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Salve
Come promesso precedentemente vi parlo dell’uso dell’arma aerea durante la IGM, prima però un breve preambolo: l’uomo, da sempre, ha desiderato volare come i gabbiani, le aquile, gli aironi e, partendo da Icaro, passando alle macchine disegnate da Leonardo giunge alla mongolfiere ed ai Fratelli Wright.
L’uso bellico dell’arma aerea però non ha il suo battesimo nella IGM ma, molto prima, come ben spiegato qui:
Il primo impiego militare degli aerostati avvenne nella Battaglia di Fleurus nel 1794, quando le truppe rivoluzionarie francesi li usarono per osservare dall'alto i movimento del nemico. Un impiego simile avvenne durante la Guerra di secessione americana 1861-1865: il caso più noto riguarda Thaddeus Lowe, che guidò le truppe trasportate da pallone (balloon corps) nei primi tre anni di guerra. Tali truppe conferirono un notevole vantaggio e inaugurarono la possibilità di colpire il nemico anche senza che questo fosse visibile da terra.
Tale impiego vienne ripreso durante la Prima guerra mondiale per individuare i movimento del nemico e per inviare all'artiglieria (con i neonati telefoni) le coordinate su cui fare fuoco. D'altro canto, proprio durante tale guerra, i palloni divennero un obbiettivo primario dell'artiglieria nemica e, benché venissero attentamente protetti da postazioni antiaeree e da aerei da ricognizione "amici", il loro abbattimento era piuttosto frequente, proprio per la scarsa mobilità di tali mezzi. In quel periodo, negli Stati Uniti venne istituito il "tesserino aeronautico", che distingueva i militari in grado di pilotare tali nuovi mezzi.
Il primo uso dell’aereo per scopi bellici si fa risalire alla Guerra Italo/Turca (1911) e, precisamente da parte del Regio Esercito Italiano, in Libia, come ben spiegato qui:
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...4,d.d2k&cad=rja
Allo scoppio della IGM nessuna delle Nazioni belligeranti disponeva di una vera e propria Aviazione Nazionale, difatti le prime Aviazioni furono, nell’ordine:
Royal Air Force fondata nel 1918; l’Arma Azzurra Italiana nel 1924; l’Armèe de l’Air fracese nel 1934; la Luftwaffe tedesca nel 1935 (ufficiosamente dal 1933), l’Usaf americana, addirittura nel 1947…fine prima parte
Questo articolo si occupa Paul Bäumer il pilota. Per l'immaginario Paul Bäumer, vedere Niente di nuovo sul fronte occidentale . Per la fine del membro del gruppo di musica elettronica di Bingo Players, vedere Bingo Players
Paul Wilhelm Bäumer (11 Maggio 1896 - 15 luglio 1927) è stato un tedesco asso combattente nella prima guerra mondiale .
Contenuto
• 1 Contesto
• 2 Coinvolgimento in 1 guerra mondiale
• 3 Post-War Carriera
• 4 Collegamenti esterni
• 5 Riferimenti
Background
Bäumer è nato l'11 maggio 1896 a Duisburg , in Germania. Era un assistente dentale prima della prima guerra mondiale, e ha conseguito la licenza di pilota privato entro l'estate 1914. [1]
Coinvolgimento in 1 guerra mondiale
All'inizio della guerra, si è unito al 70 ° Reggimento di Fanteria. Ha lavorato in Francia e in Russia, essendo ferito al braccio nel secondo. Ha poi trasferito al servizio aereo come assistente dentale prima di essere accettati per l'addestramento dei piloti militari. [1]
Nell'ottobre 1916, era in servizio come pilota traghetto e istruttore presso Armee Flugpark 1. Il 19 febbraio 1917 è stato promosso a Gefreiter . Il 26 marzo è stato assegnato al Flieger Abteilung 7; è stato promosso a Unteroffizier il 29. [1]
Il 15 maggio 1917 è stato insignito della Croce di Ferro di seconda classe . Successivamente ha ricevuto una formazione sulle monoposto, quindi l'invio al dovere combattente. Bäumer entrato Jagdstaffel 5 il 30 giugno 1917, segnando tre vittorie come Buster palloncino a metà luglio prima di andare al elite Jasta Boelcke . [1]
Albatros DV di Paul Bäumer, mentre con Jagdstaffel 5
Bäumer ha sostenuto fortemente, raggiungendo 18 vittorie entro la fine dell'anno. Fu commissionato nel mese di aprile 1918. Il 29 maggio Bäumer è stato ferito in un incidente, rompendogli la mascella, e tornò alla Jasta nel mese di settembre. Con l'arrivo del Fokker D.VII ha affermato ancora più successo, di cui 16 nel mese di settembre. Soprannominato "The Eagle di ferro", ha volato con un emblema personale di un Edelweiss sul suo aereo. Era uno dei pochi piloti nella prima guerra mondiale le cui vite sono state salvate da paracadute distribuzione, quando è stato abbattuto in fiamme nel mese di settembre. Ha ricevuto il le Mérite Versare poco prima dell'armistizio ed è stato finalmente accreditato con 43 vittorie, la classifica al nono posto tra gli assi tedeschi
Albatros DV
Spina dorsale degli Jasta dalla tarda estate del 1917 fino agli inizi dell’estate del 1918, il D V ed il suo derivato più robusto ma simile esternamente D Va, furono costruiti in gran numero, 900 esemplari del primo e ben 1612 del secondo da Albatros e OAW…il DV cominciò a raggiungere gli “Jasta” nel maggio 1917…i caccia Albatros avevano un forma elegante e aerodinamica ed eranop dotati di armi doppie sincronizzate…inizialmente erano colorati di color legna naturale (betulla) ma, raggiunte le unità operative furono dotati di colorazioni sgargianti; si va dalle macchie irregolari color malva e verde oliva scuro nelle parti superiori e nella coda (sotto erano di un blu pallido, a delle figure a poligoni irregolari, note come tessuto a losanghe…ve ne furono anche di altri colori: rosso e blu dello Jasta 15 (pilota Dingel), bianconero a strisce trasversali e coda verde scuro (tenente Fritz Rumey)… e altri ancora…
Saluti
Piero e famiglia. -
..Kratos...
