, decadente, ottomano. La Prima Guerra Mondiale, per questi popoli in lotta, naturalmente richiamati nella dicotomia Imperi Centrali/Entente Cordiale, assurge a momento di organizzazione e di mobilitazione popolare abbastanza nuovo, qualcosa di molto simile ad un mito patriottico, ad un primo monumento alla narrazione nazionale. Ciò che diventerà evidente con la Seconda Guerra Mondiale (quando la partecipazione in massa di fanteria prelevata dalla periferia coloniale anglo-francese accellererà molto la nascita di una coscienza nazionale anticoloniale), si può scovare in nuce già nella Prima Guerra Mondiale.

    Il capitolo più conosciuto di questa storia nella Storia è, probabilmente, la partecipazione della popolazione araba alla lotta contro l’Impero Ottomano sotto l’egida militare del Regno Unito. Indubbiamente è il sentiero di resistenza politica più fecondo, dato che finisce per costituire la base contrattuale con qui nasce il Regno hascemita dell’Hejiaz, che grande fama avrà nei successivi decenni. Non è tuttavia passibile di oblio la grande speranza riposta dalla Germania imperiale ed Impero Ottomano nella sollevazione dei musulmani contro gli stati dell’Intesa, ed in particolare nella ribellione persiana al con-dominio anglo-russo. Questo breve volo d’uccello si propone di indagare velocemente questo “sentiero interrotto” della strategia bellica.

    La Persia alle soglie della guerra: tra costituzionalismo e status coloniale

    L’interesse tedesco nei confronti della Persia nasce dalla sua particolarissima condizione alle soglie della Prima Guerra Mondiale. Essa infatti subisce in entrambi i sensi l’influenza occidentale, che, seppur relativamente tardi, ha impregnato la vita politica persiana. La dinastia Qajar, al potere in Persian fin dal 1781, si trova a governare un paese che ha alle spalle una rivolta costituzionale (1906), ma che vive sotto il tallone ingentilito dell’Impero Russo e del Regno Unito, entrambi preoccupati di inglobare la Persia sotto il loro emisfero di influenza per toglierla all’altro.

    La firma della convenzione Anglo-Russa (1907), contro la quale il neocostituito Parlamento poco fu in grado di fare, sancì la ricomposizione delle diatribe tra Londra e San Pietroburgo circa il destino della Persia, fino ad allora indipendente in virtù di una sagace politica di zizzania messa in campo dal notabiliato nazionale in favore talvolta degli inglesi, talaltra dei russi. La convenzione non sostituiva alcun potere nella Persia del tempo,ma formalizzava la divisione del paese in due sfere di influenza fiscale ed economica, geograficamente ben delimitate [v. Fig 1]

    Circa i contenuti dell’accordo, così sintetizza W.Olson: “L’Inghilterra, sempre più preoccupata per il crescente potere della Germania, aveva deciso di comporre le antiche divergenze con la Russia in Asia, Iran compreso. La convenzione divideva l’Iran in tre zone. Assegnava il Nord, inclusa Ishafan, alla Russia; il Sud-Ovest, soprattutto il Kerman, il Sistan e il Belucistan alla Gran Bretagna; e delimitava il resto come “zona neutrale”. Le due potenze si accordarono per ricorrere a concessioni solo all’interno delle proprie zone, mantenere funzionari di dogana belgi e usare le rendite dei dazi doganali per ripagare i loro prestiti precedenti. I costituzionalisti si sentirono non solo traditi ma anche isolati nei loro rapporti con lo Scià”[1]

    Politicamente messo all’angolo e costretto ad un regime di protettorato forzoso, il parlamento neoeletto reagì rilanciando una fervida politica liberale, la quale tuttavia trovò soltanto un tiepido sostegno da parte popolare, e diede invece allo Shah, desideroso di riportarsi alla guida unica del paese, un buon motivo per reprimere il popolo del parlamento. Nel 1908 lo Shah diede inizio ad un offensiva militare contro il parlamento e le nuove istituzioni, aiutato in questo dai cosacchi al soldo del colonnello Liakhoff. Tuttavia, una insospettabile mobilitazione popolare, con tanto di volontari esteri, respinse il tentativo reazionario dello Shah e, trasformando la contrapposizione in guerra civile, riuscì ad ottenerne l’abdicazione nel 1910. Venne sostituito col dodicenne Ahmad Shah, il cui tutore era il notabile di idee liberali Azud Al-Mulk.