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Il 23/05/1915 l'Italia dichiarò guerra all'impero austro-ungarico.
Il 24/05/1915 cominciarono le operazioni belliche.. -
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salve
ieri sera ho visto, per puro caso, su RaiStoria una interessantissima trasmissione che narrava la storia di una spedizione composta da una decina di persone (militari, storici e studiosi) che ha attraversato, a piedi, tutto il fronte italaino della Grande Guerra, coprendo una distanza di mille chilometri, giungendo a Trieste; il nome dela spedizione era Ta-pum. titolo di una canzone che i nostri soldati, intonavano durante la guerra e ispirata dal rumore del fucile quando sparava...ecco il link e tutta la storia:
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&es...UK3g-Uz0hK8eX4g
saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 29/9/2017, 11:38. -
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FRANCESCO BARACCA
foto di un combattimento aereo con protagonista l'Asso italiano Francesco Baracca...
foto inserita a solo scopo didattico-culturale, non si intende violate alcun diritto d'autore...
interessante programma di Rai Storia
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...EG2ut2AwYF6zY_w
una sua biografia
Francesco Baracca nasce il 9 maggio 1888 da Paolina Biancoli e da Enrico. Da giovane segue dapprima la scuola dei Padri Salesiani di Lugo, poi gli studi presso gli Scolopi della Badia Fiesolana, per terminarli al Liceo “Dante” di Firenze. Dopo la maturità si iscrive alla Scuola Militare di Modena, dove rimane per un paio di anni.
Nel 1909 frequenta la Scuola di Cavalleria a Pinerolo, dove viene promosso al grado di sottotenente nel luglio 1910 e assegnato al 1° Squadrone del Reggimento “Piemonte Reale” di stanza a Roma. Nel 1912 segue i corsi di pilotaggio civile a Reims, dove consegue il brevetto di pilota, attività verso cui avverte una naturale propensione ed un grande entusiasmo, testimoniati dalla lettera al padre del 5 maggio 1912 nella quale afferma: “[...] ora mi accorgo di avere avuto un’idea meravigliosa, perché l’aviazione ha progredito immensamente ed avrà un avvenire strepitoso ”.
Dopo il brevetto civile di pilota d’aeroplano consegue quello di pilota militare e fino al 1915 si dedica al perfezionamento del suo addestramento. Alla vigilia della guerra, Baracca giunge a Parigi dove si specializza sui nuovi biplani da caccia Nieuport all’aeroporto di Le Bourget.
Rientrato in Italia nel luglio del 1915, esegue voli di pattugliamento ed ottiene la prima vittoria il 7 aprile 1916 ai comandi di un Nieuport con il quale abbatte un Aviatik austriaco.
Per le sue azioni di guerra, riceve una medaglia di bronzo, tre d’argento, la croce di cavaliere dell’ordine militare di Savoia, la croce di cavaliere ufficiale della Corona Belga, ed infine la medaglia d’oro, con la quale viene premiato per l’abbattimento del trentesimo aereo nemico sul monte Kaberlaba, nell’altopiano di Asiago.
Nella primavera del 1917 comanda la 91^ Squadriglia, unità che, per la capacità dei suoi piloti e gli abbattimenti effettuati, viene definita la “Squadriglia degli Assi”.
Gabriele-D-Annunzio
Il 15 giugno 1918, in una spedizione a San Biagio di Collalta, in provincia di Treviso, ottiene la 34a ed ultima vittoria ed il 19 giugno, uscito per un'azione di mitragliamento a volo radente sul Montello, il suo Spad XIII viene colpito dagli austriaci presso l’Abbazia di Nervesa.
Il 23 giugno il suo corpo, accanto ai resti del velivolo, viene scoperto nel Montello quasi per caso dall'ufficiale di artiglieria Ambrogio Gobbi. Questi informa Osnago, compagno di Baracca dell’ultimo volo, col quale raggiunge le pendici del Montello assieme al tenente Ranza ed al giornalista Garinei del “Secolo” di Milano.
La salma del maggiore Baracca, ustionata in più punti, presenta una ferita penetrante sulla tempia destra. Le ali e la carlinga dello Spad sono carbonizzati, il motore e la mitragliatrice infissi nel suolo, il serbatoio della benzina presenta due fori da pallottole incendiarie. Le esequie di Baracca si svolgono il 26 giugno a Quinto di Treviso: l’elogio funebre è pronunciato da Gabriele D’Annunzio . Il 28 il feretro giunge a Lugo nella tarda serata ed il 30 hanno luogo i funerali
alcune curiosità legate all'Asso italiano:
Cavallino Rampante:
il pilota fa dipingere sulle fiancate dei suoi velivoli un cavallino rampante che sua madre regalerà nel 1923 a Enzo Ferrari e che diventerà il simbolo della Scuderia Ferrari
il suo aereo, SPAD XIII
l'originale
lo stesso aereo arrivato fino a noi durante una della tante manifestazioni aviatorie
squadra di calcio Baracca Lugo, fondata in suo onore
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&es...xk331aBGg_GKtBA
per chi vuole approfondire:
http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr...MEWRgLLkSPOn8ow
fonti:
vari siti storici, modellini ESCI scala 1/72, Spad Fighters in action (aircraft number 93- squadron/signal pubblications)
saluti
Piero e famiglia. -
..Kratos...
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Uppo il 3d
Video. -
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101 anni fa l'Italia entrava in guerra...
saluti
Piero e famiglia. -
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LE UNIFORMI DELLA I^ GUERRA MONDIALE - FANTE FRANCESE AGOSTO 1914
L'assoluta ineguatezza dell'uniforme del Fante francese a un moderno conflitto nel 1914 non sorprende nessuno.
Fin dall'inizio del secolo, traendo insegnamento dalla Guerra dei Boeri, i riformatori avevano proposto una modifica sostanziale, sia del colore che del taglio dei capi d'abbigliamento.
Dal 1903 al 1914 si faranno in Francia più esperimenti di tenute di colore neutro. grigio-blu, o beige-blu, che in qualsiasi altra futura Nazione belligerante.
Tuttavia, nessuna proposta di riforma verrà adottata prima del 27 luglio 1914: a sei giorni dallo scoppio della guerra !!!
Il Fante francese ne vivrà i primi mesi indossando un'uniforme ben poco mutata dai tempi del conflitto franco-prussiano.
Spinti in folli cariche alla baionetta di fronte alle mitragliatrici tedesche i pantalons rouge cadranno come grano maturo alla mietitura, fino alla miracolosa ripresa sulla Marna
Questo il suo fucile il Lebel modello 1886/93
Il calibro era di 8 mm, questo fucile segue il sistema Kropatschek a caricatore tubolare inserito nel fusto (munito di 8 cartucce), principio già del tutto superato dopo la sua adozione.
Il fucile era corredato dalla sua sciabola-baionetta a lama quadrangolare, con impugnatura di maillechort e braccio dell'elsa ricurvo
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le foto sono inserite al solo scopo didattico/culturale/educativo NON si intende violare alcun diritto d'autore.
fonti: SOLDATI della PRIMA GUERRA MONDIALE di Laurent MIROUZE edizioni EUROPA MILITARIA nr 3 (di proprietà dello scrivente) e ricerche varie in rete
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saluti
Piero e famiglia
Edited by Nihil Obest - 30/9/2017, 16:12. -
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CARTINA GEOPOLICA DELL' EUROPA PRIMA E DOPO LA GRANDE GUERRA
CARTINA 1914
CARTINA 1918
Come si può notare, i cambiamenti furono enormi basti pensare che, dopo soli quattro anni di conflitto due Imperi sparirono: quello Asburgico, frantumatosi in diversi stati nazionali, e quello Russo, soppiantato dalla Rivoluzione Bolscevica dell'ottobre 1917.
L'Italia ottenne solo parte di ciò che era suo, difatti, a dimostrazione di questo, fu coniato il termine di vittoria mutilata
le foto inserite sono a solo scopo didattico/educativo, NON si intende violare alcun diritto d'autore
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saluti
Piero e famiglia. -
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L' ELMETTO "ADRIAN"
Uno degli oggetti più noti della I^GM, anche ai più profani è sicuramente l'elmetto "Adrian"
Primo copricapo in acciaio dei tempi moderni fu utilizzato, precedendo tutti, dall'Armee Francaise, nell'inferno di Verdun.
In un tempo record ne è dotato tutto l'esercito francese; più di tre milioni di esemplari sono distribuiti prima della fine del 1915.
Purtroppo la sua protezione si rivelerà inferiore a quelle offerte dai modelli inglesi e tedesco, introdotti qualche mese più tardi, dai rispettivi Stati Maggiori.
Ricoperto da una vernice grigio-azzurra, ritenuta troppo brillante, l'elmetto Adrian verrà provvisto, a partire dalla fine del 1915 di una copertina di tela blu chiaro o cachi chiaro, tipica del periodo di Verdun.
Ne furono dotati anche gli eserciti italiano (come quello in foto) e belga.
fonti: SOLDATI della PRIMA GUERRA MONDIALE di Laurent MIROUZE edizioni EUROPA MILITARIA nr 3 (di proprietà dello scrivente) e ricerche varie in rete
foto inserita al solo scopo didattico/culturale, non si intende violare alcun diritto d'autore
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Piero e famiglia. -
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GUERRA di TRINCEA - IL LANCIATORPEDINI BETTICA
Le Armate di Cadorna si erano trovate di fronte ad un nemico ben trincerato che sapeva sfruttare a pieno le modeste alture Carsiche per battere inesorabilmente con il fuoco delle mitragliatrici le truppe italiane in avanzata.
Per ovviare a tale situazione vennero impiegati dei nuclei di ardimentosi inquadrati nelle cosidette Compagnie della Morte composte di volontari che protetti dalle corazze Farina, e muniti di cesoie tagliafili, attaccavano con generoso sprezzo del pericolo i reticolati austro-ungarici cercando di aprirli per poi farli saltare con i tubi di gelatina esplosiva, con lo scopo di aprire i varchi favorendo così l'azione della fanteria in attacco che di conseguenza vi si insinuava per procedere alla conquista delle posizioni contrapposte. Tutte queste azioni dalla elevata pericolosità, procuravano non poche perdite agli organici di questi particoalri reparti assottigliandone inesorabilmente le schiere.
Occorreva trovare altri mezzi idonei adatti allo scopo, senza rischiare di più la vita di rari e valorosi combattenti.
Nasceva così la specialità denominata Artglieria da Trincea, che aveva lo scopo, mediante le sue armi a tiro curvo, di effettuare tiri di distruzione dei reticolati direttamente da posizioni fisse in prima linea, nonchè di agire direttamente e con successo contro fortificazioni.