    Dopo l’uscita di scena del contropotere reale, il Majles e le sue prerogative costituzionali rimasero l’unico potere in campo. Le mani del parlamento restavano tuttavia legate da una situazione economica angosciosa. Lo stato persiano aveva un prestito verso l’estero di 6,2 milioni di sterline, equamente spartite tra Impero Russo e Gran Bretagna[2]. Successivamente lo stato persiano, impegnato nella difficile opera di risanamento dei conti pubblici, si scontrò con i plurisecolari potentati locali, composti soprattutto di locali dignitari reali e di privilegi tribali assortiti: spesso le due cose coincidevano. L’insorgenza, negli anni ’10, di numerosi signori della guerra, di fatto incontrollabili, compromise il lavoro di potenziamento della efficenza di riscossione fiscale,il quale risentiva anche della competizione tra lo stato persiano e gli esattori internazionali russi, belgi e inglesi.

    Da questo quadro della situazione persiana, possiamo ben capire come una società viva e che aveva dimostrato una certa presa politica con la vittoria nella guerra civile, e che riuscì a mantenere almeno fino alla Prima Guerra Mondiale una indipendenza politica almeno formale, conviveva con una situazione di sfruttamento economico, aggravata dalla molteplicità delle potenze in gioco. Il quadro quindi di una società politicamente viva ma costretta economicamente è insolito nel resto del mondo Mediorientale, se si fa parziale eccezione dell’Egitto. I molti contropoteri locali, opposti od in parziale disaccordo con i guardiani coloniali russi ed inglesi, offriranno il retroterra perfetto a tedeschi ed Ottomani per una politica di infiltrazione contro il con-dominio anglo-russo sulla Persia.
    Tuttavia le linee di faglia intorno alla nuova geografia dei poteri in Persia non si palesavano esclusivamente sul terreno dei rapporti con le potenze coloniali estere, ma anche all’interno del Majles, che in particolare nei periodi 1909-1911 e 1914-1915, venne attraversato da una serie di scontri tra fazioni politiche. Il Majles, diviso tra i moderati e i democratici, non riuscì nei primi anni di vita a costruire una alternativa unitaria alle pressioni esterne. In particolare, la grande presenza tra i seggi di latifondisti (27 % nel secondo Majles, 48 % nel terzo) e di religiosi (19 % nel secondo Majles, poco meno nel secondo)[3], congelò la questione sociale e indipendentista, giacchè religiosi e latifondisti, fortemente territorializzati, facevano capo a questo o a quell’altra potenza coloniale, ed erano molto più interessati a rafforzare un’ etica di sottomissione e a conservare lo status quo piuttosto che lanciare la parola d’ordine dell’indipendenza. I disordini seguiti all’assassinio per mano dei Fedayyn moderati di un democratico, e la conseguente scomunica di Taqizadeh, un democratico, da parte dei religiosi, provocarono un’ondata di instabilità politica nello stato. Sia per mettervi fine che per riaffermare la propria fetta di Persia nei confronti dei tentativi centralizzatori dello stato, i russi e gli inglesi occuparono le relative zone di pertinenza delineate nel 1907. Nel 1909 i russi occuparono l’Azerbaijian persiano, e nel 1911 il resto della propria zona di influenza, compresa la capitale, Teheran. Gli inglesi, ugualmente, occuparono le principali vie di collegamento commerciale con l’India nelle province di Bushire, Shiraz e Kerman[4].