Già negli anni precedenti al conflitto, i tedeschi, con largo intuito avevano previsto tale impiego e, all'inizio delle ostilità, erano provvisti di Minenwerfer da 17cm, dei quali fornirono anche i loro alleati austro-ungarici che con successo le usarono contro le truppe italiane.
Lo Stato Maggiore del generale Cadorna nel 1916 fece approvvigionare la nascente specialità dei Bombardieri con una serie di armi di produzione nazionale, come i vari lanciabombe e mortai da trincea Minucciani, Torretta, Carcano, Ansaldo, e infine l'insolito, ma molto efficace, lancia-torpedini studiato e messo a punto dal capitano del Genio Alberto Bettica di Torino.
Le caratterisricbhe erano:
- peso ridotto, piccolo volume, facile assemblamento, costo di produzione limitato grazie ai materiali con i quali l'arma veniva costruita, facilmente reperibili in commercio;
- notevole facilità nel tiro (otto colpi al minuto circa);
- gittata massima ed effetto schegge di 150mt, con tiro eseguito mediante proiettili di peso uguale.
Venivano inquadrati a sezioni nel numero di tre per Reggimento, e a sezione unica nelle compagnie Arditi, con il compito di precedere e seguire tutte le operazioni offensive, e questo anche in virtù della facile trasportabilità dell'arma mediante dei passanti per il fissaggio delle cinghie per il trasporto a mo' di zaino e del suo relativo peso pari a 19 chili.
La struttura molto particolare era composta da uno zoccolo di appoggio fatto di legno molto forte che comprendeva una testa semicilindrica ferrata, sulla quale appoggiava e si muoveva il maschio unitamente alla sua piastra e al settore di elevazione.
La cosa veniva fermata al suolo durante il tuiro da sacchetti a terra, il maschio di accuiio era imperniato al centro della testa semicilindrica in modo da poter ruotare in un settore di elevazione di 40° circa.
Tale movimento era frenato da un settore di elevezione fissato per mezzo di un vitone a galletto.
La torpedine era costituita da un semplice tubo di ferro il cui interno veniva diviso in due parti da un tappo fermato per mezzo di una strozzatura.
L'anima, che veniva investita sul maschio al momento dello sparo, conteneva la carica di spinta compressa contro un tappo da una barra. L'anima aveva due fori diametralmente opposti, uno per il passaggio della miccia di accensione, l'altro per l'accensione della miccia di innescamento.
fonte: numero 137 (settembre 2007) della Rivista Uniformi&Armi della collezione privata dello scrivente e ricerche in rete per le foto.
le foto sono inserite al solo scopo didattico/culturale, NON si intende violare nessun diritto d'autore
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Piero e famiglia. -
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PRIMA GUERRA MONDIALE - I LIBRI di INTERESSE
Iniziamo oggi un'altra pagina dedicata alla Prima Guerra Mondiale, quella relativa ai libri ad essa dedicati, iniziando con questo splendido racconto pieno di valori tra cui spiccano la volontà, l'amicizia e il rispetto
Mi guidava un terrore cieco; le staffe mi frustavano i fianchi in una danza folle. Senza il peso del cavaliere raggiunsi per primo i tiratori inginocchiati, che abbandonarono le postazioni nel momento in cui piombai su di loro.
Sciogli le trecce e i cavalli corrono.
Apri le pagine di questo libro, e udrai il nitrito di un bellissimo baio ciliegia accanto a te.
Michael Morpurgo è uno di quegli autori catalogati come scrittori per bambini e per ragazzi, ma qualsiasi adulto dovesse aver la ventura di incappare in un suo libro, si troverebbe costretto a voltarne le pagine senza posa, con quella voracità narrativa che solo le grandi storie hanno e sanno trasmettere ai lettori di tutte le età.
War horse racconta indubbiamente una grande storia.
C’è un respiro epico, nelle avventure di Albert e Joey, un ragazzo inglese che cresce nell’imminenza della prima guerra mondiale e il suo puledro meraviglioso, bestia di bellezza e intelligenza impareggiabili che un giorno suo padre acquista ad una fiera.
Joey, però, non è disposto a chiamare padrone nessuno che non sia amico per la vita, ed è la sua voce a raccontarci in prima persona del nascere di un’amicizia speciale: quella che lo legherà ad Albert in un momento in cui la Storia ingrana la quarta e si mette a correre precipitosamente.
C’è appena stato un attentato, un principe è stato ucciso a Sarajevo, e le voci che corrono di bocca in bocca dicono che ci sarà una guerra, ma al fatto che la guerra finirà presto sono in pochi a credere.
La fiducia che si instaura fra il ragazzo e il suo cavallo viene nutrita giorno dopo giorno, cavalcata dopo cavalcata, e sopravvive anche ai maltrattamenti cui il padre di Abert sottopone Joey appena ne ha la possibilità.
L'amicizia, però, è a prova di bomba, e nulla pare poterla scalfire.
Al punto che, quando le bombe cominciano a cadere per davvero e Joey viene venduto dal padre di Albert ad un ufficiale dell’esercito inglese perché diventi un cavallo da guerra, Albert farà di tutto per poterlo seguire in Francia, sui campi di battaglia e dappertutto, a qualsiasi costo.
Ma è ancora troppo presto. Il ragazzo non ha neppure compiuto diciassette anni, e non ci sono amicizie che tengano: Albert promette che raggiungerà Joey, ma dovrà aspettare un anno.
Un anno, quel 1915, diverso da tutti gli altri: scintillante come ferro e rovente come fuoco, fra le trincee e durante le cariche, alla scoperta del male che gli uomini sanno fare a se stessi e ai propri cari, ma anche dei valori che legano le persone al di là della casacca che indossano.
Joey saprà farsi onore, imparando ad apprezzare il valore degli uomini proprio mentre impara a detestarne l’invenzione peggiore: la guerra.
Fino a che non si ricongiungerà al suo Albert; l'antica promessa mantenuta, una volta per tutte.
Non sorprende che Steven Spielberg abbia trovato in War horse materia sufficiente per fare un film, e c’è da scommettere che la sensibilità del regista verso i temi di cui il libro di Morpurgo è così ricco tradurrà questo inno all’amicizia, all’amore e al rispetto in un’opera di grande impatto e capace di emozionare, puntando al contempo il più duro indice d’accusa contro la guerra.
Nell’attesa, ci godiamo il bellissimo racconto originale, e ringraziamo questo bravo scrittore per averci fatto respirare l’odore dell’erba bagnata al mattino, la paura e l’eccitazione della battaglia, la libertà di una corsa al galoppo nelle praterie.
dal libro è stato tratto un film, a firma di S. Spielberg, ecco alcune scene
fonte: lo stesso libro che fa parte della mia collezione
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saluti
Piero e famiglia. -
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... curiosità trovate leggendo di tutto un po...
Inserzione tratta dal numero 37 de L'Operaio Ligure (organo della Società Operaia Cattolica Ligure) in data 12-IX-1915 anno XXXII°Per coloro che si presentano alle armi
Per disposizione di regolamento, notificata mediante i manifesti di chiamata, i sottufficiali e i militari di truppa che si presentano alle armi sono autorizzati a conservare oggetti di corredo di loro proprietà privata, in luogo di corrispondenti oggetti militari, purchè siano in condizioni di poter prestare buon servizio, con diritto a riceverne un adeguato compenso in denaro.
Si consiglia ogni buon cittadino di presentarsi alle armi con un paio di calzature di marcia (stivaletti allacciati, con gambaletto, usualmente chiamati scarpe alpine) munite di chiodatura; ne ritrarrà il vantaggio di calzare scarpe già bene adattate al piede, ed agevolerà in pari tempo le operazioni di vestizione presso i depositi rendendole più speditive.
Si consiglia inoltre di presentarsi con un farsetto a maglia di lana pesante, con una correggia di pantaloni e con oggetti di biancheria in buone condizioni.
L'ammontare del compenso in denaro sarà subito pagato, in misura corrispondente allo stato d'uso dell'oggetto. Per oggetti in ottime condizioni saranno corrisposti i seguenti compensi: Per
un paio di calzature di marcia L. 16.50
un farsetto a maglia di lana " 5.00
ciascuna camicia di tela " 2.00
ciascuna camicia di flanella " 6.00
ciascun paio di mutande di tela " 2.00
ciascun paio di mutande di lana " 4.00
ciascun paio di calze di cotone " 0.30
ciascun paio di calze di lana " 1.50
ciascun fazzoletto " 0.20
una correggia da pantaloni " 0.80
fonte: L'Operaio Ligure anno 131° - nr. 6 del settembre 2015 della collezione privata dello scrivente
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Piero e famiglia. -
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salve
mi permetto di segnalare questo libro
Pasian Schiavonesco (Basiliano), 29 ottobre 1917.
Dopo la rottura del fronte italiano a Caporetto, nell’Alta Valle dell’Isonzo, avvenuta il 24 e il 25 ottobre 1917, le divisioni della 14 a Armata austro-germanica, occupata Cividale il 27 e Udine il 28, dilagarono nella pianura friulana. (…) Si cercava di apprestare anche una linea di resistenza sulla direttrice Mortegliano – Pasian Schiavonesco per fermare l’avanzata nemica. (…) Per una scelta tattica venne deciso di non installarsi nel paese di Pasian Schiavonesco ma di prendere posizione sulla strada nazionale Pontebbana nel luogo in cui, all’undicesimo chilometro, essa interseca un torrentello, la “Lavia”. La battaglia che qui si svolse nel pomeriggio del 29 ottobre prende appunto il nome di “Battaglia della Lavia” o “Battaglia di Pasian Schiavonesco”.
Basagliapenta, 29-30 ottobre 1917
Per raccontare della battaglia di Basagliapenta, bisogna ricordare quella della Lavia, conclusasi con il ripiegamento del nostro esercito. (…)
Un reggimento della “Roma”, comandato da Filipponi, forte di duecento uomini, si riorganizzò a Nord-Est di Basagliapenta per opporre una nuova resistenza al nemico, costruendo anche barricate sulla piazza e sulla strada che attraversava il paese. (…)
Orgnano, 30 ottobre 1917
I combattimenti di Orgnano durante la ritirata di Caporetto furono fra i più cruenti. In quella piovosa notte del 30 ottobre ben pochi soldati hanno dormito. Erano in movimento per mettersi in salvo dietro il Tagliamento. Per permettere al grosso dell’esercito di passare il fiume, una brigata, la Lucca, doveva fermare il nemico su un piccolo fronte: Orgnano-Blessano. In realtà le cose non andarono per il giusto verso. (…)
Autore: Gian Francesco Cromaz, Guido Sut
Formato: cm 16×22
Pagine: 40
Volume brossurato
ISBN: 978-88-7772-261-4
€ 13,00 + spese di spedizioni
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Piero e famiglia. -
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ANALISI sul 4 novembre 1918
Quand’ero ragazzo, negli anni Cinquanta del secolo scorso, il 4 di novembre era festa nazionale. Allungava le festività religiose di Ognissanti e del Giorno dei Morti. Si celebrava la vittoria nella I guerra mondiale: correlativamente, il raggiungimento dell’Unità nazionale e l’opera valorosa delle Forze Armate. Gran parte delle sinistre e parte consistente del mondo cattolico non l’hanno mai amata, questa celebrazione, troppo patriottica per i loro gusti. La svalutazione progressiva, sul piano politico e culturale, dell’idea di Nazione, di Patria e di Vittoria militare, portato della decadenza generale dei costumi che affligge noi e tutto l’Occidente, fece sparire ogni riferimento alla Grande Guerra, riducendo la festa a Giornata delle Forze Armate, ed infine a cancellare la festività. Oggi, in questa data, si rende omaggio, nelle dichiarazioni ufficiali, alle Forze Armate e all’Unità nazionale. Della vittoria nella Grande Guerra si è persa definitivamente ogni traccia.