    La gendarmeria svedese e i consiglieri prussiani in Persia prima e durante la Prima Guerra Mondiale

    In quanto paese fortemente lottizzato dall’influenza occidentale e mancante di una reale struttura statale, come i vicini nemici ottomani, anche i sovrani persiani della dinastia Qajar tentarono, al fine di modernizzare lo stato, la carta dei plenipotenziari esteri con larghe deleghe soprattutto sul rinnovamento fiscale e militare. A causa della enorme pressione anglorussa a cui la Persia era sottoposta, i sovrani persiani di fine ‘800 ed inizio ‘900 si rivolsero ad una terza potenza, da molti anni interessata ad espandere la propria influenza in Medio Oriente: la Germania.
    La prima missione tedesca in Persia arriva nel 1885. Naser Din-Shah (fig. a lato), allora sovrano della Persia, deputa Moḥsen Khan, mandato in delegazione in Europa allo scopo di richiedere esperti occidentali, a chiedere a Bismarck l’invio di alcuni consiglieri militari. Bismarck rifiuta un coinvolgimento diretto dello stato tedesco (anche per non urtare l’amico ottomano, al quale i tedeschi avevano accordato invece numerosi consiglieri militari), ma concede l’invio in Persia di due militari prussiani in ritiro, Fellmer e Weth, che entrano nello staff militare persiano[5]. Il primo ci rimarrà fino al 1890, mentre il secondo fino al 1911. Sempre per modernizzare lo stato, ed uscire dai circoli inglesi, i persiani si rifaranno ad una nazione non sospettabile, come la Germania, di voler estendere la sua influenza. In tal modo, al fine di creare una forza di polizia stabile e capace di assicurare la stabilità del regno contro le insorgenze dei poteri tribali, la casa reale Qajar, nel 1911, chiama in Iran Hjalmar Hjalmarson, un maggiore dell’esercito svedese, che, con l’aiuto dello statunitense Morgan Shuster, chiamato anni prima come consulente internazionale per la riscossione fiscale, forma il primo corpo di gendarmeria centralizzato e statale persiano[6].

    La penetrazione tedesca in Persia si fa comunque di una certa importanza mano a mano che diventa evidente la centralità dei rifornimenti indiani alla macchina bellica britannica, e la possibilità di aprirsi un varco nell’Asia Centrale contro i russi a partire proprio dalla Persia settentrionale. I tedeschi organizzarono una folta schiera di ambasciatori, di vario livello e di varia estrazione, spediti in Iran col preciso obbiettivo di stimolare la popolazione persiana ad una rivolta contemporanea sia contro i russi, nel Nord, che contro i britannici nel Sud. In particolare i tedeschi e gli ottomani speravano, più che in una improbabile ribellione di popolo, nella possibilità di mobilitare le tribù in rivolta endemica contro il governo centrale di assoldare milizie claniche interne e di impegnarle in operazione di sabotaggio delle forze anglo-russe.
    Il primo tentativo in tal senso fu fatto dal brillante generale Colmar Van der Goltz (1843-1916, fig. a lato), vondergolz che, dopo aver guidato con un certo successo la resistenza delle armate turche in Iraq contro gli inglesi a Kut al-Amara, si impegnò nello stimolare una ribellione persiana. Impegno, questo, dettato peraltro da una precisa convinzione sul futuro del mondo africano ed asiatico, che così esprimeva nel 1915: “Per me la guerra presente è soltanto l’inizio di un lungo processo storico, alla fine del quale vi sarà il tramonto dell’Impero Inglese. Il marchio del XX secolo potrebbe essere la ribellione delle razze di colore contro l’imperialismo coloniale degli europei”[7]. Allo scopo, dopo aver installato il quartier generale tedesco a Kermanshah, il comando tedesco, coadiuvato da un comitato di persiani in esilio a Berlino[8], finanziava per messo di molti agenti tedeschi la ribellione delle tribù.
    Uno di questi, il più famoso, fu senza dubbio Wilhelm Wassmus (1880-1931, fig. a lato), il quale si impegnò a lungo nella sollevazione delle tribù contro il dominio britannico. Di lui scrive Ervand Abrahamian: “Anche i tedeschi erano attivi. Wilhelm Wassmus, il loro “Lawrence d’Arabia”, fomentava sedizioni tra i qashqa’i, i khamseh, i boir ajmadi, i sanjabi, i curdi e soprattutto gli arabi che nel 1915 avevano scavato l’oleodotto principale”[9]. Wassmus non costituì un vero pericolo militare per le forze britanniche, se si eccettua il rapimento di Frederick O’Connor, console inglese a Shiraz, ad opera del comandante tribale Za er Kezr Khan Taghestani[10], alleato informale dello stesso Wassmus. Altri inviati militari tedeschi, che ebbero un ruolo nel sobillare la ribellione contro gli inglesi, ma con un decisivo minor successo, furono Wilhelm Litten, console tedesco a Tabriz dal 1914 e Wipert Von Blucher, console tedesco a Teheran, che riuscì a mobilitare alcune tribù curde della Persia Occidentale. Di maggior peso militare furono gli attacchi alle installazioni petrolifere inglesi, portati avanti con truppe autoctone dal Capitano Fritz Klein dal suo attendente Hans Luhrs, nel Kuzestan nel 1915.

    Tuttavia, a fronte di un grande impegno finanziario, diplomatico ed in parte militare, nessuna ribellione tribale sortì effetti militari apprezzabili ne’ sulla situazione militare inglese e russa in Persia, ne’ tantomeno sull’andamento generale della guerra. Come per le esagerate speranze riposte dal comando tedesco nel richiamo ufficiale del Sultano ottomano alla Jihad generale musulmana nel 1914, tale fallimento si può ragionevolmente attribuire, più che a condizioni militari sul campo, alla incomprensione di fondo dei vertici tedeschi per le dinamiche del mondo musulmano, percepite forse in modo troppo semplicistico, e viste come basate unicamente sulla religione. Gli inglesi, più raffinati conoscitori dell’islamosfera, puntarono (a ragione) sul nazionalismo arabo, vincendo la scommessa. Sul fallimento dell’iniziativa tedesca nel tirare in mezzo la Persia nella prima guerra mondiale, ci da una lettura interessante Janz: “Qui alla gendarmeria tedesca si unì quella persiana capitanata da ufficiali svedesi, nonostante sia la Svezia che la Persia fossero in quella guerra ufficialmente neutrali. I tedeschi prestarono particolare attenzione a conquistarsi il favore delle tribù, al cui scopo investirono molto denaro. Così facendo riuscirono davvero a ricacciare indietro i russi, ma il successo fu di breve durata: sebbene volessero mostrare un atteggiamento filotedesco, i persiani conservarono infatti tutta la loro diffidenza nei confronti dei turchi che erano venuti a supportarli nella sollevazione. E dopo alcuni nuovi successi russi la speranza dell’ingresso in guerra della Persia si dissolse”[11]

    La proposta di Oliver Janz, circa un nefasto apporto turco, che avrebbe raffreddato gli animi persiani altrimenti ben disposti verso la Germania, cozza tuttavia ad una più profonda lettura delle collaborazioni militari che gli ottomani riuscirono ad instaurare nei territorio occupati con la elementi tribali locali. Durante l’occupazione di Urmia gli ottomani armarono Ismael Khan Simku, sia contro lo stato iraniano che contro le tribù locali di armeni ed assiri. Una volta occupato l’Azerbaijian persiano e rivendicatolo come proprio, i turchi armarono anche Mirza Kucik Khan, un guerrigliero che teneva in pugno la regione del Ghilan[12]. Sempre circa il fallimento della missione tedesca in Persia ci da una lettura amara ma ficcante il successore di Goltz nell’opera di destabilizzazione. Hans Von Kiesling già nel 1916 scrive questo: “Per denaro il persiano fa tutto, fino a che non ci sia d rischiare la vita. Che la politica tedesca in Persia presupponesse un sentimento nazionale di unità persiana tra tribù e improntasse a ciò le sue misure, fu un grave errore. Il secondo errore fu quello di far conto sulla utilizzabilità militare di quel popolo, prima di avergli portato il concetto di disciplina e di averli organizzati militarmente”[13].