Si è pertanto avuta, in data odierna, giorno lavorativo, la consueta anonima cerimonia al Vittoriano, condita dai consueti messaggi di routine delle Autorità costituite. Il Presidente Mattarella ha ricordato “la conseguita completa Unità d’Italia” e “l’onore” che si deve rendere alle Forze Armate, con un “commosso pensiero a tutti coloro che si sono sacrificati sull’Altare della Patria e della nostra libertà, per l’edificazione di uno Stato democratico ed unito” (Corriere della Sera di oggi, 4 nov. 2017).
Il ministro della difesa, on. Roberta Pinotti, colei che vorrebbe istituire il “servizio civile” obbligatorio per tutti (sì, il servizio civile non quello militare) ha detto, sempre nell’estratto del Corriere della Sera, che “la comemorazione di quel doloroso periodo della nostra storia nazionale offre la possibilità per una riflessione più profonda sul valore della pace, anelito insopprimibile di ogni società civile, dovere ma anche diritto di ogni uomo, delle nuove generazioni, dei deboli e indifesi, di coloro che scappano dalle guerre, dei tanti rifiutati e oppressi. Ed è in momenti come questo che dobbiamo rinnovare con forza il ricordo delle migliaia di Caduti sulle pietraie del Carso, sull’Isonzo, sul Grappa, sul Piave e in tanti altri luoghi entrati a far parte della nostra memoria collettiva”.
Avrà detto anche altre cose, l’onorevole ministro, nel suo messaggio. Se questo ne è il nucleo, esso appare abbastanza singolare per un ministro della Difesa, delle Forze Armate. Di quella terribile ma valorosa ed eroica epopea che fu la nostra Grande Guerra, sa dire solo che è stato “un doloroso periodo della nostra storia”. Il dolore, dunque. La riflessione sul dolore passato offre lo spunto per quella sul presente, rappresentato sempre dal dolore, che sarebbe quello delle categorie consacrate dalla retorica politicamente corretta dominante – le quali categorie si ritengono private del loro “diritto alla pace”: ogni uomo in generale, i giovani, i deboli e gli indifesi, i profughi, i rifiutati ed oppressi.
C’è un po’ di tutto, nel materno abbraccio pinottiano, come si conviene ad una governante intrisa di “pluralismo”, anche sul piano strettamente culturale. Un “diritto alla pace”, intrinseco ad ogni essere umano, non sapremmo per la verità come concepirlo, in termini propri, giuridici. Ma tant’è. Il nostro bravo ministro, nel ricordare l’anniversario della Vittoria in una guerra mondiale di fondamentale importanza per la nostra stessa esistenza di popolo – se, nonostante tutto, esistiamo ancora come popolo e Stato unitario lo dobbiamo alla vittoria in quella guerra – sa parlare solo di pace e nei termini di quella retorica sentimentale ed umanitaria con la quale si tentano oggi di occultare le gravi debolezze e lacune della nostra attuale classe di governo, incapace di difendere il territorio nazionale da una massiccia invasione afro-asiatica e musulmana, che nessuna emergenza cosiddetta umanitaria giustifica, dal momento che, nella massa che ci invade, i veri profughi sono solo una piccola minoranza.
Allora, perché il 4 novembre? Cos’è successo il 4 novembre? Lo sa l’on. Roberta Pinotti? Immagino che siano in pochi a saperlo, visto che da anni non se ne parla mai, anche perché si insegnano da tempo falsità di ogni tipo sulla nostra partecipazione alla Grande Guerra. Per esempio, che per noi essa sarebbe finita con la pesante sconfitta di Caporetto, dopo la quale saremmo arrivati alla vittoria, un anno dopo, solo perché sorretti dai nostri alleati franco-britannici, che ci avrebbero tolto le castagne dal fuoco.
Invece, a due settimane circa da Caporetto, il nostro esercito (allora Regio Esercito) risuscitò sul Piave, sul Grappa e sugli Altipiani, contenendo da solo gli ultimi furiosi e decisivi assalti austro-tedeschi, sorretto alle spalle da undici preziose divisioni franco-britanniche accorse in riserva strategica, ridotte poi assai presto a cinque, le quali subentrarono in linea dopo circa un mese, quando avevamo stabilizzato il fronte. Risuscitò, con grande sorpresa del nemico, ma in realtà non era mai morto. Aveva incassato un colpo da K.O., portato con estrema maestria dalle migliori divisioni tedesche e austro-ungariche, e tuttavia era riuscito ad assorbirlo. Era stata distrutta a Caporetto l’ala sinistra della II armata, mal schierata nelle montagne isontine del Friuli del Nord-Est. Parte di quell’armata, dislocata più a sud, si ritirò in ordine, assieme alle altre due armate nostre, la III e la IV, non intralciate dalla marea dei profughi friulani. I circa trecentomila prigionieri e molti fra gli altrettanti sbandati (poi recuperati) appartenevano in numero consistente alle sterminate retrovie caratteristiche di tutti gli eserciti moderni.
Dalla nostra vittoriosa “battaglia d’arresto” del novembre-dicemtre 1917, come si giunse al 4 novembre 1918? Nel giugno del 1918, la Duplice Monarchia, uscita dalla guerra la Russia travolta nel gorgo della rivoluzione, in appoggio alle poderose offensive con le quali i tedeschi stavano tentando di vincere la guerra anche a Ovest, prima che si consolidasse il sempre più massiccio apporto americano in Francia, tentò a sua volta di sfondare contro di noi, raccogliendo le sue logorate forze per un ultimo formidabile sforzo. Si ebbe la grande Battaglia del Montello o seconda del Piave, che si concluse con un completo insuccesso austro-ungarico. La testa di ponte larga 8 km e profonda 5 costituita al di qua del Piave, sulle alture del Montello, fu da noi contenuta in aspri combattimenti e l’Imperial-regio esercito fu costretto a ripassare il Piave. Con quella fallita e sconsiderata offensiva, per di più mal condotta dall’inesperto imperatore Carlo d’Asburgo, l’Austria-Ungheria perse la guerra. Dopo questa battaglia, cessarono del tutto i tentativi anglo-americani di indurre l’Austria-Ungheria ad una pace separata. Gli Alleati avevano ormai la sensazione netta del crollo imminente del nemico.
La grave crisi interna dell’Impero, economica e spirituale, aumentò sempre di più. L’esercito teneva ancora ma cominciò a disgregarsi nelle retrovie quando il fronte balcanico, tenuto soprattutto dalla Bulgaria, crollò all’improvviso alla fine del settembre 1918, aprendo agli eserciti alleati (tra i quali anche un corpo di spedizione italiano) dalla Grecia orientale la via verso Budapest, via che essi cominciarono ovviamente a percorrere, non velocemente ma inesorabilmente. A quel punto le divisioni ungheresi sul nostro fronte cominciarono ad agitarsi e a voler tornare a casa, per difendere la Patria in pericolo.
Con il nemico in crisi sempre più evidente, in condizioni di inferiorità anche per le munizioni e il vettovagliamento, e i tedeschi ormai in ritirata in Francia, ordinata anche se la loro linea non era più continua e mancavano riserve e munizioni, il nostro Comando Supremo si decise alla fine ad attaccare, in ritardo, il 24 ottobre e con il Piave in piena! La Terza Battaglia del Piave o di Vittorio Veneto, durò cinque giorni effettivi, dal 24 al 28 ottobre, giorno nel quale l’VIII armata italiana, comandata dal generale Caviglia, appoggiata sulla destra dall’armata anglo-italiana del generale Cavan e sulla sinistra da quella franco-italiana del generale còrso Graziani, sfondò il centro dello schieramento nemico, puntando verso Vittorio Veneto e dividendo in due tronconi l’Imperial-regio. Sul Grappa gli italiani non passarono e subirono le consuete, ingenti perdite, nei ripetuti assalti e contrassalti. Ci riuscirono sul Piave, contro un nemico indubbiamente debilitato ma che si batté valorosamente sino all’ultimo, nonostante le defezioni di diversi reparti della seconda linea, soprattutto ungheresi e cèchi, a partire dal terzo giorno della battaglia, e nonostante la dissoluzione politico-amministrativa ormai inarrestabile dello Stato austro-ungarico.
Ho ricordato sinteticamente quei drammatici eventi, al fine di arrivare nel modo dovuto al punto che ci interessa: solo alle 7 di mattina del 29 ottobre, quando l’esercito era ormai in rotta sul fronte del Piave, i Comandi austriaci presero i primi contatti con il Comando italiano, chiedendo un armistizio. Precedentamente avevano tentato invano con gli americani, perdendo del tempo prezioso. Iniziarono in tal modo convulsi negoziati che si conclusero con la firma dell’armistizio a Villa Giusti, presso Padova, il pomeriggio del 3 novembre, a valere dal pomeriggio (dalle 15) del 4 novembre successivo. Ora, gli austriaci speravano giustamente di poter negoziare con noi termini onorevoli. Ma non ci riuscirono. Le condizioni di armistizio non erano decise dal Comando Supremo italiano o dai politici italiani isolatamente: erano prese dal Consiglio di guerra interalleato che risiedeva a Parigi, in quei drammatici frangenti riunito in seduta quasi permanente. Fu tale Consiglio, che ricomprendeva le alte cariche politiche e militari dei ‘Quattro Grandi’, ad imporre la resa incondizionata, poiché tale fu l’armistizio che l’Austria-Ungheria dovette sottoscrivere. Certo, l’Italia non si oppose. La Battaglia di Vittorio Veneto portò alla dissoluzione dell’esercito austro-ungarico, in parte già iniziata: gli diede il colpo di grazia, impedendo il disegno austriaco e tedesco di riportare la componente nazionale dell’esercito sui confini naturali, cioè sulle Alpi da un lato e sul Reno dall’altro, per cercare di resistere ancora e ottenere una resa meno dura. Sparendo l’Imperial-regio dalla scena, la via dell’invasione della Germania da sud era aperta a noi e ai nostri alleati e i tedeschi non avevano in pratica più truppe da opporre. In tal modo, la Germania dovette anch’essa piegarsi ad accettare una resa incondizionata, sottoscritta l’11 novembre 1918.