    In conclusione, possiamo racchiudere il rapporto tra il Secondo Reich e la Persia nella più vasta e feconda politica tedesca verso il Medio Oriente. Berlino, interessata a ritagliarsi una sfera di influenza nei luoghi della ritirata ottomana, finì per sviluppare un raziocinio filo-musulmano, che impregnerà talmente tanto le classi dirigenti (incompiute) mediorientali da riverberarsi anche nel periodo 1918-1945, quando non pochi governi musulmani e in parte anche le masse oppresse trovarono un riferimento nell’allora Germania dello NSDAP. Il fallimento peculiare di tale politica con la Persia, di cui abbiamo dato brevi e insufficienti risposte, non può non esser messo in stretta relazione con le speranze ivi riposte. Falso è attribuire alla sollevazione delle popolazioni musulmane un ruolo secondario nei piani tedeschi, che invece contavano su una vasta ribellione che mandasse all’aria l’impalcatura coloniale francese ed inglese.
    Indagare quindi il fallimento della politica di influenza tedesca in Medio Oriente è quindi, in primo luogo confrontarsi col fallimento di un sistema di idee sensibilmente diverso da quello liberale franco-inglese. Ancora prima che sul campo, il modello ideologico tedesco, ancorchè studiato ed apprezzato da moltissimi intellettuali musulmani del tempo, impegnati nella modernizzazione del frasario socio-politico delle proprie società, perse sul campo della adesione e della fascinazione collettiva: almeno fino all’avvento del Comunismo Sovietico, nessun’altro modello culturale occidentale riuscirà a competere con quello anglosassone e francese nella in-formazione delle statualità islamiche del primo 900′.
    L’egemonia culturale inglese sul mondo mediorientale riposa sul cadavere fumante della pretesa culturale tedesca.

    Lorenzo Centini

    ***

    Note

    [1] William Olson, “Anglo-Iran relations during World War I”, 1998
    [2] Governo Britannico, “Correspondence respecting the affair of Persia”, Pg 39/Pg 120
    [3] Hassan Taqizadeh, “List of members of second Majles”, uscito su 15/07/1918 su Khave
    [4] Ervand Abrahamian, “Storia dell’Iran, dai primi del Novecento ad oggi”, 2008
    [5] G.B.Martin, “German-Persian relations 1873-1912”, 1959
    [6] Stephanie Cronin, “The army and the creation of the Palhavi state in Iran 1910-1926”, 1997
    [7] Colmar Van der Goltz, “Denkwurdigkeiten”,a cura di W.Foerster ,1929
    [8] Hans W. Neulen, “Feldgrau in Jerusalem”, 2002
    [9] Ervand Abrahamian, “Storia dell’Iran, dai primi del Novecento ad oggi”, 2008
    [10] Dennis Wrigth, “The english amongst the Persians”, 1977
    [11] Oliver Janz, “1914-1918. La Grande Guerra”, 2013
    [12] T. Atabaki, “The Ottoman’s Secret Service activities in Iran”, documento non pubblicato, 1998
    [13] Hans von Kiesling, “Soldat in drei Weltteilen”, 1935

    ***

    fonte: http://ruberagmen.blogspot.it/2016/01/rapp...ondo-reich.html


    ... continua ...

    nb: le foto sono inserite a solo scopo storico/didattico, NON si ntende violare alcun diritto d'autore

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    ... come nacque la famosa impresa su Vienna ...



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    l'aereo SVA prodotto dall'Ansaldo a Bolzaneto* (GE), usato per la missione dannunziana su Vienna