Questo dunque, in estrema sintesi, ciò che accadde il 4 novembre 1918, data indubbiamente significativa per noi italiani e che dovrebbe esser ricordata in modo degno. Senza retorica e senza animosità per i nemici di un tempo ma con il pathos che la ricorrenza richiede, osando magari pronunciare le parole probite di guerra e vittoria.
Era la fine della guerra in Italia, dopo tre anni e mezzo di tremendi sacrifici umani e materiali. Soprattutto, era la Vittoria, conseguita con l’eroico sacrificio di un’intera generazione. Dopo Caporetto ci fu in tutto il Paese, anche nelle classi popolari, un grande slancio patriottico, per resistere all’invasione straniera e per vincere. Come disse Benedetto Croce, dopo quella cocente sconfitta, solo allora quella guerra diventava nostra. Combattevamo per la nostra terra, per riconquistarla e per l’onore nazionale, ingiustamente infangato da uno sciagurato Bollettino del Comando Supremo che, il giorno dopo lo sfondamento di Caporetto, ancora mal informato su quello che stava succedendo, diede la colpa del crollo locale ad una viltà dei soldati che in realtà non c’era stata (episodi di rese locali senza combattere ci furono dopo lo sfondamento, le cui cause furono soprattutto militari, nel clima di caos, di panico e di abbattimento subito creatosi, anche a causa della rivoluzionaria tattica del nemico, basata non più sui sanguinosi attacchi frontali ma sull’aggiramento veloce dei caposaldi e l’attacco di lato o da tergo, di sorpresa, condotto da truppe scelte).
Ma non si trattava solo della vittoria in quella guerra, fatto di per sé pur notevole per un popolo ed uno Stato di recente e tormentata formazione come il nostro. Con quella prova, con quel sacrificio, riscattavamo moralmente noi stessi dalle dominazioni straniere che avevano infierito su di noi per tre secoli e mezzo. Da quando, nelle sciagurate e crudeli Guerre d’Italia (1498-1559), Asburgo spagnoli e austriaci, francesi, svizzeri, da noi in nessun modo provocati, avevano fatto a pezzi il sistema degli Stati italiani indipendenti ma militarmente deboli e sempre divisi tra di loro. Fu una grande tragedia, che non dobbiamo dimenticare. Riuscì a resistere solo la Repubblica di Venezia, spacciata alla fine del Settecento da Napoleone, dopo una lunga decadenza. Le Guerre d’Italia le vinse su tutti la Spagna asburgica e quando il suo dominio finalmente si allentò, dopo altre guerre, si ebbe la prevalenza dell’Austria asburgica, rinnovatasi dopo l’intervallo napoleonico, che aveva annesso all’Impero francese parti consistenti del nostro Paese, riducendo le altre a Stati suoi satelliti. L’Impero austriaco mai ci volle riconoscere il diritto ad essere non dico uno Stato indipendente suo alleato ma nemmeno un popolo degno di essere preso in considerazione. Eravamo, per tutti, solo una espressione geografica, “volgo disperso che nome non ha”, pascolo ubertoso per le politiche di potenza dei grandi Stati: e così avremmo dovuto rimanere, in eterno. La lunga sequela delle “preponderanze straniere” (Cesare Balbo) fu per noi un’età di ripetuto sfruttamento economico e militare, di sudditanze umilianti, di umiliazioni a non finire.
Combattendo e vincendo la Grande Guerra, abbiamo pagato il prezzo di sangue che il nostro riscatto esigeva. Perché quel sangue non sia stato versato invano, dobbiamo ora resistere con tutte le nostre forze all’ondata nichilista che vuole travolgerci, dall’interno e dall’esterno, ammantata di ipocrisie pseudo-umanitarie. E tra i valori che dobbiamo recuperare, per resistere, il patriottismo, la fede nell’Italia patria comune e unitaria, da difendere in tutti i modi, occupa senz’altro un posto eminente. In questo, ci ispiri, dunque, e ci sostenga il ricordo di questa data gloriosa, il 4 novembre, giorno della Vittoria della Patria, finalmente tutta unita nei suoi confini naturali.
Paolo Pasqualucci, sabato 4 novembre 2017
Fonte: iterpaolopasqualucci.blogspot.ie
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saluti
Piero e famiglia. -
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salve
nonostante abbia scelto la carriera militare in Marina, ho sempre avuto, fin da bambino, una passione per gli aerei.
Sopratutto quelli ad elica.
Ritengo i piloti di questi fragili biplani, spesso costruiti con legno e tela, gli ultimo pionieri dell'era moderna, gli ultimi, dove l'uomo, il suo cuore, il suo coraggio, e il suo ardire ancora dominavano sulle macchine e affascinavano chi restava a terra a guardarli con il naso all'insù Vi propongo una piccolla carrellata di alcuni aerei che duellarono nella Prima GM poi, più avanti, li analizzeremo più a fondo
FOTO 1 - SOPWITH PUP (BRITANNICO)
FOTO 2 - SPAD S XIII (FRANCIA)
FOTO 3 - ROYAL AIRCRAFT FACTORY S.E.5a (BRITANNICO)
FOTO 4 - NIEUPORT 11 (FRANCIA)
FOTO 5 - FOKKER E III (GERMANIA)
FOTO 6 - GOTHA G (GERMANIA)
FOTO 7 - FOKKER DR I (GERMANIA)
FOTO 8 - SVA ANSALDO 5 (ITALIA)
fonte: ENCICLOPEDIA del VOLO VOLUME I° dal 1848 al 1939 di John Batchelor e Malcolm V. Lowe - edizioni Withe Star e Aviatori, Aeroplani e Aeroporti di Liguria di Maurizio Lamponi per la Nuova Editrice Genonese.
Entrambi della collezione privata dello scrivente
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un saluto
Piero e famiglia.