    Indubbiamente, la grande portata psicologica dell'azione dannunziana sulla capitale austriaca, compiuta il 9 agosto 1918, ebbe molto peso sulla soluzione della crisi bellica.
    Un successo da ascrivere in altissima percentuale alle insuperabili doti di velocità, affidabilità e lunga autonomia che lo S.V.A. aveva abbondantemente dimostrato in precedenza, ribadite dalle successive azioni - come quelle del 24 e 31 agosto, 7 settembre e 12 ototobre - sulle più lontane retrovie nemiche.
    Assai noto è lo svolgimento del raid su Vienna e meno risaputi sono forse i particolari della sua preparazione, a partire dalla lettera inviata da D'Annunzio a Giuseppe Brezzi il 25 giugno 1918, con la quale lo pregava di preparargli uno speciale velivolo adatto allo svolgimento dell'impresa.
    In essa il Comandante spiegava come egli ne fosse stato l'ideatore fino dall'ottobre del 1915; poi il progetto era stato ripreso nel 1917 "quando fece attrezzare un Caproni e compii 9 ore e un quarto di volo consecutive, e che, dopo questa prova convincente, ebbi alfine l'ordine di partire: ordine ritirato senza ragione, in seguito non so quali congiure tollerate dal vecchio regime."
    La richiesta specifica avanzata all'ingegner Brezzi consisteva nell'avere egli la necessità di disporre non di un normale S.V.A biposto ma di uno monoposto con grandi serbatoi per il carburante appositamente trasformato per ospitare un secondo passegero.
    Egli, che appellava Brezzi definendolo "Ingegnere di molti Ingegneri", supplicava il tecnico di non permettere che quell'impresa non lo vedesse tra i partecipanti, lo pregava di risparmiargli "tanto dolore" e concludeva la sua richiesta con le parole "mi tolga dall'intollerabile ansia" ...
    Da notare che la lettera del poeta soldato era seguita a quella di Natale Palli - suo fedelissimo collaboratore, che gli sarà compagno nella superba azione - il quale si rivolgeva a Brezzi congratulandosi per l'ottimo comportamento dello S.V.A. con cui aveva attraversato la Dalmazia per una serie di rilevamenti fotografici e ricognizioni delle postazioni nemiche.
    Un volo di 950 km complessivi, coperti senza alcun disturbo in meno di sei ore.
    Giuseppe Brezzi rispondeva a D'Annunzio già il giorno seguente al ricevimento dell'accorata supplica. Egli diceva tra l'altro che "ho sempre sperato in questa prova italiana, ed ho più volte espresso il mio convicimento sereno che lo S.V.A. avrebbe portato il tricolore molto lontano, oltre i nostri confini."
    Così, con l'apporto diretto dell'Ansaldo, venne portata a termine quell'azione psicologicamente dimostrativa che poneva dei seri interrogativi nei confronti della popolazione austriaca circa l'opportunità di continuare la guerra. Non a caso ad attuare quel progetto tendente alla cessazione delle ostilità era stato lo stesso protagonista del gesto che aveva acceso la miccia del confronto il 5 maggio del 1915 davanti al monumento di Quarto. Ed in entrambi i casi vi era stato, sia pure in forma e misura diverse, un po di spirito ligure.

    fonti: Aviatori, Aeroplani e Aeroporti di Liguria di Maurizio Lamponi per la Nuova Editrice Genovese, tomo della collezione privata dello scrivente.
    Consultazione dell'Archivio Storico Fondazione Ansaldo

    le foto sono inserite al solo scopo didattico/culturale; NON si intende violare alcun diritto d'autore
    * all'epoca dei fatti Comune, poi con l'avvento del Fascismo venne incluso nella Grande Genova mantenendo però lo statuto comunale come delegazione
    continua ...
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    Un evento non molto conosciuto della Prima Guerra Mondiale fu l’occupazione austro-ungarica di Tirana, attuale capitale dell’Albania (ma allora lo era Durazzo=Durrës), appena nata (28/11/1912, proclamazione di Ismail Bey Qemali a Valona=Vlora) e de facto già scomparsa dopo la parentesi del principe di Wied, il “mbret” (etimologicamente Imperatore nel senso di Re, Sovrano) e terminata nel 1914 (la “vera” nascita dell’Albania, pur decisa dalle Sei Potenze a Londra nel luglio 1913, è posteriore al 1918, diciamo che può datarsi al 1920 !). Gli austro-ungarici presero Tirana il 9 febbraio 1916, come dice il comunicato ufficiale rilasciato l’11/2/1916 da Vienna “Teatro di guerra sud-orientale”.
    Pochi giorni dopo gli alleati bulgari, che stavano finendo di inseguire i serbi ormai sconfitti (e quasi tutti evacuati, anche grazie all’indefessa opera della R. Marina), entravano ad Elbasan, proprio il 12 febbraio 1916 (la notizia compare nell’edizione serale del Fremden-Blatt di lunedì 14/2/1916, che parla anche di calorose accoglienze alle truppe regie bulgare e di città imbandierata, almeno secondo il comunicato ufficiale dell’Agence Télégraphique bulgare emesso il 13/2/1916, foto a destra; quel giorno Re Ferdinando di Bulgaria arrivò a Vienna come dice l’articolo di fondo a destra e ciò spiega il rilievo inusitato conferito a questa vittoria bulgara, messo più in risalto della presa austro-ungarica di Tirana tre giorni prima !).
    Ancora poco più tardi dopo cadrà agli austro-ungarici Durazzo (sera del 26 febbraio/mattino del 27 febbraio); il nostro Regio rappresentante, Renato Piacentini (più tardi, in età proto-mussoliniana Regio Ministro a Sofia) era già fuggito in Italia.

    L’Albania venne quindi così suddivisa:

    - i due terzi (o financo il 70 %) ad austro-ungarici e bulgari
    - Italia verso Valona
    - i francesi, verso Korça=Koritsa, dove installeranno una scuola francese in cui studierà, più tardi, Enver Hoxha
    - i greci, allora sottoposti a forti pressioni dell’Intesa contro Re Costantino (1913-1917; 1920-1922) presenti all’estremo sud, almeno come forza potenziale.

    Fra gli albanesi giocava un ruolo il filo-Intesa Esad ex-Pascià (in quei giorni il Sultano-Califfo lo privò del titolo) mentre le tribù del Nord (in molti casi cattoliche), in primis i Mirditi e i Malissori, erano pro-asburgiche e diversi musulmani del Centro e tutti quelli del Kosovo (pur segretamente pro-turchi, del resto alleati in quella guerra) erano “pro-bulgari” in odium Serbiae.



    fonte: https://controhistoria.wordpress.com/2018/...ana-09-02-1916/

    un saluto
    Piero e famiglia
     
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    FRONTE DOLOMITICO



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    una delle più belle pellicole sulla I^GM

     
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    Dopo un anno di commemorazioni masochiste per auto-mortificarci, arrivò finalmente il giorno in cui siamo costretti a ricordarci della Vittoria e del suo centenario. Eccolo, il 4 novembre, anzi il IV novembre, la giornata della Patria. Ma avrete già sentito come viene trasformato quell’anniversario nel Racconto Ufficiale fatto da presidenti, ministri, media e professori: la Vittoria sparisce, la Nazione pure, alla Patria solo un timido sbuffo di cipria e dei caduti se ne parla come povere vittime del nazionalismo e dei loro capi. Il resto sarà tutta una celebrazione della pace, dell’Europa, dell’umanità col sottinteso che eroi e vittime di guerra sono caduti invano, per una sanguinosa illusione.

    La memoria della Grande Guerra viene esattamente rovesciata: diventa la celebrazione dell’Europa e la mortificazione delle nazioni identificate nei nazionalismi. Ma la verità storica dice esattamente il contrario: la Prima guerra mondiale fu il funerale dell’Europa e il trionfo dell’Italia, pur mutilato.

    Da quel conflitto l’Europa uscì infatti sfasciata e indebolita, non fu più il centro del mondo, perse gli Imperi Centrali che ne erano la spina dorsale, il mondo cominciò a dividersi tra l’Ovest americano e l’Est comunista, schiacciando l’Europa nel mezzo o relegandola a periferia. Nacque da quel conflitto il comunismo e poi la reazione ad esso, nacque la frustrazione tedesca che portò al nazismo, nacque il fascismo. Con la Seconda guerra mondiale, il tramonto dell’Europa avviato dalla prima raggiunse il suo epilogo. Gli occhi dell’ideologia pacifista non vogliono vedere la realtà tragica e gloriosa di quell’evento.

    Invece, sul piano nazionale, la Prima Guerra mondiale consacrò l’Italia, per la prima volta uscita vincitrice da un conflitto, al rango di nazione e patria comune. Il Risorgimento era stato un’impresa di pochi, voluta da pochi, rispetto a una popolazione contadina, cattolica, soprattutto meridionale, in buona parte non partecipe se non refrattaria al processo unitario. Fu la Prima Guerra Mondiale a sancire nel sangue e nel dolore la comune appartenenza all’Italia. Quando dicono che la Prima Guerra Mondiale fu per noi la conquista di Trento e di Trieste, si rimpicciolisce – con tutto il rispetto per le terre irredente – la portata e il significato del Conflitto. No, in quella occasione per la prima volta, un popolo intero si sentì nazione, si scoprì patria.

    La leva obbligatoria, l’educazione nazionale seppure a tappe forzate, il sentimento di appartenenza tramite i propri ragazzi al fronte, portarono per la prima volta a sentirsi veramente italiani le genti del nord insieme alle genti del sud; i borghesi e i proletari, gli intellettuali e i contadini. Sarebbe ipocrita negare che molti di loro furono riluttanti e la Prima guerra mondiale fu voluta anch’essa – come il Risorgimento – da una minoranza. Forse la Grande Guerra ebbe meno consenso popolare della Seconda guerra mondiale, che almeno inizialmente godette di fervore e adesione degli italiani. Ma l’effetto che produsse la Vittoria fu il rafforzarsi del legame nazionale. La sua consacrazione avvenne con la proclamazione della Vittoria, il ritorno dei combattenti e reduci, il ricordo dei caduti, la salma del Milite Ignoto. E la consacrazione dell’Altare della Patria a lui, al Soldato italiano senza nome. Fu in quel passaggio, da Monumento funebre al Re Vittorio Emanuele II ad Altare per il Milite Ignoto, il vero passaggio da un Regno a una Nazione, un Popolo.

    Perciò quando si parla di IV novembre si deve ricordare insieme al sacrificio di tanti soldati, al dolore delle loro famiglie, anche l’orgoglio di dirsi italiani, pagato col sangue; la fierezza di un sentimento di appartenenza nazionale.

    Dove finisce invece nella retorica ufficiale l’amor patrio? Sparisce, per far posto alla parola umanità che almeno in questo caso è fuori luogo, è storicamente falsa e bugiarda, comunque fuori posto.

    Ma non solo. Si prosegue nell’autoflagellazione. Abbiamo visto nei giorni scorsi nei tg di Stato, che il ministro/la ministra della difesa ha ricordato in una speciale cerimonia apposita non i 650 mila caduti italiani ma qualche centinaio di caduti ebrei italiani nella Prima guerra mondiale. Per poi dire: loro erano caduti per l’Italia e l’Italia poi li ripagò con le leggi razziali. Insomma tutti i discorsi servono per portare sempre là, alla nostra Autoflagellazione quotidiana. Senza considerare che gli ebrei si consideravano ed erano considerati italiani a pieno titolo, che gli ebrei – per esempio – a Trieste, furono ferventi patrioti e anche nazionalisti; e molti di loro diventarono pure fascisti.

    E comunque non si possono ricordare in modo speciale solo alcune centinaia di caduti di fronte a centinaia di migliaia di caduti… Ma questo è funzionale per far slittare l’amor patrio nell’antifascismo. Pura propaganda ideologica, pura distorsione. E se si parla dei soldati della Prima guerra mondiale la preferenza va verso i disertori non verso gli eroi, verso chi fu ucciso perché non voleva combattere (proposito umano che merita pietà, non ammirazione) e non verso chi ha dato volontariamente la sua vita alla patria. Siamo rimasti eredi di Caporetto più che di Vittorio Veneto, siamo fermi a Cadorna, non siamo arrivati a Diaz.

    Per questo è necessario ricordare che il IV novembre fu il battesimo di una nazione antica in epoca moderna, fu la conversione di un’identità plurale in una patria comune, di un sentimento unitario e di una lingua gloriosa e plurisecolare in nazione. L’Italia disegnata dalla geografia finalmente combaciò con l’Italia disegnata dalla storia. Un grande evento di fondazione. Per questo dobbiamo onorare senza se e senza ma i caduti, la Vittoria e la nascita di un popolo che si scoprì nazione.



    www.controinformazione.info/come-tradire-il-iv-novembre/
     
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